lunedì 16 febbraio 2015

I PROFUGHI LIBICI, UN CAMPANELLO D'ALLARME. GRAVISSIMO NON ASCOLTARLO



Siamo di fronte a un'emergenza senza precedenti: un pattugliatore della Guardia Costiera minacciato con le armi da alcuni scafisti proprio mentre erano in corso operazioni per salvare vite umane nel canale di Sicilia. E intanto gli sbarchi proseguono, mentre gommoni e carrette del mare trasportano centinaia di disperati diretti verso le coste italiane. 
L'emergenza non consiste solo nel numero quanto nel ripetersi sistematico del fenomeno di fronte al quale c'è assenza di meccanismi straordinari per frenare gli sbarchi. L'Italia è e continuerà a essere la meta di migliaia di persone messe in fuga dalla fame, dalle guerre, incalzate da una situazione umanamente e socialmente insostenibile con la Libia che rappresenta uno dei bubboni nello scacchiere internazionale. Per giunta il personale dell'ambasciata italiana è stato scortato con mezzi navali e aerei per mettersi in salvo e raggiungere il Porto di Augusta.  Cosa davvero senza precedenti, di una gravità inaudita. 
L'assalto dei jihadisti islamici non cessa. È questo oggi il maggiore rischio. Sotto vari profili: un attacco all'Italia viene annunciato sul web. Ma il pericolo  è il diretto coinvolgimento del nostro paese in una guerra dai risvolti imprevedibili che non potrà certamente sradicare all'origine il pericolo integralista. Ecco il punto. Servirebbe soltanto ad accentuare lo spirito di rivalsa e a trasformare terroristi di ogni specie in altrettante mine vaganti, dalle quali sarebbe difficile soltanto immaginare di difendersi.
La Francia chiede una risoluzione urgente dell'ONU. Ma cosa ha fatto la comunità internazionale da anni per disinnescare sul piano diplomatico questo pericoloso ordigno, che può esplodere esattamente come un congegno a tempo.  Con l'aggravante della sorpresa e dei mille sistemi dei quali si avvalgono  kamikaze e altri adepti.
Avanza dunque la strategia del terrore che si vorrebbe frenare con l'uso delle armi da parte dell'Italia. Dice il premier di Tobruk Al Thani: bisogna agire subito perché il bersaglio più immediato è l'Italia. Renzi gli risponde che non è il momento di ricorrere alla guerra in una fase così difficile e in un momento delicatissimo per gli equilibri tra paesi dell'Africa ed Europa. 
Da quarant'anni mai così difficile, commenta Mons. Martinelli, dopo vari interventi di Papa Francesco per favorire il dialogo con i musulmani e tenere lontano ogni strumento di morte e ogni spinta verso la violenza assassina, giustificata dal credo religioso per giunta.
Immaginiamo cosa sarebbe una guerra contro un nemico apparentemente individuato o individuabile. Ma in realtà assai difficile da conoscere, nonostante i vari allarmi degli ultimi mesi che hanno portato ad arresti e catture in diverse parti del mondo di miliziani della jihad. O soltanto di potenziali aspiranti.  

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