domenica 22 febbraio 2015

QUEL LONTANISSIMO 20 MAGGIO 1970



Sembra essere lontano da noi anni luce il 20 maggio 1970, giorno storico per operai, lavoratori, intellettuali, professionisti, infermieri, medici, metalmeccanici ecc. È il giorno in cui vide la luce il ben noto, anzi arcinoto, Statuto dei lavoratori, unanimemente acclamato per anni dai sindacati e maledetto da sempre dal grande padronato che ha finito per scegliere negli ultimi decenni la strada della Cina o di altri paesi, dove il lavoro costa praticamente nulla e dove una famiglia vive con poche decine di euro al mese.
Ora si volta pagina. È il Jobs act, la nuova disciplina introdotta a partire dal primo marzo prossimo, con l'uso di un termine anglosassone destinato a rispecchiare in pieno le nuove logiche del lavoro e dello "sviluppo" e ad illustrare scenari completamente diversi da quelli ai quali eravamo finora abituati. Ciò accade solo ed esclusivamente in seguito ai profondi cambiamenti del nostro tempo, determinato a sradicare tutto, realmente tutto. Da cima a fondo. Siamo in epoca post industriale e nell'ultramoderno.
Del resto in Italia non sono cambiati solo i governanti: è cambiata una intera generazione di giuslavoristi, spazzando via competenze, studi, ricerche del passato e mettendo in soffitta nomi come quello di Gino Giugni, il padre dello Statuto, e altri ancora. Preistoria, nulla di più. Al massimo storia della letteratura del lavoro, ai tempi di Napoleone...
Che ci fosse bisogno di adeguare il complesso patrimonio legislativo, adeguandolo a una diversa cultura del lavoro, non vi è dubbio alcuno. Ma tutto sarebbe dovuto accadere in sintonia con il Parlamento, espressione di democrazia e di volontà popolare.
Sta di fatto che è cambiato finanche il modo di considerare il lavoro, da parte della pubblica opinione, in cui prevale ormai il concetto della precarietà come istituzione. Del lavoro che manca inevitabilmente. Della disoccupazione fisiologica, ma non per tutti. Attenzione. Gruppi di potere, aziende, personaggi della "società attiva" si rivelano capaci di ottenere incarichi e prebende da parte di enti, strutture pubbliche e altro ancora: hanno il percorso spianato e non per breve tempo. Con o senza la crisi. Anzi la crisi favorisce operaIoni e manovre di potere, con aggiustamenti vari e manovre condotto in base al mai accantonato manuale Cencelli. Magari in edizione aggiornata.
In tutto questo scenario esplodono di tanto in tanto, come mine vaganti, alcune inchieste destinate tuttavia a esaurirsi in un volgere di tempo non lunghissimo. Senza ribaltare  nessuna situazione importante.
A proposito del Jobs, Renzi dice di essere riuscito a cambiare le regole. Non vi è dubbio. Bisognerà verificare quale sarà il risultato di una manovra così complessa e così ardua, per un paese come l'Italia. Ma la verifica non è obiettivo di oggi. Occorreranno mesi e mesi, se non anni,  prima di ottenere risultati significativi e inoppugnabili, in base ai quali si potrà dire se la riforma sarà stata un bene o un meccanismo rischioso. Negativo e dannoso come da certe angolazioni lo si vede ora. La CGIL, frattanto, ha lanciato una raccolta di firme per un nuovo Statuto dei lavoratori.
Intanto, da subito, occorre porre mano a un ampliamento della base produttiva dell'intero paese. Occorre uscire da certi equivoci e superare facili illusioni. Tra queste ultime potrebbero esserci per la Basilicata la Vibac di Viggiano, la Val Basento, le aree industriali del dopo terremoto. E tanto altro ancora. Senza escludere in campo nazionale il destino del Lingotto inevitabilmente sopraffatto dal potente marchio Chrysler per esclusive ragioni di mercato e in nome di profitti da capogiro.
Il Jobs act lascia intanto l'amaro in bocca, e non fa fare salti di gioia a molti dei diretti interessati di oggi e del futuro.
Il sindacato, a cominciare dalla Cisl, si dichiara insoddisfatto. Soprattutto per ciò che riguarda i licenziamenti collettivi. Staremo a vedere quali iniziative saranno adottate, all'altezza della posta in gioco, evidentemente. Sarà in grado il mercato del lavoro di dare fondamentali garanzie, in nome delle riforme attuate? Ecco il nodo da sciogliere senza tentennamenti.
Peraltro l'articolo 18 interessa oggi poche migliaia di lavoratori in Italia. Averlo buttato nel cestino della spazzatura in fondo non è una conquista se non per innalzare finalmente la bandiera  della eliminazione di ogni vincolo per i datori di lavoro. Un segno dei tempi anche questo, soprattutto questo, che sancisce nuove logiche e nuove condizioni di vita, non solo di mercato.
Per protestare, e tentare così  una improbabile mediazione, lo sciopero non servirà a nulla. Mille proteste innescheranno soltanto una contestazione fine a sè stessa. Con tutti i pericoli di un estremismo rovinoso, capace di dar vita soltanto a una intolleranza dai risvolti imprevedibili. Senza escludere il terrorismo dietro l'angolo di casa.
Il Jobs act non incorona certo alcun vincitore, nè lo autorizza a salire sul podio per riscuotere il plauso di folle sterminate. Il vero  vincitore è il mercato con le sue leggi, le sue discipline e con le logiche di un profitto orientato verso arricchimenti milionari di pochi e noncurante del resto. Meno che mai di chi lavora, specie se chi lavora pretende il rispetto di certe regole e non è disposto a rinunciarvi.

Nessun commento:

Posta un commento