sabato 3 settembre 2016

BUBBICO: NON BASTA UN ESERCITO DI POLIZIOTTI PER BATTERE LE AGROMAFIE

                              
          Filippo Bubbico V. Ministro dell'Interno (foto R. De Rosa)


Le agromafie, la definizione di un mondo in cui interessi milionari, lavoro nero, sfruttamento delle braccia e caporalato senza scrupoli rappresentano il motore di una realtá che stenta a scomparire. Che dagli anni Settanta si consolida inspiegabilmente nel silenzio e nell'indifferenza, nelle campagne del Nord  e in questo Mezzogiorno di cui si discute a tratti, quasi per adempiere a un dovere di completezza. 
Il silenzio appunto. La grande stampa non ne parla. L'opinione pubblica non sembra essere nemmeno informata. Quasi indifferente. Eppure il grave fenomeno ha contorni raccapriccianti, anche nella Basilicata delle grandi risorse naturali con un metapontino all'avanguardia per le produzioni di pregio e il  peso sui mercati. 
Filippo Bubbico, Vice Ministro dell'Interno, alla festa della Cgil a Potenza traccia un quadro del grave fenomeno e si appella al lavoro comune di governo, parlamento, forze sociali con un'analisi dai toni forti, determinata a guardare in faccia la realtá. Quella vera del giorno per giorno.
"Non servirebbe un esercito di poliziotti, di finanzieri, di carabinieri per battere le mafie delle campagne", ma è necessaria una mobilitazione della societá nel suo complesso e nelle sue punte più avanzate. 
Meccanismi inefficienti e un sistema di salvaguardia che manca. Lo Stato e l'antistato aveva sottolineato poco prima don Marcello Cozzi, vice Presidente nazionale di Libera contro le mafie intervenendo nel dibattito alla festa della Cgil. L'antistato capace di affermarsi e di prevalere non solo in Calabria o in Sicilia, ma lá dove il denaro e gli affari sono un binomio inscindibile. Una realtá di sempre destinata a consolidarsi, nell'indifferenza generale, appunto, avendo alle spalle un formidabile intreccio di collegamenti tra imprese e lavoro.
Qual è il rapporto tra imprenditori agricoli e caporali? Si interroga Filippo Bubbico, e pone l'accento su situazioni ormai consolidate che fanno del caporale un anello della catena, un meccanismo ormai in grado di conquistare un ruolo e di svolgerlo concretamente, senza indietreggiare di un palmo. Anzi mostrandosi finanche indispensabile in una dinamica di collegamenti sociali dominata dall'esigenza di disporre di manodopera in grado di svolgere il lavoro duro nei campi assolati del metapontino o nelle terre della Puglia, nelle pianure di Melissa e Fragalá, antichi feudi dove la riforma agraria in un passato, ormai consegnato alla storia, ha spezzato il latifondo. Ma con quali risultati? 
Un disegno di legge in discussione, da varare quanto prima, può rappresentare una sfida vincente? C'è da augurarsi che un dibattito come quello della Cgil di Potenza con protagonisti di tutto rilievo nazionale non lasci indifferente l'opinione pubblica e soprattutto il sindacato. Sarebbe altrimenti un male forse peggiore delle stesse agromafie.

   

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