giovedì 31 gennaio 2013

E' MORTO FRANCESCO TURRO, NON SOLO PROTAGONISTA DELLE LOTTE CONTADINE DEL DOPOGUERRA

Vanno via in punta di piedi, uno dopo l'altro,  i protagonisti della straordinaria stagione di lotte contadine del secondo dopoguerra che aveva creato tante attese e alimentato la speranza della terra capace di soddisfare il bisogno di lavoro e di sviluppo, nel Sud disastrato dall'abbandono e dalla miseria.  Speranza e attese andate purtroppo deluse, nello squallido panorama di un Mezzogiorno sfruttato e messo in ginocchio.
Francesco Turro, autorevole dirigente di quelle interminabili lotte contadine, porta via con sè l'immagine di un'epoca difficile da conoscere. Difficile da studiare e approfondire. Piena di mille retroscena. Di dettagli ignoti.  Francesco aveva raccolto carte rivendicative e documenti, testimonianze degli scontri tra masse di contadini poveri, di braccianti e la polizia di Scelba inflessibile di fronte alle occupazioni. Pronta a far cadere in trappola i protagonisti di un movimento davvero senza precedenti nella storia d'Italia. Turro ha sempre custodito gelosamente quei documenti: difficile, se non impossibile indurlo a fornire una ricostruzione puntuale degli eventi. Usava parlare poco, come se si preoccupasse di non affidare a nessuno certi ricordi. L'ho sperimentato personalmente in occasione della pubblicazione del mio libro Morire di terra per  il cinquantesimo di quei fatti. 
Non si trattava di lotte fini a sè stesse, magari per qualche posto di lavoro nelle campagne meridionali. Venivano definite lotte per la terra e la rinascita. Si, la rinascita del Meridione. Il che significava partire da una situazione indicibile di arretratezza che migliaia di uomini e di donne erano intenzionati a superare, se non a cancellare. 
Per questo Ciccio Turro, come lo chiamavano i suoi compagni di partito, era davvero in prima fila. Come in prima fila erano Marianna Menzano, Franceschino Bubbico, Ciro Candido, Vincenza Castria, Giuseppe Novello ucciso dal vice brigadiere dei carabinieri Vittorio Conte a Montescaglioso, la notte del 14 dicembre del 1949, con una raffica di mitra mentre erano in corso gli arresti dei contadini nel paese del materano. 
Sullo sfondo di quelle terribili lotte campeggia inevitabilmente un interrogativo: chi ha vinto? È il titolo di un capitolo del mio lavoro. Un interrogativo che manda in fumo sacrifici indicibili, sofferenze atroci, pilotate con cinismo e fame di potere da chi ha esportato nelle fabbriche del Nord migliaia di braccia dei contadini del Sud sfruttati e illusi, pronti a credere che davvero sarebbero stati loro gli artefici della rinascita che non c'è mai stata. Nemmeno per sogno.
 

domenica 27 gennaio 2013

IMPOSSIBILE NEGARE LA SHOAH. EPPURE C'È CHI DIMENTICA


"Chi oggi nega la Shoah è identico ai carnefici di allora" 
Monito che suona come una condanna della storia per un delitto imperdonabile. Eppure si tende a minimizzare. A non ricordare. A non ripercorrere quel cammino di sangue e di atrocitá di cui la Germania del dopoguerra si è terribilmente macchiata. 
Meno male.  Angela Merkel oggi riconosce quelle colpe, apertamente. Senza ipocrisie. Cosa che fa onore all'Europa e al mondo. Il giorno della memoria non può ridursi al 27 gennaio di ogni anno: è un giorno che vive e invade di sè tutti i giorni, esattamente come la memoria dei superstiti torturati  ancora oggi dal ricordo della loro presenza nei campi di sterminio.
Chi immagina che il nazifascismo abbia fatto qualcosa di buono è un criminale che si associa ad altri criminali. Purtroppo tanti.  

mercoledì 23 gennaio 2013

ROBERTO SPERANZA: "LAVORO E MORALITA" PAROLE CHIAVE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE intervista di Rocco De Rosa


• La Basilicata e il Mezzogiorno in vista della scadenza elettorale ormai prossima: cosa potrà davvero cambiare per i lucani?
Le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio arrivano in uno dei momenti più delicati ed importanti della storia recente del nostro Paese, in un clima politico quanto mai convulso.
E’ trascorso pochissimo tempo da quando il Pdl ha dichiarato chiusa l'esperienza del governo Monti e, con essa, di questa legislatura. Una conclusione non composta e ordinata, come aveva invano auspicato il Presidente della Repubblica: uno strappo vero e proprio, ulteriormente enfatizzato dalla resurrezione di Silvio Berlusconi (“la mummia”, come l’ha impietosamente chiamato Libération), che, nello sbalordimento generale, in primis della stessa dirigenza del suo partito, ha annunciato la sua ennesima, ormai farsesca, discesa in campo.
Il governo Monti non è stato il ‘nostro’ governo, e l’agenda Monti non è il ‘nostro’ programma di governo. Perché anche le politiche di austerità non sono neutre; perché ci sono approcci e priorità che sono veramente ‘nostri’ e che attengono ad una irrinunciabile declinazione del principio di uguaglianza e di eguale dignità delle persone e dei ceti, alla preminenza che assegniamo ai diritti sociali ed ai beni comuni, alla stessa visione solidale e cooperativa dell’Europa che è propria delle forze progressiste del continente.
Purtuttavia è giusto ribadire che le scelte che il governo tecnico ha compiuto nel segno della modernizzazione e dell’efficienza, la dieta radicale contro la bulimìa degli apparati amministrativi ed istituzionali, la lotta agli sprechi ed alle irrazionalità del sistema Paese, l’avvio di una seria riforma dei costi e delle consuetudini della politica, l’affermazione di uno stile di sobrietà e di disciplina nella vita pubblica, sono anche per noi un punto di non ritorno, anzi sono un punto di ripartenza per quella spinta di rigenerazione morale e civile di cui il Paese ha vitale bisogno per fuoriuscire dalla depressione e accelerare la sua rinascita. E mi sia consentito di intravedere in questo generale richiamo a stili di comportamento più sobri e severi una felice reviviscenza di sentimenti antichi, di quello spirito di sacrificio e di pazienza, di quel senso dell’equilibrio e della misura, che stanno proprio nel patrimonio genetico dei lucani.
Questo scatto di civismo è proprio la prima cosa di cui ha bisogno il Paese, dopo l’abbondante ubriacatura di egoismo e di qualunquismo che esso ha subito in questi ultimi anni. Ed è soprattutto il Mezzogiorno che, in questo giro di boa indispensabile, indifferibile, decisivo, trova in queste tematiche il terreno fondamentale sul quale la politica gioca la carta della sua rilegittimazione.
Del resto, non a caso Bersani ha usato due parole-chiave quali temi-bandiera della campagna elettorale, ‘lavoro e moralità’. Viviamo una crisi non superficiale e non effimera degli assetti economici internazionali. Siamo chiamati tutti ad un grande sforzo per difendere il Mezzogiorno e la nostra Basilicata, la sua stabilità, il suo avvenire. Lavoro, innanzitutto, che significa allo stesso tempo impegno prioritario a preservare e alimentare ogni potenzialità produttiva, sostenere le imprese soffocate dai costi crescenti e dal credito mancante, mantenere in attività la più larga parte possibile della popolazione, presidiare la fonte della ricchezza nazionale e della dignità civile degli italiani. Certo non ci sono bacchette magiche che possano, con un sol tocco,  tirare a lucido tutto l’oscurantismo in cui la destra e il berlusconesimo ci ha ingabbiati. Il periodo delle favole è finito!
Viviamo una stagione di straordinari sacrifici; chiediamo ai nostri amministratori locali -veri eroi civili del nostro tempo- di non ammainare bandiera; ci battiamo allo stremo contro il pericolo di una progressiva desertificazione produttiva; stiamo imponendo a intere generazioni di procrastinare i progetti di vita; diciamo al Paese di stringere i denti e di non smettere di credere.
Lavoro e moralità, dunque. Spetta alle classi dirigenti dare l’esempio, ridare fiducia nella vita pubblica e nelle istituzioni democratiche. Spetta a noi che abbiamo scelto di occuparci degli interessi collettivi promuovere una generale riforma dei costumi pubblici: ‘onore e decoro’, come chiede appunto la nostra Costituzione.
Ho coordinato il Comitato di Bersani durante la campagna delle primarie per scegliere il leader del centro sinistra alle prossime elezioni ed ho sentito l’affetto e l’apprezzamento di tanti lucani che, anche sui miei profili facebook e twitter, hanno voluto farmi sentire la loro vicinanza. Capeggiare la lista alla Camera in Basilicata alle prossime elezioni è per me un onore e rappresenta una sfida entusiasmante, carica di responsabilità. Sento di rappresentare per una generazione intera e, più in generale per la Basilicata, una reale opportunità per rafforzare la presenza della nostra regione sui tavoli nazionali. Penso che il sofferto tema di una nuova governance istituzionale resta uno dei passaggi cruciali per costruire una Basilicata capace di reggere dinanzi alle sfide che si profilano nei prossimi anni. E credo che la discussione ormai prossima alla conclusione sul nuovo Statuto della Regione ed il complessivo ridisegno delle funzioni strumentali para e sub regionali debbano essere lucidamente inquadrati in uno sforzo di proiezione di questa piccola Regione nelle dinamiche evolutive di un Paese che dovrà accelerare il passo della sua modernizzazione sostenibile e della sua europeizzazione.
Conciliare unità e assetto policentrico è il problema storico della Basilicata contemporanea, dato che, a mio avviso, il deficit di urbanizzazione resta la debolezza più acuta del nostro sistema territoriale. Con le aree programma abbiamo costruito una cornice di area vasta, ma la riorganizzazione dei servizi locali postula la riaggregazione dei piccoli Comuni e solo un grande partito regionale può pilotare un simile processo tenendolo al riparo dai rigurgiti del più dissennato localismo. Siamo andati assumendo negli ultimi mesi una serie di scelte fondamentali e inequivocabili che accentuano le opzioni strategiche consacrate dalla nostra Conferenza programmatica, le linee portanti del modello di sviluppo che intendiamo dare alla Regione. La ferma posizione assunta sullo stop a nuove ricerche idrominerarie e la mobilitazione in atto nel Metapontino contro nuove trivellazioni ne sono un esempio emblematico, cruciale, anche perché prefigurano una significativa tensione con lo Stato e soprattutto con la ventata neocentralistica delle politiche energetiche.
Sostenibilità, dunque, come paradigma strategico e fattore di salvaguardia e garanzia della qualità degli interventi da localizzare sul nostro territorio. Ma non solo green economy, perché noi non abbiamo mai ceduto alle suggestioni di un certa lettura romantica dello sviluppo, attenti come siamo al tema fondamentale della difesa e del rafforzamento della base produttiva, all’implementazione delle innovazioni tecnologiche ed al rilancio dell’attività manifatturiera, al di fuori della quale ben difficilmente potremmo sperare di rimettere in sesto la bilancia occupazionale della regione.

• Enormi risorse e disoccupazione a livelli record, soprattutto in Basilicata. Quali le strategie, a livello locale e nazionale, da mettere in campo?
Ho appena fatto riferimento alla Prima Conferenza Programmatica del Pd lucano che ci ha visti impegnati in un lungo viaggio attraverso moltissimi comuni della Basilicata per discutere di scuola, università, ricerca, sviluppo sostenibile, lavoro, fattori di sviluppo industriale, nuove tecnologie, connessioni infrastrutturali e virtuali/informatiche. Questi atti saranno presto raccolti in un libro, il secondo da quando sono segretario dopo quello sul seminario di Rifreddo del gennaio 2011 che, insieme, provano a tracciare il solco entro il quale immaginare, pianificare e costruire una Basilicata migliore per noi e per i nostri figli.
La domanda di fondo a questa che Lei mi pone io penso sia: dove portiamo la Basilicata? Non tra tre giorni, non tra un mese o tra cinque mesi, ma qual è il disegno lungo che noi abbiamo nella testa,  qual è l'orizzonte nel quale intendiamo muoverci. E per fare questo dobbiamo rispondere ad altre domande e cioè in che passaggio storico, sociale, economico noi siamo, che cosa è questa regione oggi. Ed ancora, che cosa significano i cambiamenti globali, nazionali, meridionali che avvengono di fronte a noi, nel nostro contorno. Che cosa significa la crisi economica internazionale in questa regione. Che cosa significa quella drammatica e continua contrazione delle risorse pubbliche provenienti dagli altri livelli istituzionali per la Basilicata. E qual è il rapporto politica-società in questa Regione? Che cosa è oggi la società lucana?
Rispondere a queste domande, per me significa investire sul passaggio ad una nuova relazione tra politica e società in Basilicata, una relazione più profonda, una relazione più vera, partendo dalla valorizzazione delle reciproche autonomie.
Spesso mi è capitato di dire in passato che, alcune volte, in questa Regione si ha la sensazione di troppa politica dove forse non ce ne sarebbe occorrenza e troppo poca, invece, dove ce ne sarebbe bisogno. Questo tema è decisivo e dobbiamo inserirlo nella nostra discussione per immaginare un cambiamento, creando un consenso meno costruito sull'utilizzo della spesa pubblica e più costruito sul progetto lungo con il quale immaginiamo di costruire questa Regione. Questo significa, credo, mutare la logica da un approccio che privilegia la creazione di beni individuali ad uno che sia focalizzato alla creazione di beni collettivi o comuni, alimentando così i valori alla base del capitale sociale della nostra comunità.
Io non ho paura di dire che si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, e le rivoluzioni culturali, almeno quelle vere, non si fanno in un giorno e non si fanno in un anno. Per questo io penso che rispondere ad una domanda sulle strategie di sviluppo per la nostra terra apra una riflessione lunga: cosa sarà la Basilicata tra dieci anni, come noi costruiamo questa Basilicata, a partire da oggi, dalla nostra responsabilità di governo, per consentirci una tenuta ed un rilancio, come sistema territoriale, da qui ai prossimi anni.
La politica deve fare la propria parte, noi per primi, che abbiamo la responsabilità più grande, ma, dobbiamo ammetterlo, anche il resto della società deve giocare questa partita. E alcune volte, purtroppo,  anche essa non fa fino in fondo quello che potrebbe. Non so se la società lucana sia pronta a stare compiutamente dentro questo nuovo modello di sviluppo. Viviamo in una Regione in cui spesso le imprese ci chiedono assistenza e non condizioni di contesto migliore, in cui i giovani non sempre ci chiedono più opportunità e mettono in campo la loro voglia di rischiare, ma, in alcuni casi, domandano solo assistenza e più possibilità di stare dentro percorsi garantiti. Io penso che la Basilicata del domani ce la farà esattamente dentro questo sforzo di cambiare il rapporto politica-società, creando un consenso costruito più sul progetto lungo e meno sull'utilizzo assistenziale delle risorse pubbliche.

Qual è al momento l'alleato da scegliere, sul piano politico,  considerato davvero capace di aprire un confronto, insieme al Pd, con le multinazionali del petrolio, con la Fiat e il mondo dell'industria del Nord perché ci siano nuovi investimenti?

Bene! E’ una domanda che mi dà anche la possibilità di riprendere l’azione politica avviata da Pier Luigi Bersani con la stesura della ‘Carta d’Intenti’ che il Partito Democratico ha inteso condividere con il mondo dei democratici e dei progressisti. Quel patto siglato pochi mesi fa rappresenta l’impegno di queste forze a sottoscrivere una programmazione politica che mira alla ripresa economica, politica e culturale del nostro Paese. Il prologo è il seguente: “L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza. L’Italia perderà se abbandonerà l’Europa e si rifugerà nel suo spirito corporativo, se prevarrà l’interesse del più ricco o del più arrogante. Se speranza e riscatto non saranno il capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti. Questa Carta d’Intenti vuole descrivere l’Italia che ce la può fare, che ce la può fare ricostruendo basi etiche e di efficienza economica; che ce la può fare con uno sforzo comune in cui chi ha di più dà di più. Sappiamo che la politica ha le sue colpe. E che quanto più profonda si manifesta la crisi, tanto più le classi dirigenti devono testimoniare il meglio: nella competenza, nella condotta, nella coerenza. Questo sarà il nostro impegno e la bussola per il nostro compito. Con la stessa sincerità, diciamo che non siamo tutti uguali. Non sono uguali i partiti, le persone, le responsabilità. Gli italiani sono finiti dove mai sarebbero dovuti stare perché a lungo sono stati governati male. Noi vogliamo chiudere quella pagina e aprirne un’altra”.
Allo stesso modo dovremmo lavorare in Basilicata affinchè tutte le forze politiche interessate alla tutela del bene comune si sentano in dovere di impegnarsi e sacrificarsi per la ripresa della nostra regione.
Il cammino di riforme strutturali inaugurato da Prodi, Ciampi e Padoa-Schioppa e seguito, seppur con quei limiti egualitari a cui prima accennavo, da Monti e dal suo Governo, deve essere ripreso e sostenuto con l’intento, purtuttavia, di perseguire una idea più vasta e giusta di sviluppo economico. Questo passaggio e questo cammino va ripreso perché di certo occorre andare nel 2013 oltre il governo Monti ed in Europa per portare in essa il modello confederale di partecipazione e con essa il progetto di riforma del capitalismo, occorrerà decentrare sulle strutture regionali il modello confederale di concertazione, per dare forza al superamento della crisi, consolidando un virtuoso rigore con una forte spinta alla crescita, a partire dal Sud.
E in questo quadro diventa fondamentale recuperare quelle idee di Uomo e di Lavoro che sono andate liquefacendosi negli ultimi anni e che mettono al centro il principio secondo cui in ogni angolo della terra l’Uomo è ben consapevole di dovere perseguire la sua piena “liberazione” con il lavoro e la sua etica.
Ecco, solo partendo da queste considerazioni il Partito Democratico potrà disegnare con le forze democratiche e progressiste e con i soggetti interessati, mondo dell’industria, Fiat e multinazionali petrolifere, un progetto di ripresa economica che guardi, prima di tutto, al bene comune.

martedì 22 gennaio 2013

DOPO IL CONVEGNO DI VIGGIANO INTERVISTA AD ALBINA COLELLA




  Il convegno di Viggiano ha messo a fuoco l'altra faccia della medaglia: l'impatto del petrolio con l'ambiente e la salute dei cittadini. Un argomento sul quale non ci sono finora certezze "ufficiali" per così dire. Possibile?

Sì, è possibile, perché in passato sono stati fatti degli errori che oggi la corretta valutazione dell’impatto ambientale del petrolio in Val d’Agri mette in evidenza. Si tratta:
1) del mancato campionamento del cosiddetto “bianco”, una procedura finalizzata alla descrizione dello stato delle diverse matrici ambientali (aria, suolo, acque superficiali e sotterranee, rumore e campi elettromagnetici) nella fase antecedente l’inizio dell’attività petrolifera. La mancanza di tale “bianco” impedisce il confronto dello stato di salute del territorio prima e dopo l’avvento dell’attività petrolifera e impedisce di valutare il possibile aggravamento delle condizioni ambientali a seguito dell’inizio delle perforazioni petrolifere;
2) di un monitoraggio ambientale dell’area molto tardivo e insufficiente, che a distanza di 15 anni non è ancora completamente realizzato, con la mancanza ad oggi della necessaria serie di dati continui, integrati, certificabili ed omogenei. Le misure attuate fino ad oggi rappresentano spesso solo delle verifiche temporanee, prive di quel requisito di organicità fondamentale per un monitoraggio integrato ed esauriente. E questo è tanto più grave in quanto la Val d’Agri rappresenta un’area molto vulnerabile, sia per le sue importanti risorse da salvaguardare (acqua, uomo, agricoltura, beni culturali e naturali come il Parco), sia per il rischio sismico.

 Una serie di dati sono emersi dal convegno. Metalli pesanti di vario genere e idrocarburi nei torrenti e nella diga del Pertusillo. In che modo è possibile avere un quadro di riferimento certo, su basi scientifiche? Insomma un monitoraggio di aria, acqua, suolo ma su basi stabili. A chi compete? Domanda ovviamente superflua...

Il gruppo di esperti che hanno relazionato nel convegno è stato unanime nel proporre, vista la specificità e vulnerabilità dell’area, la creazione di un Centro di Studio ad hoc della Val d’Agri, che rappresenti una struttura di ricerca unica, che assommi i compiti di studio e controllo dello stato dell’ambiente, evitando la frammentazione fra diversi enti, con particolare riferimento alle risorse idriche strategiche di importanza nazionale e alle caratteristiche sismiche del territorio.
Con moderne tecniche di modellazione degli acquiferi occorre  giungere ad una valutazione specifica della vulnerabilità degli acquiferi e del loro rischio specifico di inquinamento in relazione alle attivita’ petrolifere finora eseguite. Con un sistema unico di monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee è necessario poi arrivare ad un nuovo “punto di bianco” relativo, da cui partire per valutare gli effetti di eventuali aumenti di produzione.

 Mettiamoci dalla parte degli abitanti: cosa debbono fare per avere un minimo (si fa per dire) di sicurezza, al di lá di ogni allarmismo?

A mio parere la soluzione è che i cittadini si affidino a strutture di sicura indipendenza scientifica e politica. In tal senso il Centro di Studio che noi proponiamo dovrebbe essere gestito con il coinvolgimento del territorio ed in particolare dei sindaci dell’Alta Val d’Agri.

 Il ruolo delle istituzioni. Si avverte una certa insufficienza, una sorta di inadeguatezza, non dissipata dai vari pronunciamenti del governo locale. Eppure Arpab e altre realtà proclamano la loro efficienza.

Ritengo che l’efficienza di una struttura al servizio dei cittadini non si possa basare su un’autocertificazione, ma sul giudizio che gli utenti del servizio, ovvero i cittadini, danno di quella struttura. Personalmente credo che la Basilicata non fosse preparata ad affrontare un problema così complesso come il controllo ambientale di un territorio interessato da attività petrolifere e da tante altre attività industriali, e per questo motivo si sono accumulati gravi ritardi.

In questo panorama il Parco nazionale dell'Appennino lucano val d'Agri lagonegrese ha scelto di svolgere dal primo momento un ruolo di vigilanza e di controllo. Obiettivo non sempre facile da raggiungere.

 I Presidenti dei Parchi dovrebbero avere autonomia in merito alla vigilanza e al controllo del territorio. Mi auguro di vedere presto azioni determinanti in ordine alla tutela del territorio, alla luce delle criticità emerse e anche in relazione alla proposta dei relatori del convegno di Viggiano di realizzare un Centro di Studio ad hoc e indipendente in Val d’Agri, che veda anche il coinvolgimento dei sindaci.

sabato 19 gennaio 2013

VAL D'AGRI, MOLTI DUBBI SUL PETROLIO DAL CONVEGNO DI VIGGIANO




La scienza prima di tutto, con la sua capacitá di valutare i fenomeni, di metterli a fuoco, di aprire nuovi varchi nella conoscenza. E di chiarire anche gli aspetti controversi di qualunque  problema. 
Il convegno organizzato a Viggiano per iniziativa di Albina Colella, docente di geologia all'Universitá della Basilicata, su petrolio, acqua e sismicitá con riferimento al caso Val d'Agri, pone alla base di ogni ragionamento la ricerca sulla sicurezza dell'ambiente e il tema della salute, in primo piano, a fronte delle estrazioni di greggio e di gas in un'area tra le più ricche di risorse naturali dell'intero Sud con importanti  emergenze archeologiche che coincide, peraltro, con il parco nazionale dell'Appennino. 
Platea quanto mai autorevole, quella dei relatori con nomi di esperti provenienti da Torino e da altre realtá, con molteplici esperienze di valenza indiscussa. 
Cosa emerge? Anzitutto una enorme insufficienza di dati ed elementi certi in grado di rassicurare minimamente popolazione e amministratori per quanto attiene il proliferare delle trivelle. 
È possibile vivere in una situazione del genere, con mille dubbi sulle emissioni in atmosfera del centro olio e con la contaminazione, praticamente certa, del sottosuolo, dovuta alle perforazioni che raggiungono chilometri di profonditá, addirittura? Cos'è che turba i sonni delle popolazioni della Valle, creando serie difficoltá alla commercializzazione di vini e altri prodotti "in odore" di petrolio? 
Ecco il punto. Non si tratta di opporsi alle estrazioni di greggio, ma di attivare quei meccanismi, finora assenti, capaci di dare garanzie e certezze alla gente. 
Il quadro disegnato dal convegno di Viggiano è decisamente  fosco e allarmante.  Ci sono intanto, fratture  delle rocce sotterranee che vanno al di sotto della Val d'Agri. Un pericolo dunque vero e proprio, tenuto conto - sostiene il prof. Ortolani - della presenza di faglie profonde particolarmente attive potenzialmente dotate di energia sismica, in grado perfettamente di raggiungere il suolo. Il terremoto rovinoso del 1857 è del resto autorevole  conferma. 
La proposta? Dotiamo anzitutto la Basilicata di una carta del rischio e degli strumenti necessari per la verifica delle situazioni in atto.  Ottima idea, ma da far passare anzitutto nella mente di chi minimizza, illude e diffonde una sorta di tranquillitá assolutamente immotivata, sotto vari aspetti. La possibilitá di salvaguardia  delle sorgenti - è stato fatto inoltre rilevare -  va di pari passo con la tutela della salute. Inevitabile chiedersi qual è il ruolo di Regione, Arpab, Asl ecc.ecc. 
In questo clima il Parco nazionale dell'Appennino lucano non riveste una posizione marginale. Tutt'altro. Lo ha ribadito  lo stesso presidente Totaro, d'accordo con chi vede nel parco una garanzia da non sottovalutare. Non solo per l'ambiente, ma per i cittadini. 
C'è da augurarsi, in conclusione, che il convegno non cada nel nulla. Ma rappresenti un precedente da tenere nella giusta considerazione, come non accade purtroppo quando ci si trova in presenza di eventi che hanno davvero il loro peso. E non sono un semplice bla, bla, bla!

venerdì 18 gennaio 2013

FEDERPARCHI: "NEL POLLINO SI PUO' VENIRE TRANQUILLAMENTE"

Gli effetti delle scosse di terremoto sul turismo nel Pollino sono davvero sconcertanti, nonostante le strutture ricettive non abbiano accusato alcun danno e la capacitá di accoglienza risulti non solo intatta, ma migliorata addirittura grazie all'impegno dei gestori.  
SOS Pollino, dunque. Federparchi si mobilita con la presenza a Rotonda e Mormanno del suo responsabile nazionale, Giampiero Sammuri, e di Domenico Totaro, presidente di Federparchi Basilicata, oltre che dei presidenti dei più importanti parchi italiani. Il che vale a testimoniare il valore del Pollino in una dimensione non solo locale e l'esigenza immediata di vitalizzare il turismo, alle porte della stagione primavera estate. 
"Nel Pollino si può venire tranquillamente" ha detto Sammuri  nell'incontro con operatori turistici e amministratori calabro lucani, mettendo a disposizione della storica area protetta l'impegno di Federparchi per riuscire a risalire la china e dare slancio al massiccio. 
Proprio questo è argomento di primo piano che dovrá impegnare al massimo non solo il mondo ambientalista, quanto  le due regioni, Basilicata e Calabria,  in una sfida di carattere nazionale e internazionale. 
Il Pollino è non da oggi un museo della natura nel cuore del Sud, unanimente riconosciuto peraltro, come ha rilevato il presidente del Parco, Domenico Pappaterra, intervenendo in occasione della visita di Sammuri. Il Pollino chiede dunque uno sforzo rilevante, se si vuol parlare di turismo sostenibile e di sviluppo in linea con le caratteristiche della montagna. Un gioiello da non trascurare, pena una perdita di quota dagli effetti disastrosi che potrebbe avere ripercussioni sul piano dello sviluppo in un'area di dimensioni considerevoli. 

Cosa accadrà? Tutto dipende dalle scelte da mettere in campo con impegno e convinzione, ben più che in passato, da parte di vari soggetti.  

martedì 15 gennaio 2013

VENTI ANNI DI MAFIE



Venti anni fa l'arresto del capo di Cosa Nostra, Totò Riina. Un lungo arco di tempo ci separa da quell'evento considerato storico, non so se a ragione o a torto. La mafia intanto è cresciuta, si  è radicata sul territorio, continua ad avere molti "iscritti". Recentemente la trasmissione di Radio Uno Rai, Prima di tutto, ha intervistato un magistrato esperto nel settore che ha fatto notare la straordinaria crescita della 'ndrangheta, ormai forte di migliaia di adesioni di persone appartenenti a qualunque categoria sociale. Uomini e donne, in Italia e all'estero, ragazzi, studenti, lavoratori, professionisti, disoccupati: tutti conquistati dal fascino del potere mafioso che impone regole precise e codici di comportamento. A fronte di questa crescita davvero straordinaria, si fa notare che i pentiti sono meno di cento, ripudiati dalle famiglie e additati dai capi come un bubbone da estirpare. 
Di tutto questo si sente parlare ben poco se non fosse per il sindaco di Corleone, Leoluchina Savona, che ha chiesto scusa a tutte le vittime di mafia per il sangue versato.  Versato non invano, dice il primo cittadino del paese simbolo di quella Sicilia purtroppo legata all'immagine delle stragi, di una mafia potente e inespugnabile. Una Sicilia che annovera in ogni caso uomini e donne onesti, estranei a quel mondo che parla con le armi e mira a distruggere ogni speranza di democrazia e di cambiamento. 
Non so quanto un argomento del genere è davvero al centro di una campagna elettorale tutta giocata sul braccio di ferro tra personaggi di spicco che continuano a dominare la scena del Paese. Una campagna elettorale lanciata alla conquista dei voti, in cui si continua ad aggrapparsi al principio immortale della par condicio, una sorta di ancora di salvezza, una legittimazione di tutto e del suo contrario. 
Pensate. Una campagna in cui finanche il comandante De Falco, della Capitaneria di porto di Livorno, si meraviglia per non avere ricevuto nessuna offerta di candidatura da Monti e dintorni. Perchè? È diventato famoso per avere pronunciato la ben nota frase: "vada a bordo Schettino, c." durante la tragedia della Costa Concordia. Questo è dunque un titolo che consente di aspirare a una candidatura, se non proprio ad un seggio di deputato o senatore. Libero il Comandante di aspirare ad andare in Parlamento per una frase pronunciata, ma se la politica è fatta di queste cose davvero non c'è da meravigliarsi di nulla!

giovedì 10 gennaio 2013

IL NUCLEARE DEVIATO - L'INDAGINE DI NICOLA PACE


I

Il magistrato che ha davvero posto al  primo punto della sua agenda di lavoro il capitolo della lotta senza quartiere al nucleare deviato, o illegale, è stato e rimane senza dubbio Nicola Pace, scomparso recentemente.
Tra le  carte riferite alle indagini sui rifiuti nucleari ho trovato un appunto, a dir poco sconvolgente, dopo le conclusioni senza esito delle varie inchieste circa l'affidabilitá del pentito che aveva dato indicazioni in ordine al capitolo dei fusti trafugati dalla Trisaia di Rotondella. Ecco il testo.

"Fu inviato al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, un documento riservato dell'ENEA disp (il dipartimento ispettivo dell'Ente) in cui si rilevava che uno dei contenitori dei rifiuti liquidi ad alta attività presente nella Trisaia di Rotondella si era rotto creando un grave pericolo.
Pace fece pervenire il documento al Presidente Scalfaro che lo contattò tramite Gifuni, segretario generale della Presidenza della Repubblica. Fu avvertito anche il Presidente del Consiglio dei ministri, Lamberto Dini.
In proposito la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti rilevò che le indicazioni fornite dal pentito di 'ndrangheta coincidevano con l'esito delle indagini di Pace."
Mi chiedo: quali risultati concreti ha determinato tutto questo? Credo nessuno.