lunedì 27 dicembre 2021

UN ANNO FA


                               

                              



Attesa mista a speranza, ma entrambe dominate da una grande incertezza per il futuro di tutti. Nessuno escluso. Era il clima di un anno fa, quando avevamo negli occhi e nella mente le immagini orribili dei camion militari carichi di bare, in una Bergamo tristissima e sconsolata. Sembravano un macabro traguardo invincibile e insuperabile.

Oggi ben 50 milioni di italiani sono vaccinati e il ritmo delle vaccinazioni cresce di giorno in giorno ma la novità degli ultimi due mesi consiste nell’aumento, senza precedenti, dei contagi. Lo vediamo ogni giorno seguendo tv e giornali.

La variante omicron sembrava essere meno aggressiva, quasi in omaggio al significato della lettera greca che significa appunto o piccolo. Poi c’è voluta la risolutezza di Antonella Viola che ha smentito ogni illusione ottimistica, affermando che omicron non ha nulla da invidiare ad altre varianti del Covid.

Matteo Bassetti, infettivologo, da qualche giorno tuona con gelido realismo in linea con la sua immagine fisica: andando avanti così il Paese rischia la chiusura con la possibile soglia di centomila contagiati nel giro di un paio di settimane. Sarebbe un dramma peggiore di tutti i precedenti drammi che hanno afflitto i due anni di pandemia. Significherebbe chiudere i cuori a qualunque speranza, sotto il peso di una realtà destabilizzante a quel punto sfuggita di mano all’umanità intera e agli stessi scienziati. Un pericolo da non correre.

Si affaccia intanto sulla scena la pillola rossa per combattere la malattia, mentre giunge l’eco di alcune nuove possibilità per contrastare il Covid. Ma nel gran polverone dell’aumento dei contagi si parla quasi per nulla di tutto questo. Solo pochi riferimenti, oltretutto assai scarni e marginali. Che non aggiungono e non tolgono niente agli scenari in atto e meno che mai modificano la prospettiva.

Sicchè sembra ovvio e legittimo chiedersi qual è il ruolo della comunità scientifica internazionale, quali sono le forme di interazione al suo interno con riferimento anzitutto all’Italia. E qual è oggi il rapporto della scienza con l’opinione pubblica, inteso in senso costruttivo e non di semplice chiacchiericcio da bar. 

Il mondo scientifico, non dimentichiamolo, ha compiti e finalità ben precisi, senza escludere evidentemente l’aspetto divulgativo dei risultati cui si perviene, ma anche delle difficoltà incontrate nel giorno per giorno. 

 

mercoledì 22 dicembre 2021

ASSOLTO MARCELLO PITTELLA


                                          

Anche in questa circostanza tornano nella mia mente le parole di Giuseppe Lo Sardo, oggi magistrato di Cassazione, fino a ieri giudice civile presso il Tribunale di Potenza. 

“La verità processuale non sempre coincide con la realtà” mi disse Lo Sardo in occasione di un veloce incontro, del tutto casuale, in un bar. Uno di quegli incontri che consentono di parlare con un magistrato quando questi non indossa la toga ed è in fin dei conti un cittadino come tanti altri. Come tutti.

L’assoluzione di Marcello Pittella, già Presidente della Basilicata e oggi Consigliere regionale del PD, mi fa riflettere sulle parole di Lo Sardo. Soprattutto mi costringe a chiedermi quanto ci sia da fidarsi di questa magistratura che mandò il Governatore lucano ai domiciliari facendogli vivere giorni e mesi terribili. Umiliandolo, mettendolo in croce, sbattendolo sulle pagine dei giornali come un mostro qualunque che non merita rispetto nè considerazione.

Quasi a metà percorso il pronunciamento della Cassazione che ha ritenuto del tutto immotivata la decisione dei giudici lucani di arrestare Marcello Pittella. Parole molto dure quelle dei giudici romani. Inimmaginabili. Fuori da ogni consuetudine al punto da chiedersi cosa realmente abbia determinato nel 2018 il grave provvedimento.

Ora Pittella riprende il cammino: tante le attestazioni di stima e di fiducia espresse a vari livelli per la sua assoluzione. 

Farebbero bene a riflettere in tanti e soprattutto l’infallibile Marco Travaglio che aveva sbattuto il mostro sulle pagine del suo giornale.


 

      

lunedì 20 dicembre 2021

LA GRU SPEZZATA COME LE VITE UMANE



                               

                        La gru crollata che ha ucciso i tre operai


Un ragazzo meraviglioso Filippo Falotico, lucano di origini, morto a Torino insieme ai suoi colleghi, nel drammatico incidente della gru caduta. 

Raccapricciante e senza una spiegazione plausibile, almeno per ora,  questo ennesimo infortunio: il mancato ricorso a tutte, tutte le norme di sicurezza. Una disattenzione. Una sottovalutazione. Fattori meteorologici. Certo che di lavoro si continua a morire. Mille le vittime dall’inizio del 2021. Inammissibile. 

E ciò accade di pari passo con i ripetuti inviti alla sicurezza e con i vari tentativi di adeguare la legislazione corrente. Evidentemente tutto questo non basta. Numeri senza precedenti e intere famiglie finite le baratro. I rispettivi paesi delle vittime affogano nel dolore. 

Quella gru spezzata in vari tronconi è e sarà sempre un simbolo. Un invito pressante a non trascurare nessuno degli accorgimenti in grado di salvare delle vite umane.

I cantieri sono il principale teatro di questi lutti infiniti e strazianti, al punto che sembra finanche inutile commentare, analizzare, cercare di approfondire giacche la sfiducia s’impossessa di ognuno. Scenari lugubri fanno da sfondo a tutto questo  mentre ormai è diventato un ritornello la definizione del reato: omicidio colposo plurimo.

Cosa faranno i tanti ispettori del lavoro, da assumere nell’immediato? Controlleranno, verificheranno, metteranno un punto fermo sulle situazioni spesso non in linea con le leggi. Ma si riuscirà a bloccare questa strage ormai inarrestabile?

Difficile prevederlo. Anzi impossibile, mentre la sfiducia davanti a un quadro così fosco si impossessa di tutti, parlamentari chiamati a legiferare, tecnici ed esperti.

Dovremo sentirci disarmati e incapaci di fronteggiare la terribile emergenza? Certamente no.

sabato 11 dicembre 2021

"NON POSSO DIMENTICARE QUEL 14 DICEMBRE"




                         


Le occupazioni delle terre



Un bambino di poco più di tre anni, nel dicembre del 1949, oggi è un uomo in età avanzata ma con un ricordo abbastanza lucido di quella tragica notte del 14 dicembre di settantadue anni fa quando fu ucciso a Montescaglioso il padre, il bracciante Giuseppe Novello, nel corso degli scontri con i carabinieri nell’ambito del movimento per la riforma agraria. 

Quel bambino di ieri è Filippo Novello, un uomo capace di mettere al loro posto ciascuno dei tasselli che compongono il puzzle degli anni terribili delle lotte per la terra ai contadini. Da anni ormai in Piemonte, Filippo è un testimone di quell’epoca e del tempo che seguì.  


Cosa ricordi di quella notte e del tempo che seguì?


“Ho soltanto il ricordo di un fuggi fuggi generale e di tante urla di disperazione. Era andata via finanche la luce. I carabinieri del battaglione Mobile di Bari erano venuti con l’intento di arrestare i contadini protagonisti delle occupazioni delle terre incolte o mal coltivate, nel latifondo di  Montescaglioso. Ero bambino e vidi i miei genitori correre e fuggire in preda al panico. Altro non ricordo.”


Quell’evento, l’uccisione di tuo padre, ha cambiato non solo la tua vita da allora. 


“Certamente nei giorni e nei mesi che seguirono ero oggetto di tante attenzioni e di tanta solidarietà da parte di amici e conoscenti. Oltre che di compagni di lavoro dei miei genitori che mi riempivano di affetto e cercavano di sopperire con la loro solidarietà alla perdita di mio padre. Questa solidarietà è rimasta impressa nel mio cuore. 

Io riportai una sorta di choc nervoso, ebbi gli effetti di una terribile paura sentendo urlare tutti a casa. Fui colto successivamente da un deperimento organico terribile, sicché il sindaco di Modena, a conoscenza dei fatti di Montescaglioso oggetto di dibattito parlamentare e di una vasta campagna di stampa, chiese a mia madre se volesse affidarmi temporaneamente a persone della sua città per farmi rimettere in sesto. La cosa fu caldeggiata dallo stesso Di Vittorio e da numerosi parlamentari. 

Fui ospitato da una famiglia con la quale sono ancora in contatto. 

La solidarietà la toccai con mano. Nel corso degli anni andai prendendo coscienza di quanto era accaduto. Feci dei corsi, cominciai a lavorare nel sindacato. Una vita movimentata fin tanto che sono riuscito a entrare nella polizia locale in Piemonte con la qualifica di comandante. Ma non ho mai trascurato nè dimenticato gli insegnamenti e il peso di quella tragica vicenda del 14 dicembre.”   


Perché non si è mai celebrato un processo a carico di chi aveva la responsabilità di avere ucciso tuo padre? 


“Perchè il Ministro dell’Interno, che all’epoca era Mario Scelba, aveva la facoltà di autorizzare o meno la celebrazione di un procedimento penale a carico di uomini delle forze dell'ordine. E Scelba oppose un secco no ad un eventuale processo. Tutto qui, con la famosa frase: “Non doversi procedere”. Ricordo, perché me lo riferiva mia madre, che l’autorità giudiziaria prevedeva addirittura di mandare mio padre sul banco degli imputati. Cosa che non accadde data la sua morte.”


A tua madre, Vincenza Castria, sarà intitolata anche una piazza a Montescaglioso. Eppure c’è chi sostiene che quelle vicende siano state ampiamente sviscerate e non sia il caso di riprendere l’argomento ancora oggi.


“Mi sembra molto strano. Per giunta in occasione del Settantesimo, due anni fa, nelle scuole di Montescaglioso 

i ragazzi fecero delle ricerche per mettere a fuoco appunto il significato di quella dura stagione di lotte contadine e bracciantili. 

Visto che della storia dell’antica Roma o della Grecia si è tanto parlato, oggi l’argomento sarebbe chiuso, ma così non è. Davvero sorprendente questa posizione.”


Qual è il significato oggi di quel grande movimento che interessò il Centro Sud d’Italia. Un movimento senza precedenti, nella storia. 


“Fino a quando nelle stesse scuole non verranno approfonditi e divulgati adeguatamente questi eventi non si potrà avere un riscontro positivo in termini di conoscenza. E poi senza dubbio va preso in considerazione il ruolo dei social che diffondono ben altri contenuti, accreditando un mondo spesso virtuale o, peggio, inesistente.”


Oggi, a settantadue anni dalle lotte contadine,  è legittimo chiedersi chi vinse? 


“Io ritengo che quei movimenti hanno contribuito a costruire una coscienza democratica. Anzitutto. La consapevolezza di una presenza sociale molto forte e legittimata dagli obiettivi: in primis la terra ai contadini. Altra cosa è invece l’esito della riforma con mille complicazioni, anche di natura spesso clientelare.”


Infatti non si può dire che la Riforma agraria oggi sia stata pienamente completata anche dal punto di vista dell’assegnazione dei terreni. Gli epicentri e i capisaldi dell’avvenuta riforma oggi sono in una situazione di sfascio totale. 


“Certo l’esodo dal Sud, che si è verificato dagli anni Cinquanta affonda le radici anche in questo fenomeno. 

Manca tuttavia un’analisi storica compiuta per mettere a fuoco il peso e l’importanza della fuga delle braccia dal Mezzogiorno, per le tante ragioni che l’hanno caratterizzata. Sta di fatto, in ogni caso, che la presa di coscienza di larghe masse ha rappresentato un capitale enorme per la crescita civile e sociale di ampi strati di popolazione e del Paese. E’ un dato incontrovertibile.”


 

   



 


giovedì 9 dicembre 2021

PERCHE' MORIRE DI TERRA?



                             

Le occupazioni delle terre in Sicilia


Si avvicina a grandi passi una data che ha lasciato il segno nella storia. Il 14 dicembre del 1949 le lotte per la terra e la rinascita del Sud, ma non solo, raggiunsero il culmine con l’eccidio di Montescaglioso: fu ucciso Giuseppe Novello da una raffica di mitra partita dall’arma di Vittorio Conte, vice brigadiere dei carabinieri che quella notte era su una moto guidata dall’appuntato Rosario Panebianco, entrambi del battaglione mobile di Bari. 

Il paese era in rivolta per una serie di arresti. Migliaia tra braccianti, contadini, donne e uomini senza distinzione, si erano riversati nelle vie e nelle piazze della cittadina del Materano per la liberazione dei loro compagni di lavoro. Un fermento indicibile per rivendicare condizioni di vita più umane.  Montescaglioso rappresentò il culmine di tante vicende che indicavano la condizione di degrado sociale ed economico in cui nel secondo dopoguerra si trovavano migliaia di lavoratori. Volevano rivendicare il possesso della terra, nella speranza di poter cambiare radicalmente una vita insostenibile. 

Già a novembre di quello stesso anno c’erano stati dei morti. Melissa e Torremaggiore gli altri epicentri dei moti. Emilio Colombo si recò di persona a Crotone, il due novembre, per trattare la cessazione delle lotte e dare una risposta alle richieste della gente dei campi. 

I dati ufficiali sono a dir poco raccapriccianti. Ci furono nel Mezzogiorno 60319 arresti con 21093 condanne. 1614 i feriti. 40 i morti. Fatti purtroppo dimenticati tra mille, colpevoli disattenzioni.  

Da tempo ormai su quella stagione è calato il sipario. Il comune di Montescaglioso prevede di intitolare a Vincenza Castria una piazza. Vincenza era la vedova di Novello: una donna intelligente e fiera, interprete di quei fatti di settantadue anni fa considerati il prodotto di un tempo memorabile della politica e delle rivendicazioni popolari. 

L’annuncio della decisione è stato dato da Francesca Fortunato, assessore alla cultura del comune del centro materano. Sarà un’occasione per un dibattito a tutto campo sul movimento contadino e bracciantile, non certo un noioso ritornare sulle vicende di un tempo. Almeno c’è da augurarsi che sia questo il percorso.

Bisogna guardare avanti e non al passato, dicono alcuni. Lo sostiene la stessa Fortunato che considera l’argomento “ormai pienamente sviscerato in lungo e in largo.” Eppure la storia preme, soprattutto la storia del nostro tempo quella che assiste a trasformazioni incredibili, nel sociale e nell’economia. Nella ricerca soprattutto. 

Matera, per citare un esempio, non è soltanto la città dei Sassi, ma una realtà capace di far toccare con mano il progresso della scienza e della tecnologia. Un progresso in grado di rappresentare davvero un nuovo umanesimo della cultura .

Così questo settantaduesimo anniversario, in un momento difficilissimo, ha il senso di una rivisitazione degli eventi, in chiave di stretta, pressante attualità, senza dubbio.          

domenica 5 dicembre 2021

"CHE MOSTRI, CI HANNO TOLTO ANCHE L'ARIA"


                      
                     

L'ex ILVA di Taranto

     
Una frase tremenda, il segno della disperazione di alcuni abitanti del rione Tamburi di Taranto che rispecchia una terribile realtà, tuttora in atto: quella dell’ex Ilva, l’immensa acciaieria per la quale sono stati condannati a 300 anni di carcere i responsabili dell’azienda e vari esponenti delle istituzioni, compreso l’ex Presidente della Regione Puglia, Niki Vendola. Miseria o malattie, non ci sono alternative, sottolinea Sigfrido Ranucci, nel corso della puntata di Report riferendosi al disastro dell’acciaieria che ha seminato distruzione e drammi umani in cambio del lavoro. Si in cambio di un diritto garantito alla Costituzione di cui ci si riempie la bocca. 
Fondali marini stracolmi di polveri cancerogene, una città bellissima con tradizioni antiche che risalgono alla Magna Grecia resa invivibile. Nessuno nel rione Tamburi, emblema di tumori ormai, riesce a vendere la propria casa per scappare via, lontano mille miglia. Case e beni  sono resi inservibili dai funi della grande acciaieria. Anche il porto un anello della catena di distruzione. Una puntata di Report, replicata sabato 4 dicembre su Rai Tre, che fa rabbrividire. 
Taranto è una realtà macroscopica, in cui si tocca con mano quanto costa un posto di lavoro, in termini di danni alla salute e all'ambiente. Vivere e fare i conti con il cancro o rimanere disoccupati per migliaia di persone. Non ci sono alternative finora: nè la scienza, nè i vari governi di qualunque colore hanno affrontato questo terribile nodo. Nessuna risposta finora per quanto siano stanziati fiumi di denaro per la bonifica e addirittura per la riconversione dell'acciaieria. 
Il Sud è pieno di situazioni in cui la difesa dell’ambiente e della salute sono un miraggio, una favola come quella di Biancaneve senza alcun nesso con il quotidiano. Il caso di san Sago, una mega discarica in prossimità del fiume Noce ai confini con la Basilicata in territorio di Tortora, non fa dormire sonni tranquilli agli amministratori e alle popolazioni dell’alto Tirreno Cosentino e della bellissima Maratea. Un mostro anche questo destinato ad alimentare mille preoccupazioni poiché nella discarica sono finite in passato tonnellate di rifiuti speciali sottratti a qualunque controllo. La Procura di Paola l’ha posta sotto sequestro, ma non si conoscono gli sviluppi per il futuro. Una marcia di sindaci, ambientalisti e cittadini dell’area prenderà il via da Tortora venerdì 10 dicembre con lo scopo di fare avvertire la volontà delle popolazioni contro il ripristino della discarica.