sabato 11 ottobre 2014

GENOVA, SE MATTEO RENZI CI PENSASSE UNA NOTTE


                                


"Genova resiste", ma  per quanto tempo ancora? L'alluvione che si è abbattuta sul capoluogo ligure è una sciagura che chiama in causa non solo le responsabilità locali, ma l'assenza di politiche a livello nazionale, la mancanza di una sensibilità vera da parte di chi decide il futuro del territorio, della sua economia e dei suoi abitanti.
Possibile che una città possa vivere costantemente sotto l'incubo di allagamenti, frane e smottamenti non appena l'autunno si affaccia con le piogge inevitabili, anzi più volte auspicate per regolarizzare il ciclo della natura in seguito al protrarsi di lunghi periodi siccità. Si, purtroppo è possibile. E ciò accade da almeno quarant'anni. Una vergogna. Anzi la dimostrazione di come si possa giocare sulla pelle degli abitanti, senza curarsi di nulla. 
L'abbandono dell'ambiente è una costante che accomuna il Nord e il Sud. Basti pensare a Sarno, alla Calabria, al Metapontino, per quanto in quest'ultimo caso i danni non siano paragonabili a quelli subiti da aree urbane importanti del Centro Nord con distruzioni e morti in numero allarmante.
Si fa presto, in situazioni del genere, a dare la colpa alle previsioni del tempo, alla Protezione civile incauta e imprevidente, alle solite Arpa gestite politicamente dalle regioni e tenute di conseguenza al guinzaglio, senza una briciola di autonomia professionale nè di libertà di movimento. Accuse vere soltanto in parte, molto spesso. 
Chi ha mai pensato, in questo orribile frangente in cui la forza distruttrice dell'acqua si è scatenata senza limiti su strade e quartieri di Genova, a chiamare in causa il comune, i comuni per le loro responsabilità dirette nella gestione del territorio? Chi ha mai sollecitato una forma di coordinamento, a livello centrale, delle attività per la salvaguardia delle aree più fragili? Chi mai ha invocato una effettiva politica di rigore per il rispetto degli equilibri ambientali, delle località esposte al rischio idrogeologico? Ma  non solo sul piano meramente delle enunciazioni di principio, quanto in concreto.
Tutti interrogativi senza risposta. Genova insegna, purtroppo, ma non solo Genova. Altre città, altri capoluoghi, altri paesini a loro volta non smettono di insegnare. Ma finora questi moniti o, se preferite, queste drammatiche lezioni, non sono serviti a nulla.
C'è un dato che  sfugge, ed è francamente un male. Subito dopo il rovinoso terremoto dell'Irpinia e della Basilicata, del 23 novembre 1980, il mondo della scienza, dell'ingegneria civile e della stessa politica lanciò l'obiettivo del consolidamento inevitabile di interi abitati sia contro il pericolo sismico, sia  contro quello  di smottamenti in caso di forti piogge e di temporali persistenti. 
Questo proclama è rimasto sulla carta nonostante l'Universitá di Portici (Napoli) abbia realizzato una  mappa degli interventi da porre in essere e delle priorità da attribuire e far rispettare senza mezzi termini. Del resto quale consolidamento si può mai attuare se si continua a far costruire in prossimità  di fiumi e torrenti, in zone strutturalmente deboli, se ci si dimentica delle manutenzioni di corsi d'acqua, piccoli o grandi che siano.
Un'ultima  considerazione va fatta: non siamo ai tempi di Giustino Fortunato che definiva la Basilicata la terra dello "sfasciume idrogeologico". Oggi sono stati fatti passi da gigante. Le università sono piene di cervelloni da premio Nobel nelle varie discipline idrauliche, eppure siamo al paradosso dei paradossi che delle piogge autunnali, per quanto intense, si trasformano in una sciagura per l'ambiente e per chi lo abita. In una occasione di morte e in un disastro per l'economia di intere aree invase dall'acqua. 
Dove sono gli scienziati, i consulenti dei comuni super pagati con tanto di titolo di Prof. da esibire a garanzia dei loro interventi? Dove sono i tecnici del Genio civile che hanno sempre avuto grande capacità di affrontare i nodi di vaste aree divenute fonte di paura e causa di drammi non appena il cielo si copre di nuvoloni neri? 
Queste sono le riforme da fare nel Paese alla deriva. Se Matteo Renzi ci pensasse su una notte forse non insisterebbe sull'art. 18 ma su ben altro. 

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