martedì 3 giugno 2014

POSSIBILE OGGI UNO SVILUPPO VERDE, ALMENO NEI PARCHI?




Il binomio parchi-sviluppo è un dato culturale, oltre che politico, in qualche modo contrapposto alla ferrea legge  rappresentata dalla 394 e da altre norme di salvaguardia integrali. Una legislazione decisamente protezionistica o, per meglio dire,  poco propensa a valutare lo sviluppo come una componente essenziale del progetto di aree protette. In fondo la linea che Giorgio Ruffolo autorevolmente varò sul finire degli anni Ottanta, quando bisognava sottrarre parchi e riserve naturali allo sciagurato disegno dei disboscamenti ad oltranza e delle distruzioni, spesso portati avanti dalla nascente industria. Al Nord come al Sud.
Ottima idea, quella di Federparchi, di promuovere a Milano un dibattito su un argomento di tanto rilievo che necessita tuttavia di proposte di merito e di contenuti. Al dibattito ha partecipato anche il Parco nazionale dell'Appennino lucano Val d'Agri Lagonegrese con il suo presidente Domenico Totaro superando così un vecchio concetto di anacronistico dualismo. 
Il punto cardine rimane tuttavia un interrogativo nient'affatto trascurabile: che fare dei parchi in un momento di crisi e di profonda incertezza economica in cui il governo, e non solo il governo, parlano ovunque di Pil da rafforzare. E mentre settori di un equilibrato ambientalismo affrontano i nodi di una economia verde da rilanciare in modo proficuo e accettabile. 
Per giunta il dibattito di Milano ha sottoposto all'attenzione di una platea qualificata un altro binomio: la green economy in stretta relazione ad una green society. Che possa esistere realisticamente una economia verde è senz'altro possibile. Ma che ci possa essere finalmente una società verde, appare assai poco probabile. Un'idea relegata nel mondo dei sogni.  L'invito a bucare in lungo e in largo questa Basilicata del petrolio la dice davvero lunga. 
Piuttosto la consistenza del dibattito di Milano attribuisce a Federparchi un  importante ruolo di proposta, consistente nella possibilitá di individuare, secondo lo specifico delle diverse realtá,  linee produttive in grado di valorizzare l'ambiente e di creare occasioni di lavoro, secondo una logica di programmazione chiara e inconfutabile. Ma soprattutto praticabile negli ambienti verdi.
E ciò con un preciso riferimento ai vari piani dei parchi, strumenti di gestione fondamentali stando ad una programmazione rigorosa ed efficiente, in certi casi purtroppo ancora da mettere a punto. Se non da inventare. 
Se soltanto proviamo a pensare allo spopolamento che il Pollino fece registrare all'indomani della sua "elevazione" a Parco nazionale storico del Sud si comprende benissimo l'esigenza di aprire le porte a una economia vera nelle località suscettibili di protezione e di rilancio. Si parlò a metá degli anni Novanta di una perdita di popolazione attiva di oltre il quattro per cento nel territorio del massiccio calabro lucano. Spopolamento in certi casi non ancora cessato, nonostante le politiche messe in atto da vari anni. E nonostante il Pollino goda di una fama internazionale di tutto riguardo.

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