domenica 3 aprile 2016

IL PARCO DELL'APPENNINO E LA BUFERA DEL PETROLIO


                               
             Una delle prime trivelle nel  Parco dell'Appennino 
                         (foto R. De Rosa)


Forse ben pochi sanno, in Italia, che accanto al più grande giacimento di greggio in terra ferma in Europa, che si trova nella Valle dell'Agri,   esiste un Parco nazionale di tutto riguardo, il Parco dell'Appennino lucano, Val d'Agri Lagonegrese, in cui sono attivi ben sei pozzi di petrolio realizzati, si sostiene da più parti, prima della istituzione della nuova area protetta. 
Oggi, con l'inchiesta in corso da parte della magistratura e della quale parla mezzo mondo, il tema di fondo riguarda appunto il ruolo dell'Appennino nel difficile confronto con il petrolio in una dimensione non certo di sottomissione o di sudditanza ma di assoluta autonomia sostenuta appunto dalle leggi e in primo luogo dalla 394, la legge quadro sulle aree protette.   
Il parco ha una sua storia, indiscutibilmente. Per giunta abbastanza tormentata, soprattutto all'inizio quando la nomina dell'attuale presidente, Domenico Totaro fu avversata dal governatore dell'epoca della Basilicata, Vito De Filippo, oggi sottosegretario al ministero della Salute.
Totaro sin dall'inizio parlò di un progetto volto a fare del Parco una vera sentinella dell'ambiente. Tema che ritorna puntuale nei vari convegni.
La questione Appennino tuttavia è largamente ignorata dai media che si occupano dei risvolti politici delle dimissioni della Guidi e del Governo nel suo insieme, con l'occhio rivolto alla Boschi. Per la prima volta intanto nella storia del Corriere della Sera si parla della Basilicata e di Tempa Rossa, addirittura nell'editoriale di domenica. Chi l'avrebbe mai immaginato! 
Certo, il tema del disastro ambientale non è affatto sottovalutato. Inquinamenti estesi e diffusi di falde acquifere, aria, suolo con l'aggravante delle tonnellate di liquidi reiniettati nel sottosuolo e provenienti dalle estrazioni. Il vero mostro sono proprio i grandi quantitativi di reflui trattati con sostanze tossiche e rispediti nelle profonditá, non solo nei territori dove sono ubicate le trivelle ma in modo orizzontale in tutta la Basilicata e non solo. Nemmeno Puglia e Campania possono dirsi al riparo da questa inesorabile contaminazione.
La vastitá del fenomeno, che avrebbe dovuto avere dalle Arpa lucana, pugliese e campana risposte precise nel tempo, corrisponde esattamente alle dimensioni del caso politico e alla portata del ciclone in atto. Finanche un ammiraglio, per giunta Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, è finito nei faldoni dell'inchiesta. Senza considerare poi la miriade di intercettazioni telefoniche, alcune delle quali pubblicate in questi giorni, a cominciare da quelle riguardanti la Ponterosso Enginering oggetto di lunghe conversazioni tra Cobianchi Total e Gemelli fidanzato della Guidi e proprietario dell'azienda.
Quali sono le prospettive che si aprono, davvero difficile dirlo, se non impossibile. Facile immaginare che non siamo in presenza di un fuocherello,  ma di un incendio di vaste proporzioni capace di divorare un po' tutto.
Il Parco nazionale ha tuttavia ruoli e compiti che in questa fase dovranno emergere con forza. Un vero baluardo contro la distruzione sarebbe l'unico antidoto agli effetti perversi delle estrazioni petrolifere. 

Nessun commento:

Posta un commento