sabato 22 marzo 2014

CALVELLO, A TU PER TU CON IL PARCO E IL PETROLIO


LA FORZA DELLE IDEE METTE IN MOTO L'ECONOMIA

Calvello, un paesino di montagna del potentino. Ha una caratteristica. Dá subito una bella immagine di sé: ben messo, pulito, accogliente e non solo. Ma governato bene in modo da evitare che la gente vada via e i giovani prendano altre strade con l'unica conseguenza di uno spopolamento senza alternative. 
Qui il Parco nazionale dell'Appennino lucano e il petrolio convivono, a conferma della possibilità di mettere insieme energia e ambiente, due aspetti della vita quotidiana che a Calvello hanno davvero il senso della cose possibili.
Mario Gallicchio, il sindaco economista, considera la sua comunità  una vera realtà laboratorio, tutta protesa verso un nuovo metodo di governo della cosa pubblica. Un metodo in cui gli interessi dei singoli entrano a far parte concretamente del modo di gestire le risorse e di amministrare il comune, per quanto piccolo, ma tuttavia capace di rappresentare un modo nuovo di vivere la realtà locale. Un modo nuovo di fare politica, a volerla dire tutta in tempi di contrasti e perenni contrapposizioni.
"Se l'economia non si sviluppa tra i protagonisti locali della società, la macchina non va avanti. Si blocca con tutte le conseguenze possibili." È la tesi del sindaco che studiando ed esaminando il modello di sviluppo finisce per trovare molte soluzioni al tipo di crescita. Dice infatti di aver registrato un incremento del 35 - 40 per cento nelle varie attività che riflettono una realtá dinamica, per quanto piccola ma significativa ad ogni modo. "È un trend che si nota e si vede. Qui entrano milioni di euro all'anno, soldi destinati ad alimentare i consumi e a mettere in moto l'economia locale, evitando la stagnazione. Stiamo programmando anche altri interventi in modo tale che anche quello che esce fuori deve rimanere in questo territorio. In questa realtà, a mio giudizio, ci sono tra i sessanta e gli ottanta milioni di euro tra poste e banche. Già oggi."  
Filiera sociale, filiera energetica e filiera turistica: ecco tracciato il percorso da seguire, con il turismo da rinnovare e rilanciare mettendo alla base di tutto il parco con le sue risorse, nonostante non manchino i pozzi di petrolio, autorizzati prima della perimetrazione. 
Ma questo non sembra scoraggiare Calvello, giacchè si punta su un progetto fondato su una convenzione con l'ente parco, precisa il sindaco, tendente a mettere in piedi un itinerario percorribile grazie a una  sentieristica adeguata. Una sentieristica d'avanguardia che consentirà al turista-visitatore di vedere le  bellezze naturali con segnaletica, gps e altro ancora. 
Al centro dell'interesse il monte Volturino, bellissima realtá tutta da scoprire e mettere a frutto. Da far conoscere non solo a chi viene da fuori, ma anche ai lucani, ad esempio. 
Le biomasse sono poi un altro dei capitoli virtuosi, sottolinea Gallicchio, attribuendo quasi un potere taumaturgico al legno e alla sua capacitá di alimentare una centrale vera e propria, con l'occhio rivolto all'autonomia e alla produttività. Che sono dati essenziali per far crescere una comunità, di qualunque dimensione.
Alimentare l'economia, dunque, difendendo l'ambiente e battendo la vocazione atavica alla lamentela. Al pianto inevitabile. Anche questa una scelta strategica, evidentemente basata non solo sul denaro, ma sul cambiamento di certe logiche. Su una nuova mentalità, ispirata a criteri diversi sui quali bisognerà costruire il futuro. 

venerdì 21 marzo 2014

LETTERA APERTA A DON LUIGI CIOTTI E A DON MARCELLO COZZI

            


 Carissimi, il vostro personale impegno nella lotta alle tante mafie, di cui è lastricato il Paese, rappresenta più di una semplice testimonianza o di un gesto compiuto in nome della vostra fede, nel momento in cui l'annuale manifestazione di Libera sottopone all'opinione pubblica nazionale il problema di una legalità calpestata e spesso disattesa. Anche dalle istituzioni e da certi organi dello Stato. 
Gli interventi di don Luigi a Radio anch'io e di don Marcello a Prima di tutto sono di fatto un momento di grande impegno civile e di dedizione alla legalità, nel nome di Libera.
Vorrei far riflettere chi legge questa lettera su un particolare aspetto:  Libera non è una semplice associazione, un insieme di persone decise a far valere il messaggio del Vangelo e a far rispettare le leggi dello Stato. Libera è un grimaldello nel cuore del malaffare e rappresenta la più potente organizzazione per consapevolezza del ruolo e per la sua capacitá di attrarre il consenso delle coscienze di migliaia di uomini e donne onesti. Libera è davvero oggi un baluardo chiamato a difendere inermi cittadini, a rappresentare gli interessi dei deboli, a battersi per dare voce a chi non è in grado di farsi ascoltare perchè non ha denaro e non ha potere. Non ha soldi da distribuire in cambio di quella voce in capitolo di cui spesso non ci si rende conto...
Gli episodi di questi giorni parlano chiaro: un colonnello della Guardia di Finanza finito agli arresti domiciliari. Una infermiera, o sedicente tale, inquisita per una serie di motivazioni, ancora non tutte note. Donne uccise o minacciate in nome della violenza mafiosa. E poi tonnellate di cocaina sequestrate. 
Ecco il Bel Paese, signori. Il Paese nel quale i misteri s'infittiscono di giorno in giorno e si tenta di risalire alle responsabilità di fatti di sangue, ancora per nulla chiariti e che resteranno tali probabilmente, a cominciare dalle tante responsabilità per l'assassinio di Elisa Claps, nella Basilicata del petrolio e delle grandi contraddizioni.
Non vorrei che la vostre voce, don Luigi e don Marcello, fosse costretta ad essere una voce nel deserto. Mi rifiuto di accettare una ipotesi del genere. L'autorevolezza delle vostre prese di posizione e il calore della gente semplice e onesta, ma anche di tante persone di alto livello, sta a dimostrare che non siete soli e non resterete soli. 
Un grande abbraccio. Rocco de Rosa

mercoledì 19 marzo 2014

FINITA NEL NULLA A MARSICONUOVO UN'ASSEMBLEA POPOLARE SUL PETROLIO



TRA URLA E CONTESTAZIONI NON SI DISCUTE AFFATTO



La mancata assemblea popolare del 17 marzo a  Marsiconuovo, in un clima infuocato, apre scenari inquietanti e impone a tutti di capire fino in fondo quanto di democrazia esiste nella vita di tutti i giorni giacchè di democrazia si vive, di arroganza e di integralismo si muore. Non vi è dubbio.
Che un'intera classe politica dirigente abbia accumulato in passato responsabilità non lievi, per non dire assai pesanti, in ordine alle vicende del petrolio, del controllo della salute e del territorio,  della salvaguardia dei principali equilibri ambientali è fuori dubbio. È anzi un dato fin troppo evidente e consolidato.  Ma che si debba andare avanti rinunciando a un vero  coinvolgimento della gente nei processi di estrazione del greggio è cosa altrettanto disdicevole e deprecabile, sotto ogni aspetto. Un rischio da non correre.
Sfugge anzitutto un dato: la mancanza di un serrato confronto sui nuovi orizzonti che si aprono davanti alle compagnie, sia  in ordine alla tutela degli equilibri ambientali e della salute,  sia per quanto attiene al lavoro e allo sviluppo rappresenta un grave deficit di proposte per chi governa il territorio e per i diretti interessati, i cittadini prima di tutto. 
Se la gestione di tutto il pacchetto petrolio viene sottratta all'opinione pubblica, essa rimane appannaggio esclusivo delle compagnie petrolifere, vale a dire di chi ritiene lo sfruttamento intensivo del sottosuolo della Basilicata un obiettivo imprescindibile da condurre con tutti i mezzi in una lotta impari contro il tempo e la politica. Contro  chi si ostina a chiedere garanzie per la gente.
Avere costretto il Presidente Pittella ad abbandonare l'assemblea, perchè nell'assoluta impossibilità di parlare, è non solo un dato senza precedenti, quanto un pessimo segnale di un ribellismo senza sbocchi, nè reali giustificazioni.
Le strade sono due e soltanto due. O si avvia una fase di confronto e di controllo su ciò che accade, o in alternativa c'è l'impossibilità di orientare qualunque scelta e di conseguenza qualunque processo democratico. Qualunque decisione di rilievo. Affidando ai petrolieri davvero la prima e l'ultima parola. Cioè tutto.
Il petrolio in Basilicata, si badi bene, non è soltanto il simbolo di una nuova stagione, quanto una vera e propria minaccia di espropriare il territorio ed i cittadini di qualunque espressione di giudizio nel merito, di qualunque capacitá di riuscire a tenere sotto controllo processi e situazioni di portata straordinaria.  Per non dire planetaria. 
Il petrolio è regolato da leggi e consuetudini industriali per nulla paragonabili ad altri processi economici. Consuetudini che fanno delle compagnie altrettanti motori dotati di una indicibile capacitá di operare in modi e maniere funzionali alla legge del massimo profitto e del massimo  sfruttamento, del suolo e del sottosuolo. Una condizione orribile per chi la subisce, soprattutto poi se chi la subisce non è in grado di confrontarsi al suo interno. Di operare secondo le regole del  controllo democratico esercitato con lucida competenza e grandissima trasparenza politica.
Lacerazioni e contrapposizioni rappresentano dunque un vulnus nel tessuto sociale di questa terra del Sud, ricca di risorse, ma povera, se non assolutamente priva di una capacitá dirigente all'altezza della posta in gioco. Almeno fino a ieri. Occorre, dunque, evitare che questa negatività continui a produrre ulteriori disastri. Ecco perchè è necessario discutere liberamente, con il massimo dell'apertura e con il senso vero del ruolo della politica.

sabato 15 marzo 2014

BASILICATA OLTRE LA CRISI. QUALE FUTURO?


 INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE,  PIERO LACORAZZA



                           




Non è possibile attendere più di tanto. La macchina pubblica, le istituzioni dal governo fino ai comuni, hanno la responsabilità di dover dare delle risposte. Ma risposte vere alla gente che aspetta da anni, forse da decenni. Da quando le prime crisi degli anni Settanta dimostrarono che bisognava cambiare un po' tutto e che nulla sarebbe  stato uguale al passato.
Superato il tunnel (almeno la parte più buia) la Basilicata si trova difronte a un interrogativo: quale domani  costruire? A differenza di altre regioni ha un mare di risorse da mettere a frutto. Tante potenzialità, per buona parte inesplorate, che non lasciano margini di spazio a vuoti di iniziativa. O, peggio, a iniziative inadeguate. L'alternativa è una caduta verticale, senza  ritorno. Come un aereo che cade in picchiata. 
Alla vigilia di una stagione di confronto e di dibattito in seno al Consiglio regionale e tra le forze politiche sembra, dunque, legittimo chiedersi quali prospettive realmente si aprono. Cosa potrà accadere e cosa dovrà accadere.  Ecco cosa risponde Piero Lacorazza, presidente dell'Assemblea. 
"L'assemblea legislativa deve essere più  aperta, più visibile, più trasparente agli occhi dei cittadini. L'assemblea  deve costare meno: abbiamo ridotto le presidenze delle commissioni, non ci sono più vitalizi, nè trattamenti di fine mandato e altro ancora: da un lato ridurre i costi e dall'altro rendere più funzionale il Consiglio. Abbiamo inoltre badato ad una reale informatizzazione dei vari meccanismi, a cominciare dalle commissioni, perchè siamo convinti che non è solo un aspetto di comunicazione ma di sostanza. Il nesso tra politica e le nuove generazioni è fondamentale: se ci si relaziona meglio da parte dei giovani con i meccanismi delle istituzioni è possibile fare in modo che si riesca ad inserire istanze e richieste concrete nell'attività legislativa, ad esempio. Il nostro scopo è riuscire a essere una regione fruibile da tutti, un palazzo di vetro, una realtà trasparente e non chiusa. 
La mia idea, inoltre, è di riuscire a mettere insieme pubblico e privato, in una sorta di convivenza e di simbiosi utile per dar vita a delle leggi in sintonia con i bisogni reali della vita   dei giovani."

Questa società è impegnata nel tentativo di costruire il suo domani, sia a livello collettivo ma anche individuale. Come aiutarla. Cosa fare, insomma.

"La riposta potrá venire se costruiremo i canali della partecipazione: una partecipazione concreta che significhi testimonianza e anche cambiamento. Occorre un salto culturale che ci consenta di pensare a questa terra  come ad una regione del mondo, con le nostre caratteristiche, anche con le nostre difficoltá ed i nostri deficit. Dobbiamo capire cosa nel mondo di sta muovendo, dobbiamo sapere interpretarlo a nostro vantaggio con immediatezza e lucidità. Altrimenti tutte le possibili risposte saranno già in ritardo perchè da altre parti sono stati imboccati altri percorsi, magari ben più efficaci." 

La Basilicata è la regione delle risorse: acqua, petrolio, Fiat e non solo. È ipotizzabile un dibattito su come utilizzarle? 

"Abbiamo già previsto ben quattro appuntamenti che possono segnare un buon inizio della legislatura. L'otto e il nove aprile approveremo la prima legge di bilancio di questa consigliatura. Lo scopo è proprio quello di fornire un'idea ben precisa per dire da che parte stiamo dentro la crisi. Il quindici aprile faremo un consiglio regionale dedicato alla Università della Basilicata perchè io penso che dentro questo percorso di futuro e di prospettiva noi dobbiamo valorizzare al massimo il nostro ateneo, come agente culturale, come agente economico, espressione della cultura e della scienza: non un'idea chiusa, magari favorendo anche un network con altre università, altri centri di ricerca, instaurando un rapporti utile e dinamico tra locale e globale fondato sul sapere e sulla scienza, per trasformare tutto questo in opportunità per il territorio. 
A breve discuteremo del modo con cui utilizzare le risorse in vista di nuove opportunità di crescita e di sviluppo. Cosa indispensabile. Senza trascurare, è ovvio, l'esigenza di aprire un dibattito sullo statuto regionale. Uno strumento indispensabile per andare avanti su un cammino giá tracciato."

Per concludere, presidente Lacorazza, ci sono spunti e stimoli nuovi anche per la politica, per le istituzioni. Non trova?

"Certamente, ma in ogni caso bisogna avere la consapevolezza di non essere all'anno zero, per quanto il contesto sia profondamente cambiato rispetto al passato. La storia non ha salti. Quindi mettere a valore ciò che di buono è stato fatto ma avere la capacitá di interpretare questo nuovo tempo, la modernità, anche con un pensiero critico. Non c'è tuttavia un futuro senza memoria, una chioma di albero senza tronco e senza radici.  Così facendo potremo progettare un futuro migliore, sotto ogni aspetto, nell'interesse della comunità."

lunedì 10 marzo 2014

PRESIDENTE RENZI VADA A VISITARE IL PARCO DELL'APPENNINO, ANCHE SOLO COME TURISTA



La villa dei Bruttii Praesentes, a Barricelle di  Marsicovetere, gli scavi della Torre di Satriano e quelli dell'antica Grumentum bastano da soli a rappresentare il Parco dell'Appennino nella sua vera essenza. Sono un richiamo forte, un motore potente di sviluppo turistico. 
In fin dei conti sarebbe già sufficiente pubblicizzare  queste realtà per dare slancio all'area protetta e farla conoscere in una dimensione tutt'altro che minuta e inconsistente. La dimensione del suo passato e del valore delle sue realtà storiche, archeologiche, oltre che paesaggistiche.
La presentazione agli operatori del portale turistico del Parco nazionale dell'Appennino lucano prende spunto da queste e da altre motivazioni concentrate intorno all'esigenza di attrarre flussi qualificati di visitatori, ponendo alla base di tutto una scelta politica ben precisa. Il Parco è un dato dello sviluppo e come tale va inteso e considerato. Come tale va presentato non solo ai turisti ma in particolare a chi si trova a compiere delle scelte in campo nazionale e in sede locale.
Il problema vero della giovane area protetta consiste  proprio nel riuscire a polarizzare su di sé un'attenzione particolare, in grado di dar vita a delle scelte ai vari livelli per pubblicizzare, diffondere, far conoscere e promuovere una realtá di questo livello. Una realtá che dalla sua istituzione fino ad oggi, e presumibilmente anche in futuro, rimane e rimarrá  l'unico vero baluardo in difesa di un ambiente di estremo valore ma al tempo stesso di grande delicatezza: la vicinissima zona di estrazione del petrolio, con tutte le criticità ed i rischi collegati alla presenza del più grande giacimento di greggio in terra ferma a livello europeo, non fa dormire sonni tranquilli. 
Per rispondere adeguatamente agli sforzi del Parco, non soltanto la Regione Basilicata quanto il governo Renzi  debbono agire con tempismo e coerenza a cominciare da subito perchè la Basilicata non può attendere. Rinegoziare l'intesa governo, Regione, Eni ed altre compagnie petrolifere non significa puntare a qualche euro in più, quanto piuttosto ottenere un impegno a favore di un Parco che ha tutte le carte in regola per avanzare legittime pretese.
Renzi e il suo governo non possono trasformarsi in altrettanti tour operators pronti a spezzare una lancia per il Parco nazionale dell'Appennino lucano Val d'Agri Lagonegrese. D'accordo. Ma possono sottolineare in mille modi la valenza e le peculiarità dell'area. Anzi se il Presidente Renzi andasse a trascorrere qualche ora nel Parco, per rendersi conto di cosa esso rappresenta, sarebbe in fondo un riconoscimento a questa terra del Sud che nasconde molti tesori. Tesori importanti, testimonianze autorevoli di una cultura dell'ambiente e della storia da non far cadere nel nulla. Ecco cosa vuol dire turismo.

domenica 9 marzo 2014

ORRIBILE OTTO MARZO

Continua la strage delle donne

Non c'è un 8 marzo più barbaro e atroce di quello appena trascorso. 
In meno di 24 ore tre donne sono state uccise, mentre l'opinione pubblica assiste inorridita all'orribile esecuzione di Ofelia Bontoiu, accoltellata in una stanza d'albergo a Gualdo Tadino, in Umbria, dalla mano assassina del fidanzato che aveva proposto alla ragazza, a quanto si apprende, di trasferirsi in Inghilterra. L'omicidio nel corso di una violenta lite provocata dalla contrarietà della vittima nei confronti della proposta di trasferimento. 
La macabra storia non finisce qui. Il fidanzato dopo l'omicidio avrebbe filmato il corpo esanime della ragazza e poi si è tagliato le vene.
Tutto questo mentre il Presidente della Repubblica ha conferito una onorificenza a Lucia Annibali, avvocato di Pesaro, la donna sfregiata dall'acido che mostra al mondo intero le sue mutilazioni. Un simbolo della violenza e dell'orrore. 
Non ci sono parole per commentare fatti di cronaca di questa gravità, destinati purtroppo a ripetersi nonostante i mille richiami alla necessità di avere rispetto delle donne e non solo delle donne. La follia non ha limiti e cerca ogni giorno vittime inermi.

venerdì 7 marzo 2014

ADOZIONI, UN BAMBINO COME UN CAVALLO DI RAZZA

                                     
                   don Franco Corbo con il rappresentante di uno Stato africano
                                   

Adottare un bambino al prezzo di un cavallo di razza. Questa l'amara constatazione di due aspiranti genitori  del potentino che si sono trovati all'improvviso davanti alla richiesta di ben 32 mila euro per portare in porto il sogno, umano e meraviglioso, che coltivano da anni: adottare quel bimbo  conosciuto tempo addietro, apprezzato, finanche amato ed al quale si sentono legati da sentimenti veri. 
Ai  32 mila euro andrebbero aggiunte varie altre spese, è stato precisato con cinica determinazione, una volta compreso che i due, una coppia abbastanza giovane, del bimbo proprio non riescono a fare a meno. È  diventata la loro ragion d'essere. Lo scopo della loro vita. Chiaro? 
Fin troppo chiaro, al punto che i due coniugi non hanno smesso di sperare in un ripensamento del mediatore o dell'ignoto incaricato d'affari che ha presentato loro il conto salatissimo, anzi improponibile. Per questo non intendono svelare il Paese d'origine, nè vogliono fornire altri dettagli per paura che l'inevitabile clamore possa mandare in fumo anche le poche speranze residue di un ridimensionamento delle pretese economiche.  Per giunta non si tratta di gente facoltosa. Ma di lavoratori come tanti altri. 
"Riuscire a denunciare questi abusi" sottolinea Luciano Lebotti, animatore del Centro adozioni internazionali della Parrocchia di Sant'Anna a Potenza. L'uomo che lavora da anni, con pazienza certosina, a tessere la tela dei rapporti  con varie realtá estere per favorire il meccanismo delle adozioni ed evitare, come dice lui stesso, che le speranze di tanti genitori adottivi vadano in fumo.
Un mondo misterioso e arcano quello delle adozioni, fatto di attese infinite, di promesse e di speranze a volte realizzate, ma spesso deluse con un gioco di denaro da non sottovalutare, come nel caso dei genitori del potentino. Un mondo finanche incomprensibile ma sterminato, senza confini, in cui la politica dei vari stati si mescola non di rado a operazioni di potere, alle assurde pretese portate avanti da rappresentanti e mediatori, pronti a vedere nell'adozione una possibilitá di realizzare un sicuro affare. E non solo. Un mondo in cui il nostro Ministero degli Esteri ha un ruolo a volte incisivo, a volte addirittura inconsistente.
Il Centro adozioni GVS  di Sant'Anna, a Potenza opera ai massimi livelli con l'Africa, il Sud America. Ma anche con la Bielorussia che ha da poco liberalizzato il meccanismo delle adozioni. Il centro è una realtá di ben diverso rilievo, rispetto all'apparente modestia delle sue iniziative. Non solo per il respiro internazionale, quanto per gli obiettivi che persegue  da anni. 
La vera mente pensante e operante, il Deus ex machina, è don Franco Corbo, il parroco di Sant'Anna al quale non mancano i necessari strumenti per operare ai vari livelli, con tempismo ed efficacia. 
Si parla di un convegno da organizzare quest'anno, in concomitanza con la festa di metà giugno a Potenza, una circostanza in grado di mobilitare energie, risorse, con tanti genitori e tanti bimbi soddisfatti delle nuove famiglie, ma con un mare di problemi da risolvere. 
Il convegno sarebbe un contributo importante per discutere di questioni enormi, per chiedere e dare risposte ancora mancanti ad un mondo del quale si parla pubblicamente solo in quel giorno di festa. Incredibile anche questo!

sabato 1 marzo 2014

ALBERI - uomini


La natura è  più umana degli uomini. Essa è capace di sottrarsi a quell'incessante opera di distruzione alla quale dalle origini della storia  è stata sottoposta per colpa di chi non si cura di nulla, nemmeno del futuro dei propri figli.
Gli alberi di bosco Ralle, a Satriano di Lucania, sono una testimonianza  di questa sfida perenne. Vivono del loro vigore e della loro imperturbabile saggezza.


                                   ALBERI uomini

racconto di Rocco De Rosa

Camminava con passo incerto soffermandosi a tratti tra cespugli e anfratti nel folto del bosco, calpestando i rami caduti dopo le nevicate; a volte inciampava, quella mattina d'inverno incerta,  con il cielo d'un grigio pesante che prometteva ancora maltempo e tanta neve.
Michele sembrava non meravigliarsi per il tempo uggioso, molto simile al suo carattere.  E intanto volgeva lo sguardo alle cime dei monti circostanti dove immaginava ci fosse se non altro almeno una persona, qualcuno che magari si nascondeva non per gusto ma per una scelta precisa. Una scelta di vita. L'idea di vivere tra le cime ed il cielo, a contatto con gli alberi, creava dentro di lui forti emozioni che sollecitavano a loro volta pensieri profondi e facevano vibrare la sua anima. La vitalità degli alberi era percepita dal suo intimo come qualcosa di indescrivibile: una sorta di sensibilità estrema che aveva un che di umano. Una forza interiore.
Ma nonostante vari sforzi non  riusciva a vedere su quei monti non dico una moltitudine di uomini e di donne. Ma nemmeno una piccola comunità di contadini e montanari. Di gente che  con la propria presenza volesse animare la scena. No, niente di tutto questo. Quasi un deserto, senza sabbia ma con la neve per terra.
Michele cercava in effetti un eremita, un solitario. Una persona capace di rimanere in contatto con la sua solitudine tra gli anfratti e i nascondigli disseminati sulle pendici della torre di Satriano, antica torre normanna, che ha reso la montagna sulla quale sorge  misteriosa e struggente.  Con un fascino tutto suo e una bellezza tale da riuscire a raccontare il passato.  
Michele cercava in effetti una  persona determinata a vivere a diretto contatto con la natura, lontano da tutti, per  fare da esempio per tanti altri uomini, illusi e disorientati. Scontenti, infastidi dalle regole della cosiddetta societá civile e del progresso. Spesso soltanto illusorio. Il pensiero di poterla  trovare con quasi assoluta certezza gli dava  una gioia vera e insieme  un senso di piacere e di sicurezza.  Una certezza costruita  nella sua mente, ma ad ogni modo capace di farlo sentire forte e coraggioso.
La torre è il culmine, esattamente come la solitudine che non può essere confusa con altre condizioni di vita giacché rappresenta davvero il massimo. La solitudine dimostra la supremazia dell'io, quell'io che Michele sperimentava in sé stesso, ogni giorno, sentendosi soddisfatto proprio perchè libero. Assolutamente libero. 
Vagando per i boschi, l'uomo si lasciava  conquistare dall'eremita per nulla preoccupato di non vivere con gli altri. In mezzo alla gente.  Pensava a lui addirittura come si può pensare a una persona  originale, stravagante. Ma anche coraggiosa, piena di orgoglio e di una vitalità prorompente. 
Intanto si guardava intorno e non vedeva altro che foglie, rami, alberi, e scorgeva tuttavia in quel mondo un esempio di vita vera. Autentica. Quasi un ritorno alle origini, davvero esaltante.
Il contatto con le foglie e con i profumi della  natura lo faceva sentire protagonista e gli dava una carica di serenità difficile da realizzare nella vita di ogni giorno.
Le sue non erano semplici fantasie. Ma il risultato di una spinta interiore. 
"Eccolo lì l'eremita, lo vedo finalmente, è proprio lui sulla montagna, pronto a inerpicarsi per i sentieri. Beato lui che può vivere tra gli alberi. Senza preoccuparsi di nulla. Davvero di nulla". Lo vedeva, ma non era certo che fosse davvero lui.
L'eremita gli appariva come una figura incerta: dotata di una straordinaria capacità di mimetizzarsi e di cambiare atteggiamento. Di essere diverso. La sua condizione di persona isolata gli dava però una straordinaria forza e lo faceva sentire  dominatore incontrastato di tutto. 
Il giorno avanzava, frattanto. Mentre  raccoglieva delle foglie e dell'edera nel bosco Ralle,  per provare a ricoprirsi il corpo Michele vide addirittura un albero che si faceva avanti. E non credette ai suoi stessi occhi. Sembrava avere la capacità di muoversi. Era in effetti un uomo in tutto e per tutto. Addirittura era interessato ad avviare un dialogo con lui, uomo quasi albero. Pronto a trasformarsi senza alcun timore di cambiare la sua stessa essenza di essere umano.
L'albero mentre si muoveva aveva finanche atteggiamenti meditati e  con l'aiuto di Francesca - una ragazza che frequentava il bosco per sentirsi libera,  quando non era costretta a lavorare - accarezzava  l'idea di dominare tutta quella scena in cui gli alberi, pian piano, stavano dando libero sfogo alle loro passioni. In un regno incontrastato e pieno di fascino. Non erano degli automi, ma alberi veri in grado di dare una sterzata alla loro stessa natura di vegetali.
Ebbe un momento di grande esaltazione: Michele voleva far sapere a tutti la sua volontá di cambiare la vita di amici, parenti, persone che incontrava per caso lungo le stradine ed i vicoli della sua terra, Satriano nella Lucania dei boschi, un luogo umile e meraviglioso, proprio ai piedi di un bosco che finisce per interpretare il carattere degli abitanti, trasmettendo loro quel temperamento severo, fatto di umiltà e di piccole cose. Ma forte e determinato. Una terra in cui la passione vissuta dagli alberi è alla base della vita degli uomini che accettano con piacere la supremazia della natura, vera e suggestiva per la sua stessa dignitá. 
Cercava di rendere partecipi finanche le bestie di quel che aveva in mente. Stava infatti  costruendo  un mondo tutto suo, al quale era intenzionato a dedicare ogni energia, noncurante delle abitudini degli altri e di quello che gli  altri potessero dire. O pensare. 
Un mondo nuovo, davvero sorprendente. 
Le  scelte fatte  dagli alberi si rivelavano capaci  di trasformare le piante in uomini veri. Con le foglie sul capo e con l'edera che si arrampicava sul corpo nascondendo tutto. L'edera, il segno del possesso totale: come gli uomini anche le piante sono capaci di possedere e di far vivere amori e passioni forti. L'edera che nasconde tutto e modifica tutto era il segno della tenacia della vita degli alberi che non si arrendono davanti a nulla, e vanno avanti per proprio conto. 
Michele ad un tratto incontrò Domenico proprio ai margini della vecchia strada che dalla torre scende per le contrade e segue le asperità di un territorio non facile, ma con grandi orizzonti capaci di riempire la vita. 
"Michele, mi sembri quasi conquistato dagli alberi, dalla natura silenziosa e dal fruscio delle foglie. Sai che ti dico? Sono proprio contento. Faccio  entrare gli alberi  nella mia vita. Faccio in modo che quella loro immagine accattivante non sia destinata ad essere sopraffatta dagli uomini anche perché gli alberi prendono  il posto degli uomini... Si, questi alberi di bosco Ralle  sono un prodigio. Lo dico davvero! Sono capaci di fare mille cose. 
"Hai ragione, Domenico. Gli alberi-uomini mi danno una gioia incredibile. Te lo assicuro."
Quelle piante continuavano intanto a muoversi. Facevano passi avanti. Finchè un albero non incontrò Luisa, donna d'incanto. Bella e disinvolta. Ma soprattutto donna sul serio. Aveva sembianze accattivanti con una carnagione che da sola trasmetteva messaggi a chi le stava vicino. A starle vicino erano uomini e donne, anche sconosciuti, attratti dal suo volto e dalla sua femminilità;  da un carattere non comune. 
Un albero capì tutto questo. Si fermò sul sentiero poco a monte di Satriano, dove gli alberi sembravano voler continuare la loro opera in difesa di un mondo migliore. Luisa era lì anche lei,  proprio lì. Metteva in mostra tutto il suo temperamento: l'albero la guardò in faccia con atteggiamento dolce e interessato. Ma non si accontentò di questo. Cercò dolcemente di sfiorarla con i rami. Addirittura accennò un bacio sul volto della donna. Luisa rimase colpita da questo gesto e volle ricambiare aprendo le braccia e stringendo l'albero al suo corpo. Il tronco  le apparve addirittura familiare. Come se lo avesse stretto a sé chissà quante volte con un gesto abituale. I rami e le foglie  simili a carezze d'autore. Tutto sembrava dolce e spontaneo,  fuori da certe abitudini ormai abbastanza comuni. 
Luisa non era in sé, per la gioia di avere assistito a un evento così singolare, quanto imprevedibile. Non immaginava che la natura fosse capace di tanto slancio, forse ben più degli uomini. E per questo tentò di ricambiare  un atteggiamento che voleva essere di riconoscenza profonda verso l'albero. Un sentimento di amicizia e di stima.
"Ricorda: non mi è mai accaduto di riservare a una pianta quell'affetto così spontaneo che si nutre per un uomo. Magari per il tuo uomo. Albero... ascolta, devo darti un nome. Questa sì è un'idea che mi fa star bene. Ecco! Se sei d'accordo ti chiamo con il nome di un grande uomo che ha saputo cantare  piccole e grandi cose della nostra vita e di quella dell'aldilà. Ti chiamerò Dante. Perchè sei grande e imponente e poi non susciti soltanto ammirazione, ma un sentimento ancor più profondo, più autentico!  Un senso di piacere che ti conquista e non so descrivere, sinceramente. Dante, bello, eh! Poi ti si addice. Il tuo capo è cinto da una corona che serve a immortalare le tue glorie." 
"Le mie glorie?" Osservò meravigliato l'albero, stupito per tanto slancio che la donna gli riservava.
"Si esattamente le tue glorie, per aver dato ospitalità a tanti uccelli con i loro nidi. Ma mica solo questo. Anche per essere riuscito a pulire l'aria con la tua chioma, a trattenere il terreno evitando frane e sciagure. E tanto altro ancora.  Hai  la dignità di un uomo e forse ancora di più..." 
Luisa era  commossa per avere riconosciuto agli alberi un ruolo umano. Ed era anche sorpresa, impacciata, addirittura preoccupata per aver visto gli alberi avere comportamenti da veri uomini nei suoi confronti. Altro che! Una rivoluzione? 
Gli alberi uomini rappresentavano per lei qualcosa di più di una società composta da sole persone. Quegli uomini che fingono di essere eremiti, che cercano la solitudine non sono una  novità. Sono  piuttosto il frutto di atteggiamenti, pensava Luisa,  dettati da voglia di protagonismo per attrarre l'attenzione e avere una briciola di celebrità. Gli alberi sono genuini e autentici.
Gli alberi che si muovono e camminano sono invece una realtà.  Poi gli alberi hanno una loro bellezza. Forti e austeri  sono creature come noi, capaci di osservare il mondo che ci circonda. 
Intanto gli alberi continuavano a muoversi. A ragionare. Si spostavano. Avevano voglia di dominare Satriano per farsi conoscere e parlare con gli abitanti, ma anche con la gente di altri luoghi. 
Accolti come amici da tante persone, erano diventati di casa, ma non solo nel loro luogo d'origine. S'intrattenevano finanche con i ragazzi invitandoli a trascorrere del tempo in loro compagnia, mentre Dante, l'albero maestro dotato di un'autorevolezza pari al suo nome, dominava la scena. Davvero una festa.
Nel breve volgere di qualche minuto molti ragazzi si avvicinarono a lui. Lo accarezzavano come si può accarezzare un bimbo. Gli facevano tante domande e gli mostravano tanta simpatia. Volevano sapere da lui il perchè della vita, nientemeno. 
"Dante ma cos'è il  tempo e perché passa così veloce?" gli chiese uno dei ragazzi che aveva tanta voglia di scrutarlo nella sua intimità. 
Una domanda imbarazzante davanti alla quale l'albero Dante non seppe rispondere: non solo perché non sapeva cosa dire, ma soprattutto perchè un interrogativo del genere lo faceva sentire più in alto di un semplice uomo, addirittura. Investito di una responsabilità non da nulla. Si sentiva simile a una divinità, di quelle che hanno da sempre dominato i riti arborei.
Ecco  perché esitò  prima di rispondere, anzi evitò di rispondere, combattuto dall'idea di mettere in evidenza il suo potere di albero uomo o di tacere come una creatura qualunque che davanti alle leggi dell'esistenza si arrende. Balbettò qualche suono, una mezza parola sotto la spinta del vento che a tratti animava la scena. Un sibilo, simile a una voce. In effetti era una voce della natura forte e chiara, soprattutto ben determinata per dire cosa fosse la condizione di un albero che vive dell'esistenza umana con la  consapevolezza di chi sa confrontare il ruolo della natura e quello degli uomini. Due strade apparentemente distinte, destinate a incrociarsi e forse a sovrapporsi.
Da quel momento gli alberi di Bosco Ralle ebbero una loro vita diversa dal passato. 
La foresta si era trasformata in un regno in cui i faggi e le querce dialogavano tra loro e continuano a farlo tuttora, con le chiome rivolte verso il cielo. Sotto il sole o con il gelo dell'inverno, quando la natura sembra addormentarsi e poi d'incanto si risveglia, esattamente come fanno gli uomini. Ma con uno spirito diverso perché, a differenza degli uomini, gli alberi lambiscono l'infinito. Lo accarezzano finanche. Arrivano lá dove gli uomini non sanno o non vogliono arrivare.