martedì 18 aprile 2023

ROCCO SCOTELLARO OSSERVATORE DEL TEMPO E DELLA STORIA



                           


UNA DELLE OPERE PIU' IMPORTANTI DI ROCCO SCOTELLARO


Una stagione della vita raccontata in versi e in prosa, con la sensibilità di chi è in grado di cogliere i momenti di un’esistenza difficile, l’esistenza degli ultimi, percorsa dalle lotte per sopravvivere. Per non essere calpestati. Per far valere il senso della giustizia e dell’umanità. Il rispetto dovuto a chi non ha. Peraltro negli anni del secondo dopoguerra, e oltre, gli ultimi non erano una sparuta minoranza ma una realtà importante dal punto di vista numerico anzitutto e del peso sociale. Erano il popolo del Mezzogiorno.

Rocco Scotellaro a cento anni dalla nascita fa vivere un tempo ormai dimenticato: il paesaggio autentico della Basilicata di ieri, terra ricca di una vitalità incredibile a smentire l’uso purtroppo ricorrente dell’immagine dei muli sulle stradine dei paesi lucani e le donne vestite eternamente di nero. La Basilicata di ieri è una terra, già allora, ricca di risorse e di cervelli.  

Un mondo forse mai apprezzato e conosciuto a sufficienza. Incapace di farsi valere. E con il paesaggio gli uomini, le loro vicissitudini, l’ambiente della politica. La politica, il grande cavallo di battaglia del sindaco di Tricarico.

Il realismo dei versi  appare  immediatamente agli occhi di chi legge, come una foto perfetta nella sua luce, nella definizione dei particolari, in quella forza espressiva senza paragoni. Ma anche dalle tinte forti.

Emerge il rapporto diretto con un mondo che domina uomini e cose.

Ci sono situazioni, personaggi, vicende che Scotellaro tratteggia con rara intuizione e con una capacità di comunicare al lettore quel clima in cui l’umanizzazione del lavoro e gli sforzi per determinare una svolta apparivano come l’unico terreno da praticare. La vera sfida da non mancare in un ambiente politico spesso infido, se non ostile. 

L’amore tenerissimo verso il padre, in un ricordo struggente a sei anni dalla morte, non è solo il ricordo di un genitore ma di un protagonista immerso in quella vita che racchiude in sé la storia di un popolo, a diretto contatto con il duro lavoro e la miseria, finanche. In una marginalità non priva di significati.

Rocco rivive l’ammonimento di chi aveva a cuore la sua vita e il suo destino. “Oggi fanno sei anni/ che tu m’hai lasciato, padre mio. Attento, dicesti, figlio mio / in questo mondo maledetto.

Lui parte viva e vitale di una realtà, non  semplice spettatore. 

E queste nubi sono così ferme/ a raggiera di viola, sovrastano/ gli uomini sviati sui pendii.” Immagini che si succedono a documentare un tempo infausto. 

Intanto spicca la piena consapevolezza della propria condizione.  “Noi siamo figli dei padri ridotti in catene./ Noi che facciamo?” 

Scotellaro si sofferma  sul ruolo di ciascuno, specie nei momenti più bui, quando il richiamo ad una coscienza civile diventa predominante: “Noi che facciamo?” Interrogativo che scuote e  non dà pace. Bisogna uscire dall’immobilismo che negava all’uomo la dignità dei propri comportamenti. Il “miracolo” di una modernizzazione, soltanto immaginata a prezzo di stenti e sacrifici ha un costo altissimo. 

Noi siamo i deboli degli anni lontani” . Il tempo e la storia non si smentiscono, gli anni sono quelli di sempre, afferma con tono solenne. Più che solenne, allarmato o  disincantato, nel mezzo di una tempesta che lo travolge come un ciclone. 

La poesia di Scotellaro è un documento  a testimonianza del suo essere. Versi che rispecchiano una  umanità semplice e genuina, capace di sorprendere con il suo dinamismo che gli consente di non arrendersi mai. 

Rocco è peraltro l’anima critica di una nascente democrazia, con tutte le sue contraddizioni ed i suoi limiti, nella crisi del secondo dopoguerra e si rivela anzitutto osservatore acuto del tempo e della storia, con assoluta lucidità. Traduce in versi o in prosa la condizione di quanti non riescono a farsi ascoltare. Meno che mai a essere interpellati. Anche quelle terre di cui parla, quelle case sembrano non avere voce in capitolo. Ma rappresentano la  rivolta  silenziosa, e imponente al tempo stesso, di una generazione di protagonisti.



sabato 15 aprile 2023

"RITORNA SCOTELLARO NEL GIARDINO DEI POVERI DEL SUD"




ROCCO SCOTELLARO


Così Paese Sera titolava un articolo del 3 settembre 1982, a proposito della nuova edizione di E' fatto giorno nella collana degli Oscar Mondadori, storica raccolta di poesie di Scotellaro. 

Cosa rappresenta oggi l’opera del sindaco poeta di Tricarico? Quale il messaggio politico e letterario? 

Poesie che ricordano angoli e vicende del mondo contadino, animato da un enorme desiderio del domani ripercorrendo le tappe della Riforma agraria, costata decine di morti e lunghissimi anni di carcere per migliaia dei protagonisti. Un’intera generazione in perenne attesa di un giorno nuovo, appunto.   

Straordinaria figura di giovane divenuto ben presto simbolo dei più deboli e degli emarginati, destinati a non avere voce. Rappresentante degli ultimi, espressione viva di una lotta senza soste alla marginalità che non ha una dimensione temporale. Ma che vive nella sua passione politica.

A giudicare dal clima in cui è immersa la società digitale dei nostri giorni, Scotellaro sembra essere fuori dal tempo. Ma così non è giacchè la storia è la storia, il passato è il passato con il suo fardello di eventi e di significati. Di uomini e scelte. Di accadimenti destinati a segnare il cammino dell’umanità e a registrare svolte epocali.

Scotellaro è infatti una pietra miliare nel percorso della società. Nel suo divenire continuo, incessante. A volte incomprensibile, ma pur sempre un divenire per quanto spesso caotico e contraddittorio. Forse indecifrabile agli occhi della ragione. 

Dalla civiltà contadina all’affermazione delle macchine, già negli anni Sessanta: processi che si sommano e spesso si contrappongono soprattutto al Sud tra mille interrogativi.

In tanti hanno cercato di ragionare sull’uomo e sul politico. Anche sul poeta, nel tentativo di una migliore comprensione delle sue qualità. Ne è derivato spesso un gran parlare in alcuni casi senza risultati apprezzabili. A volte disorientato e inconcludente, frutto non di rado di una cattiva interpretazione. Ma in molte altre circostanze capace di svelare quel mondo misterioso e struggente di cui Scotellaro è interprete autentico: l’alba del dopoguerra, la civiltà contadina, la speranza di futuro.

Franco Vitelli, critico letterario, docente all’Università di Bari,  ha costruito negli anni un percorso capace di svelare molte verità su Rocco Scotellaro e di mettere a fuoco il suo percorso poetico con una precisione mai venuta meno. 

Per Mondadori nel 1982 Vitelli curò la nuova edizione di E’ fatto giorno in cui si rivela l’humus del poeta, l’autentica passione letteraria che schiude orizzonti diversi e fa vivere una stagione in cui si cela il contributo ad un progetto di idee e di vita. Per questo Scotellaro regge bene al confronto con i grandi, non solo sul piano poetico. 

“Un’esperienza, annotava Vitelli, che passata come una meteora, ha però lasciato segni visibili nel mondo letterario.”  Eugenio Montale: “Un centinaio di liriche che rimangono certo tra le più significative del nostro tempo.”  

Il riferimento alla Fons Bandusiae di Orazio, e poi la novità dell’alba: “Ma nei sentieri non si torna indietro./ Altre ali fuggiranno/ dalle paglie della cova, / perché lungo il perire dei tempi / l’alba è nuova, è nuova.” 

L’universo di Scotellaro, grande tema da affrontare in questo centenario dalla nascita e per tutto l’arco di un anno. Quel mondo continua a essere ben visibile agli occhi di quanti analizzano la realtà alla base non solo dell’ispirazione poetica, quanto delle scelte che si traducono nel suo essere uomo, politico, sindaco della comunità di Tricarico in uno dei periodi più difficili e tormentati della storia del Mezzogiorno, quando il problema della terra coincideva con la necessità di una svolta.  

“E’ caduto Novello sulla strada all’alba,/ a quel punto si domina la campagna,/ a quell’ora si è padroni del tempo che viene, / il mondo è vicino da Chicago a qui/ sulla montagna scagliosa che pare una prua,/ una vecchia prua emersa/ che ha lungamente sfaldato le onde.”  

Spunti importanti anche per la politica, quella attuale, spesso destinata ad affondare nella palude dell’incomprensibile. O, peggio, nella irrazionalità diffusa e purtroppo complice del degrado.