lunedì 25 agosto 2014

DIECIMILA BAMBINI ABBANDONATI


                             
         Rappresentanti di Stati Africani al Convegno del GVS di sant'Anna

L'infanzia dimenticata, abbandonata, sfruttata. Orribile a dirsi, altro che!
Save the Children lancia l'allarme nel corso della trasmissione Prima di tutto di Radio Uno Rai: circa diecimila bambini non accompagnati sono in balia di un destino incerto e crudele, in seguito agli sbarchi ormai continui di migranti sulle coste italiane. E ben 28 mila minori sono oggetto di sfruttamento in Italia con il rischio di essere rapiti e destinati al turpe mercato clandestino degli organi.  
Eritrea ed altri paesi hanno il triste primato in questa graduatoria con migliaia di sventurati, "venuti al mondo come conigli" e quindi destinati ad affrontare una vita infame. La Libia con la guerra civile rappresenta poi un altro terribile focolaio.
C'è da chiedersi se si possa rimanere indifferenti difronte a una catastrofe del genere o se, piuttosto, non sia necessario raccogliere l'invito di Save the Children e di altri organismi a indurre l'Unione europea ad affrontare la questione. 
Non una sola parola è stata spesa finora dalla più forte organizzazione del Sud (almeno tra le più forti) che opera a Potenza, espressione della Parrocchia di Sant'Anna. Vale a dire il Centro adozioni internazionali legato al Gruppo Volontariato e Solidarietà. Nonostante i vari appelli, il convegno di giugno svoltosi a Potenza, che doveva rappresentare un momento di analisi e di approfondimento del fenomeno, ha letteralmente ignorato il tema dell'infanzia abbandonata, in attesa di famiglie o di organizzazioni in grado di occuparsi del futuro di questi minori.
Un dato fortemente negativo, non vi è dubbio, considerata peraltro la sfera di azione del Centro adozioni che opera a livello internazionale ed è riuscito a mobilitare capi di Stato e di governo di diversi paesi africani intervenuti al Park hotel nella prima sessione di lavori del convegno potentino.  
L'allarme lanciato da Save the Children induce a riflettere e rappresenta indubbiamente un monito per quanti seguono da vicino questi problemi: organismi a vari livelli ma anche singole persone non possono disinteressarsi del futuro di migliaia di esseri umani, praticamente usati come merce e abbandonati a sè stessi.   

domenica 24 agosto 2014

IL PARADOSSO BASILICATA: A TU PER TU CON MARCELLO PITTELLA


                             
             Il Governatore della Basilicata Marcello Pittella (foto R. De Rosa)

"La Basilicata rischia di morire se entro l'autunno  non si sblocca a livello nazionale il tema  del patto e rischia anche in futuro se non ci saranno ristori economici adeguati rispetto a quello che questa regione dà al governo nazionale e all'Italia." 
"Le royalties sono risorse prodotte autonomamente che servono allo sviluppo. E non si debbono bloccare, come purtroppo sta accadendo."
Il paradosso consiste nella disponibilità in cassa di 600 milioni di euro, provenienti dalle royalties del petrolio, diventati intoccabili a causa delle disposizioni del governo in materia di patto di stabilità, appunto, il meccanismo che pone dei veti alla spesa, pur trattandosi non di denaro pubblico ma di denaro erogato dalle compagnie petrolifere. 
Il tema é di quelli che indicano un percorso inevitabile alla politica: occorre estrema determinazione e tempismo per superare ostacoli imprevisti e imprevedibili. C'è una regione in grave, pesantissima crisi, capace tuttavia di  risollevarsi solo con uno sforzo straordinario.
Marcello Pittella parla chiaro: non si sottrae alle sue responsabilità, ma al tempo stesso non accetta che il Governo possa minimamente giocare sul futuro di una terra ricca, ricchissima di risorse ma che non riesce ad avere un peso commisurato alla sua reale consistenza. Con una disoccupazione, per giunta, ai massimi storici. 
Il Presidente promette addirittura di incatenarsi davanti a palazzo Chigi se, con la revisione del titolo quinto della Costituzione e con altre scelte a livello centrale, questa regione dovesse trovare sul suo cammino difficoltà insormontabili.  
C'è tuttavia un filo di ottimismo nel suo ragionamento. La riforma del titolo quinto, prevede il governatore lucano, in fondo non sarà come tutti pensano: ci saranno vari passaggi, vari momenti interlocutori. Insomma la Basilicata non è disposta ad arrendersi facilmente. Altro che... Pittella mostra un sorriso un po' sornione, francamente. Che sa prendersi gioco anche dei pericoli oggettivi. 
"Penso che ci siano le possibilità di fare occupazione vera" aggiunge riferendosi allo sviluppo verde e all'utilizzo di mille opportunità che possono derivare da un incremento sui finanziamenti per le estrazioni petrolifere e da altri meccanismi già previsti o da mettere ancora a punto. 
S'infervora quando dice che le compagnie debbono rispetto a questa terra: non ci saranno nuove autorizzazioni per nuovi pozzi. Bisogna stare ai patti e agli accordi presi. 
"E' evidente che sono un uomo scomodo", osserva ad un tratto il presidente della Basilicata.  Scomodo ovviamente per il governo ma non solo.
Parla poi delle primarie e del suo arrivo a via Verrastro. 
"Sono figlio di un'altra scuola di pensiero e ho compreso subito che dovevo rischiare. Ero contro un'armata tremenda. Ho preferito rischiare e ho vinto. Confesso anche per errori degli avversari, mi piace essere onesto. Ma pure grazie alla comunicazione perfettamente riuscita e andata a segno. E poi c'è sempre stata tanta gente che mi ha detto di andare avanti, di non mollare anche nei momenti più duri."
Marcello Pittella lancia una sfida a Renzi, ma non solo. Al Governo, alla politica. Soprattutto a quella politica assente e disinteressata responsabile del destino di una terra che dà tanto al Paese e si trova ancora al palo. Con mille problemi da risolvere, primo fra tutti lo spopolamento. E la disoccupazione alle stelle. 

giovedì 21 agosto 2014

NEL GIORNO DI ELISA


                                    


La trasmissione di Rai Tre "Chi l'ha visto?" ritorna a occuparsi del caso, ancora per buona parte irrisolto, dell'omicidio di Elisa Claps. Chi ha collaborato con Danilo Restivo? Interrogativo pesante come un macigno ma ancora senza risposte, a venti anni dalla scomparsa della studentessa potentina. 
Il programma, condotto da Federica Sciarelli,  ha intervistato, tra gli altri, don Marcello Cozzi, il prete coraggio che continua a chiedere la verità su Elisa, ma anche l'arcivescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo. 
Il caso della ragazza potentina non giungerà mai ad una conclusione: resterà sempre un mistero, odioso e profondo, che tormenta le coscienze di tante persone. Persone oneste e persone che oneste non sono. 
Per un omaggio a Elisa e al dolore dei suoi familiari, pubblico di nuovo la poesia Nel giorno di Elisa, che scrissi in occasione dei funerali. 



Nel giorno di Elisa

Ti hanno calpestato l'anima. Vili assassini.

Figli di un tempo lontano e barbaro.

Uomini senza passione.

Sono i tuoi nemici di sempre, Elisa

E tu sei ancora lì,
tra le loro mani sporche,

che puzzano di vergogna e di silenzi.

Ma una preghiera ti ripagherà di tutto:
della tua dignità violentata,
del tuo ardore spezzato,
dei tuoi sentimenti eterni ignorati.

E ti restituirà finalmente alla vita.

Rocco De Rosa

mercoledì 20 agosto 2014

BARBARIE SENZA LIMITI


Il giornalista statunitense decapitato per punire l'America. Ci sono fatti o avvenimenti che appartengono all'umanità intera. Che non sono appannaggio (nel bene o nel male) dei luoghi o dei paesi in cui si sono verificati. Eventi dei quali occorre parlare perché ciascuno sappia, perché nessuno sia all'oscuro di fatti come la decapitazione del reporter Usa. Un gesto disumano nei confronti del quale non ci sono rimedi, non ci sono strumenti validi o iniziative idonee a fermare la mano del boia.   
La barbarie è figlia del peggiore oscurantismo e della violenza assassina. 
C'è piuttosto da prendere atto che intere nazioni, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla stessa Inghilterra, hanno mostrato ben di più di un semplice sentimento di condanna. Ciò significa che il mondo è avvertito e di conseguenza non può stare a guardare passivamente. Occorre una generale mobilitazione perché non ci siano giustificazioni nè silenzi difronte a questa crudele reazione jihadista, per giunta compiuta in nome di una religione. Incredibile.
Per fortuna la rete, sulla quale certe oscenità erano state mostrate, ha deciso di cancellare immagini macabre evitando così di assecondare il disegno terrorista che continua a prendere di mira i giornalisti, colpevoli di fare informazione sapendo di spendersi per una causa di civiltà e di progresso. L'informazione è progresso. Il web rappresenta un potente veicolo, in grado di far sapere, di comunicare, di informare tutti nel dettaglio. 
Certo, nulla è mai sufficiente per isolare barbarie e violenza e accreditare il dialogo come unica fonte capace di sventare il ricorso a metodi assassini.
Che Obama sia rimasto allibito e che il premier britannico Cameron abbia interrotto le vacanze per far rientro a Londra sono segnali importanti. Importante e anzi commovente è il commento della madre di James Foley che si è dichiarata fiera di suo figlio. Il suo coraggio vale più di qualunque condanna.  

martedì 19 agosto 2014

DE GASPERI SESSANT'ANNI DOPO



                                  


C'è un evento che la storia, prima ancora della politica,  impone di ricordare: la morte di Alcide De Gasperi a sessant'anni dal 19 agosto 1954.
Le ragioni sono tante e forse di segno contrario, l'una rispetto all'altra. Ma una considerazione va posta alla base.  De Gasperi andò negli Stati Uniti a contrattare un prestito di cento milioni di dollari per dare ossigeno nel dopoguerra  alle imprese e favorire l'occupazione. Obiettivo ineludibile, allora come oggi. Un dato di fatto che impone un raffronto tra passato e presente. E inevitabilmente un giudizio politico. 
A ben riflettere De Gasperi è stato l'uomo capace di vivere il più elevato numero di eventi, tutti di grande rilievo, alcuni dei quali hanno dato slancio al Paese. Altri invece lo hanno profondamente segnato. 
Oltre alla Costituzione repubblicana, che ora si sta cercando di modificare, da sottolineare le occupazioni delle terre sul finire degli anni quaranta, il movimento per superare il latifondo e dare la terra ai contadini di cui Alcide De Gasperi fu non solo osservatore o testimone. Ma involontario protagonista di una riforma agraria attesa da anni. Con quale esito? Non certo con quel brillante risultato che i contadini ed i braccianti immaginavano di ottenere abbattendo il latifondo e magari trovandosi a essere arbitri di un processo di radicale rinnovamento sociale ed economico. Nulla di tutto questo. Anzi un vero fallimento.  Chi vinse? Nessuno, davvero nessuno. 
Il bilancio di quelle lotte è pesantissimo: decine di morti tra i braccianti ed i contadini poveri uccisi dal piombo di Scelba, centinaia di persone tratte in arresto in seguito alle occupazioni di distese di terre abbandonate.  E poi un violentissimo scontro sociale, addirittura senza precedenti.
Inoltre con l'esodo di massa verso le fabbriche del Nord, sin dai primi anni Cinquanta, il sogno della Riforma agraria a misura della gente dei campi svanì per sempre. 
La sera del primo novembre 1949 il presidente De Gasperi mandò il giovane Emilio Colombo in Calabria, nel crotonese, per tentare di sedare la rivolta, quando ancora i morti di Melissa erano sulle terre e la pacificazione sociale appariva  un obiettivo irraggiungibile. Colombo non fece miracoli: fu il tempo a decidere.
Certo, De Gasperi ha legato il suo nome al Patto Atlantico e ad una miriade di scelte per favorire e sollecitare la ricostruzione. Per dare un volto all'Italia sepolta dalle macerie della seconda guerra mondiale. Non vi è dubbio. 
Di Alcide De Gasperi oggi si parla molto poco, con l'indifferenza del nostro tempo e l'insipienza di chi non vuole ripercorrere il cammino della storia. 
Si fa strada intanto una interpretazione della politica fondata sullo scontro tra gruppi e fazioni: certamente un pessimo segnale soprattutto per il futuro che non c'è. 

venerdì 15 agosto 2014

SIMONE, UNO SPLENDIDO RAGAZZO


                                 


Non sapevo che Simone  Camilli, il videoreporter ucciso a Gaza dall'esplosione di un ordigno bellico, fosse il figlio di un collega, Pierluigi, che conosco da  tempo, dall'epoca del terremoto del 23 novembre 80. 
Ne ho avuto conferma vedendo Pierluigi appunto sorreggere insieme ad altri la bara del figlio, appena arrivata all'aeroporto di Ciampino con un volo militare e francamente mi ha dato i brividi sapere che si tratta del figlio di un amico. 
Leggendo poi le agenzie e ricostruendo la carriera dello sfortunato giornalista, riconosco in lui i "tratti somatici" del papà, uomo dedito al suo lavoro con impegno e straordinaria passione. Del resto solo una grande passione ti porta a sfidare il rischio e a sentirti o, meglio, a trovarti sempre in prima linea per catturare una immagine, un video, una frase, un particolare di quei momenti sciagurati di cui sono fatte le guerre. Tutte, nessuna esclusa. Non parliamo poi dell'eterno conflitto tra israeliani e palestinesi. Napolitano auspica una "immediata e definitiva cessazione delle ostilità" in un messaggio di cordoglio alla famiglia.
Il giovane è stato ucciso da una potente deflagrazione, proprio mentre riprendeva particolari preziosi da diffondere in tutto il mondo. Si perché le immagini viaggiano sul web e raggiungono in pochi secondi ogni parte della terra. E' la rivoluzione di internet, alla quale bisogna spesso pagare un prezzo assai alto. E Simone, con la sua famiglia, lo ha pagato. 
C'è una foto struggente che ritrae Simone Camilli intento a riprendere un edificio sventrato dalle bombe. Era una immagine destinata all' Associated Press, agenzia per la quale lavorava. Dal suo volto non traspare neppure una briciola di paura, di preoccupazione, neppure una minima incertezza ma solo la soddisfazione di chi riesce a riprendere una immagine ricca di significato e di angoscia da mostrare al mondo. Si, immagini che squarciano il cuore, purtroppo.
Alle esequie in chiesa a Pitigliano, una cittadina in provincia di Grosseto, Pierluigi ha detto del figlio: era speciale. Per giunta queste parole lo sfortunato padre le ha pronunciate nella veste di sindaco. Un'altra circostanza assolutamente speciale.

giovedì 14 agosto 2014

BUON FERRAGOSTO



Buon Ferragosto a quanti non sanno cosa vuol dire un giorno di vacanza. A tutti coloro ai quali la vita non ha mai concesso nulla: nessun piacere, nessuna soddisfazione morale nè materiale. Nessun bene.  
Mi chiedo: ma esistono davvero persone del genere? Non so, temo di si. Ma vorrei credere che invece si tratta di puro pessimismo, di una visione esasperatamente drammatica dell'esistenza che in realtà non è cosa prodotta soltanto dagli uomini.  La materia, a sua volta, non nasce dal nulla. 
Convinciamoci. E chi ci guida ci consente di non smarrirci.
Allora buon Ferragosto, anzi buona festa dell'Assunta, a chi ha fede e sa alimentarla con la sua ragione e con il suo intelletto. A chi vive l'incubo della guerra. A chi è costretto a sottostare ad ogni forma di violenza. 
A chi manca dalla propria casa e dai propri affetti da tempo o da un giorno:  sembra un paradosso augurare di trascorrere una serena giornata a chi è nelle mani degli aguzzini, di persone feroci come belve. Invece non è un paradosso perché chi vive momenti terribili ha bisogno di credere in un domani migliore. Di fare spazio nel suo cuore a una speranza fondata non  certo sulla semplice illusione.  In fondo al tunnel si scorge sempre la luce. Non vi è dubbio!
Buon Ferragosto ai due marò inchiodati da tempo in India. 
Buona festa, infine, di speranza e di pace ai lucani, perché abbandonino l'idea di essere fermi, bloccati a Eboli in un paese che avanza. La Basilicata e chi la governa ha bisogno di questa fiducia, che non è facile ottimismo. 
A maggior ragione il Ferragosto 2014 deve significare una svolta, se vogliamo tutti guardare avanti. Stanchi come siamo di guardare indietro con il cuore stracolmo di angoscia e di rabbia. Che non servono a nulla. 

martedì 12 agosto 2014

BEN OLTRE EBOLI


                    

                     Angelo Lucano Larotonda (foto R. De Rosa)

Le vacanze di metà agosto hanno regalato  quest'anno un bel dibattito, di cui francamente si avvertiva il bisogno: un dibattito che ha come punto centrale l'esigenza di riprendere  in mano la storia, per una terra, come la Basilicata, relegata in passato al ruolo marginale di regione dormitorio. Di area al servizio di interessi ben più vasti. Di realtà piccola e poco consistente, anche dal punto di vista numerico ed elettorale. 
L'occasione del dibattito è legata alla presentazione di un libro dal titolo: Riprendiamoci   la storia . Dizionario  dei  lucani.
L'autore, Angelo Lucano Larotonda, non è nuovo a intuizioni del genere . O, meglio, a proposte come questa, tendenti a stimolare una discussione su tutto il complesso di scelte e di atteggiamenti politici, di indicazioni e di strategie dai quali sostanzialmente dipende il ruolo che la Basilicata riveste in un contesto non semplicemente locale, quanto nazionale. Punto davvero dolente. 
A Sasso di Castalda, bellissimo centro di montagna ai piedi del Pierfaone con le sue  sorgenti di acqua capaci di ritemprare il fisico e lo spirito, in pieno Parco nazionale dell'Appennino, ha preso il via una sorta di confronto tra cittadini, politica e istituzioni che ha come obiettivo quello di riprendere in mano appunto la storia. Non altro. 
Protagonisti, oltre all'autore, al sindaco di Sasso Perrone, il Presidente del consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza, e l'on. Vincenzo Folino. Un parterre di tutto riguardo per lanciare un messaggio, in particolare ai media: smettiamola con l'immagine  di una regione ferma, eternamente ferma a Eboli. Da tempo, da decenni questa terra è ripartita da Eboli ed ora sta imboccando nuove strade con i suoi cervelli, le sue potenzialità, il suo ruolo di regione serbatoio con il suo primato di essere in Europa il più importante giacimento di greggio in terra ferma. Non è poco obiettivamente. Bisogna riconoscerlo. 
Tutti d'accordo nel tentativo di cancellare l'immagine delle donne anziane con gli scialli neri, dei muli e degli asini in bianconero che percorrono strade e viuzze dei paesi, mentre i vecchietti stanno a guardare come inebetiti. 
Il dizionario di Angelo Larotonda mostra ben altro, facendo appello alla consapevolezza di chi chiede un giusto riconoscimento di appartenere ad una zona con mille capacità e con si suoi figli illustri. Altro che scialli neri e pianto infinito. Un vecchio clichè inutile e bugiardo. 

lunedì 11 agosto 2014

IL DOMANI DEL PARCO


                         
    
E così due grifoni sono "involati"  nel Parco nazionale  dell'Appennino lucano val d'Agri lagonegrese: involare significa sostanzialmente  scomparire, far perdere le tracce. Il termine è per soli addetti ai lavori ma in ogni caso rende l'idea. L'annuncio è stato dato da una equipe di naturalisti che operano all'interno dell'area protetta. 
L'involo era previsto a breve e  ne avevo parlato già nei giorni scorsi, anche se la cosa ha suscitato disappunto da parte degli stessi studiosi i quali ricordavano che non avrebbero gradito una informazione in anteprima. Anzi gridavano già allo scandalo per il semplice annuncio dato senza l'imprimatur degli esperti.
Sorprendente inoltre la notizia di un capovaccaio (un avvoltoio) possiamo dire pendolare che, stando  sempre agli  osservatori, vive nell'Appennino ma va ogni giorno a rifornirsi di carne nel Pollino. 
Tutto ciò fa ben sperare per il futuro di questi rapaci e dei rispettivi habitat.
L'Appennino vive tuttavia una fase interlocutoria, per non dire di incertezza: l'assenza di un direttivo  al completo e la situazione monca della Comunità, ancora priva del Presidente, costituiscono una remora per l'attività  del Parco e delle sue strutture. 
Il direttivo rappresenta la forza motrice per un'azione equilibrata di governo: non ci sono piani regolatori che tengano e scelte equilibrate se mancano gli organi dirigenti. Per di più ciò incide sul cammino verso il piano del Parco, altro importante strumento di gestione, del tutto indispensabile stando all'orientamento della normativa in vigore, che fissa tempi e modalità per la redazione del Piano stesso.
Favorevole ad una accelerazione dei vari iter il Presidente Domenico Totaro. Ma c'è nella posizione dei sindaci della zona un giustificato pessimismo per i vari ritardi e rinvii, finora accumulati. 
Di questo si fa interprete per giunta il primo cittadino di Moliterno, Giuseppe Tancredi, che preme il piede sull'acceleratore e mira a evidenziare tutte le possibili criticità, se non proprio i rischi legati ai tempi lunghi, anzi lunghissimi, di certe scelte ancora da compiere.    
Il Parco attende, ma non bisogna dimenticare il disappunto dei giovani e delle popolazioni lì, lì per abbandonare questi lidi e cercarne altri più produttivi, almeno da quello che si sente dire in giro. 
Il parco deve essere a tutti i costi sinonimo di sviluppo, di crescita economica e non certo soltanto la somma di divieti e  di impedimenti. Lacci e lacciuoli spesso mal tollerati dalla gente.   

domenica 10 agosto 2014

LA POLITICA ASSE PORTANTE DELL'ESISTENZA REALE


Per fortuna in questo agosto, tradizionalmente mese di ferie, si apre qualche spiraglio per un dibattito su passato e presente della Basilicata. Un dibattito da non intendersi come ispirato  da considerazioni municipalistiche, una riflessione dal respiro corto su temi locali destinata a perdere quota e a diventare ininfluente, magari nello stesso momento in cui viene fatta. Tutt'altro.
Andrea Di Consoli lancia il sasso nello stagno, e Lucia Serino - responsabile dell'edizione lucana del Quotidiano - fa bene da ottima giornalista a dare spazio a queste considerazioni condivisibili entro certi limiti, ma forse non realistiche nel momento in cui finiscono, ad esempio, per vedere nella politica un elemento comunque destabilizzante, per nulla titolato a occuparsi di tutto. Dall'economia alla finanza, alle scelte importanti, al destino di intere aree, al futuro dei giovani e degli anziani, al disimpegno di tanti che hanno deciso di buttare nel cestino il certificato elettorale. 
Sostengo esattamente il contrario: la politica deve invece occuparsi di tutto,  essere all'altezza dei problemi, seguire con una visione nazionale le scelte positive (poche!) e i veri disastri che spesso passano inosservati, questo si, con un danno non solo di immagine per una regione piccola ma non insignificante. Continuo a definirla così. Anzi capace di assolvere a un ruolo nazionale di primo piano. 
Ovviamente da non intendersi la politica come il regno del libero arbitrio con  un concetto distorto e rischioso, a tutti gli effetti. 
Guardando al passato si percepisce il riscontro di tutto questo: non fu per caso una scelta politica ad autorizzare il Genio Civile di Potenza a costruire il primo, imponente acquedotto dell'Agri, inaugurato nel lontano 1937? Non fu Emilio Colombo negli anni Cinquanta-Sessanta a pensare alla Trisaia di Rotondella come al più grande centro nucleare del Mezzogiorno, diventato non a caso subito dopo il punto di forza per il riprocessamento del combustibile esausto della centrale americana di Elk River? Lo sostiene anche un bellissimo libro pubblicato da Einaudi, anni orsono. Certo, Rotondella ha avuto un peso negativo enorme non solo sulla Costa Jonica lucana, ma sull'intero Sud. E continua ad averlo tuttora all'insaputa di tanti, politici e non, convinti che il silenzio oggi faccia bene alle coscienze...
La politica, dunque, asse portante dell'esistenza reale. Altro che. Bisogna vedere in ogni caso di quale politica si tratta, ovvio, no? 
C'è stata, altro esempio, per interi decenni una politica dissennata, fondata sulla esclusiva raccolta del consenso elettorale, dentro e fuori dalla Basilicata,  obiettivo di carriere di ignoti personaggi, assurti alla gloria di un celebrità di cartapesta, a tutto danno di quel bene comune di cui si parla a non finire. Ben lungi, quindi, dal perseguire l'obiettivo del raggiungimento di un peso politico vero di questa terra in un ambito nazionale.
Come conseguenza immediata c'è un dato allarmante: il governo attribuisce altre tre deleghe nella sanità a Vito De Filippo, braccio destro della Lorenzin, concede un po' di carburante gratuito ai lucani, con o senza auto, e poi accelera sul titolo quinto, àncora di salvezza per le compagnie petrolifere, che d'ora in poi potranno piantare trivelle ovunque, alla faccia del decentramento e dell'autonomia degli enti territoriali, regioni in prima linea. 
C'è poi una rabbia immotivata nei confronti del territorio, vittima a sua volta di scelte sbagliate: "per me andare a Maratea è come andare al cimitero" dice Di Consoli. Certo, Maratea passerella esclusiva di personaggi più o meno noti, fiore all'occhiello di una Basilicata bella e ricca, Maratea  che si spegne ad ottobre e cessa di esistere non è uno spettacolo bellissimo. Altro errore della politica. Ma ciò non significa che la politica deve essere esclusa per rimediare agli sbagli commessi.  Spetta a tutti ripristinare un suo ruolo corretto, una funzione davvero pubblica del governo della "polis". 
Per la Basilicata non c'è bisogno di scelte impopolari, ma di concretezza e di coerenza. E di tanta, tanta onestà personale e intellettuale di chi muove certe leve. La "rivoluzione" annunciata da Marcello Pittella va condivisa e portata avanti. Nemici permettendo.

mercoledì 6 agosto 2014

PROMEMORIA PER IL SEGRETARIO DEL PD LUCANO, ANTONIO LUONGO


Risolta la crisi all'interno del PD in Basilicata, almeno formalmente ma non certo nella sostanza delle cose, la fase che si apre è estremamente delicata. E forse di una complessità non proprio visibile a tutti. 
Lo scenario politico non appare libero da ostacoli o, quantomeno, capace di favorire quella unità proclamata dal neoeletto segretario, Antonio Luongo. 
Sul piatto della bilancia rimane la disparità di vedute tra gli elettori del segretario e la forte opposizione di Braia, che si avvale di un entroterra da non trascurare affatto. Un entroterra in grado di mettere insieme dinamismo e capacità dirigente della politica materana, cultura  e attitudine alla programmazione degli interventi in un ambito non solo locale, tutti fattori legati indissolubilmente alla visione delle cose tipicamente ispirata dalla storia di una città territorio, forte del suo passato e determinata a sfidare il futuro con la partecipazione a Matera capitale europea della cultura. Una sfida da considerare come il motore di una formidabile svolta, non solo possibile ma a portata di mano e nell'interesse non certo dei soli materani. 
In casa PD la posta in gioco rimane tuttavia il controllo futuro della Regione: obiettivo plausibile entro certi limiti, ma forse non del tutto soddisfacente e non all'altezza di scelte importanti da compiere. Scelte decisive, mai fatte in sessant'anni e passa di vita lucana. Dare peso politico a questa terra, piccola ma non insignificante, implica uno sforzo enorme che va al di lá dell'orto della politica, pronta a tutelare gli interessi dei singoli uomini sui quali poggia l'impalcatura, a danno di un interesse generale rappresentato dalla capacità di riuscire a far valere la voce di un popolo in una dimensione non certo municipalistica ma nazionale e internazionale. Ecco la sfida, beninteso, se come tale questo momento viene considerato. Si, perché non è improbabile che un simile traguardo non venga preso nemmeno in considerazione, nonostante le pesanti difficoltà in atto e  le stesse ragioni dell'economia da non trascurare.
Recuperare il terreno perduto. Di questo si tratta, in nome di migliaia di disoccupati, di cassintegrati. Di persone che hanno ascoltato per decenni la favola, ad esempio, della reindustrializzazione della Valbasento, sin dalla metà degli anni Ottanta, e si sono trovate a vivere invece il dramma della desertificazione industriale e di una drastica riduzione delle speranze di uno sviluppo vero. 
Ecco dunque l'orizzonte che si apre davanti al PD, nel dopo elezioni del segretario. Un cammino tutto in salita, un percorso a ostacoli, superabili a patto che ci sia una precisa volontà. Dovrebbe essere proprio questo il primo punto della scaletta che il neo segretario Luongo si accinge a scrivere. 

lunedì 4 agosto 2014

ENTUSIASTI DEL PARCO DELL'APPENNINO GLI SCOUTS DI TARANTO



                                
                 La messa tra i faggi di Costara (foto R.De Rosa)

Giorni e giorni a contatto con la natura come solo loro sanno fare: hanno percorso il parco nazionale in lungo e in largo facendo capo alla loro base, a Costara di Sasso, proprio ai piedi del Pierfaone, la montagna enorme e austera, coperta di boschi, di prati e ricca di sorgenti. Un vero spartiacque tra il potentino e la valle dell'Agri.
Gli scouts sono arrivati in Basilicata dalla provincia di Taranto, ragazzi delle scuole medie e delle superiori, con una grande voglia di ritrovare quella spiritualità che sembra smarrita, in molti casi, nei giovani del nostro tempo. Ma anche con il desiderio di conoscere un ambiente nuovo sul quale sembra impresso il marchio delle cose vere e di una vita non usuale. Per nulla scontata. Lo hanno detto loro stessi, non solo scouts, ma visitatori attenti. Osservatori infallibili dei ritmi della natura.
Escursioni e visite guidate alle cattedrali della natura. Ma anche un fitto programma di meditazioni e di preghiere ha caratterizzato le giornate dell'Appennino che si sono concluse con la celebrazione di una Messa, in mezzo ai faggi, dove il tempo e la storia sembrano non correre. Anzi, procedono a passo d'uomo.
Una Messa dedicata al cammino dei ragazzi pugliesi e al loro futuro. Esperienza inedita che ha fatto vivere a tutti tante sensazioni : entusiasti i giovani come gli adulti. Pronti a sostenere che qui la vita è diversa, in un parco giovane, dove anche il senso del creato appare a portata di mano, ben più che nelle discoteche, nei cinema, nei teatri invasi dai rumori e sconvolti dalla confusione. 
"Questo parco è una risorsa" hanno detto convinti alcuni di loro. Avevano negli occhi la gioia di aver condiviso con la natura esperienze forse irripetibili. Belle indubbiamente. Un privilegio per pochi, senz'altro. 
Quando questi giovani avranno smontato le loro tende e portato via ogni cosa, il parco continuerà a vivere la sua vita di tutti i giorni. Con i problemi di sempre. Ma certamente avere ospitato gli scouts di Taranto si rivelerà un'esperienza inconfondibile. 
In effetti il parco nazionale dell'Appennino lucano è anche questo: una somma di emozioni da non lasciar cadere nel nulla. 

sabato 2 agosto 2014

CORRUZIONE CHE DILAGA

L'interminabile catena di corrotti e corruttori  

intervista a Ivan Russo

                                   
                                  




Galan in carcere a Milano. Cinquecento mila euro l'ammontare di una mazzetta per il Mose di Venezia. Ben più modesta, soltanto da tremila euro, quella che avrebbe percepito, secondo l'accusa, un funzionario della Regione Basilicata, finito agli arresti domiciliari. Anche in questo la forbice Nord Sud si avverte eccome.
Mazzette e corruzione: è l'argomento di una intervista a Ivan Russo, avvocato, esperto di diritto e dei problemi sociali, citato in molte pubblicazioni di rilievo scientifico. Una sorta di Cesare Beccaria del nostro tempo? Probabilmente si.
Russo, perchè tutto questo? Perchè tangentopoli sembra non finire mai?
Muovendo dalla corruzione, ne individuo le ragioni anzitutto in un fattore.
storico: noi italiani abbiamo una lunga scia che ci accompagna da millenni. Ci sono stati i corrotti dell’antica Roma, quelli del Papato, dello Stato liberale ecc. Il fenomeno è diventato dilagante con la creazione delle Regioni, rivelatesi spesso un meccanismo fortemente clientelare, almeno in certi casi..
Ricordo che il compianto notaio Ricotti, un professionista noto nella Potenza del dopoguerra, mi disse nel 1970: «Ivan, io sarò morto, ma tu vedrai lo sfascio che creeranno questi scalliffi, con le Regioni!». E così è stato.
 Il popolo italiano è composto di persone feroci e vili al contempo. Non dimentichiamo che Leopardi, nella “Storia d’Italia”, ci definì: «Il popolo più cinico di Europa». Ciò significa che la nostra indole è portata all’egoismo sfrenato, è tesa a primeggiare sugli altri mercé il potere e la ricchezza: donde la tendenza a essere corrotti e a corrompere.
Evito di ripercorrere le malefatte dei politici degli ani ‘60-‘90 (Andreotti, Craxi, ecc.). Parto dagli anni ’90, quando un manipolo di magistrati, assetati di potere, fece credere al popolo italiano che la magistratura sarebbe stata in grado, prendendo le redini del Paese, di sistemare le cose: sì è vista la fine che abbiamo fatto! E ciò, nonostante vere e proprie prevaricazioni dei Codici perpetrate da Di Pietro, Borrelli, Caselli, Davigo, Colombo, ed altri ancora: agivano da padreterni, senza che un solo uomo politico abbia avuto il coraggio di far valere la legalità (una vera vergogna!). Tutto ciò per dire che, se l’onestà, la linearità, la dignità non sono assimilate e vissute, bensì considerate come beni da affidare a magistrati, poliziotti e carabinieri perché li salvaguardino, ecco che si finisce come siamo finiti noi, in un degrado generale.
La globalizzazione è un fenomeno sottovalutato. Il sogno era della mondialità, e non della globalizzazione, nella quale siamo, purtroppo, incappati. Ora, è di tutta evidenza che, più si allarga il mercato, più si dilatano gli ambiti di azione, più cresce la tentazione di giungere primi (pur al costo di pagare un prezzo illegale), più la disonestà avanza in latitudine e longitudine.
    Beffa del destino: anche esso, secondo me, ha giocato un ruolo. La sfortuna ha voluto che i nostri uomini politici fossero Occhetto, Berlusconi, Prodi, D’Alema, Renzi, Monti, Letta, Fornero, Bersani, ecc.: veramente un bella compagnia di inetti, di menefreghisti, di gente che ha pensato e pensa soltanto al proprio ego. In questo turbinio di ignoranza, sfortuna, inconcludenza, è fatale che ciascun cittadino si sia sentito libero di fare tutto ciò che potesse al fine di guadagnare quei vertici di potere e ricchezza di cui ho già detto: di qui altra causa della corruzione.
Ulteriore schiaffo ricevuto dal destino: il dover dipendere, in qualche modo, dalla Germania.
Io non sono un fatalista; e però provo ogni tanto, a tentare (il più delle volte, vanamente) di capire che cosa ci può essere di arcano, oltre le analisi che facciamo a mente fredda. Ebbene, è facile ricordare che tutti, dico “proprio TUTTI” i rapporti che, nella storia passata, vi sono stati con la Germania hanno finito con il procurarci guai e dolori. Dalla calata dei Barbari al Risorgimento, alle due guerre mondiali. E non solo!”
Finanche la Guardia di Finanza nell'occhio del ciclone delle tangenti.
“Quanto ai finanzieri, non conoscendoli personalmente, mi limito ad affermare che anche essi sono italiani. Certo, la divisa e il giuramento prestato avrebbero dovuto trattenerli dal commettere quegli abomini. E però, anche qui mi sovviene una massima di Lao Tse’: «La via del fare è l’essere!».
Come dire che, se si è deficitarii nell’essenza, nel modo di essere, nell’interiorità, a poco valgono divise, giuramenti, parate, saluti militari, visite agli ospedali e ai terremotati.”