lunedì 30 settembre 2013

IRRIMEDIABILMENTE CRISI




Il partito monolitico, ubbidiente, pronto a sacrificarsi e soprattutto a chinare la schiena in qualunque momento, non c'è. Inutile  farsi illusioni.
A parte gli effetti dirompenti, il dato vero della crisi proclamata e che potrá riservare agli italiani infinite sorprese, è anche questo: il bisogno di rivendicare una identità culturale, di far valere, da parte di settori non marginali di Forza Italia,  una democrazia non solo apparente ma reale e palpabile. Oltre alla necessità del rispetto di opinioni largamente condivise che possano essere alla base di una decisione tanto importante quanto delicata e temibile, qual è appunto la crisi in un momento in cui non c'è assolutamente posto per l'instabilità politica e per le incertezze. E meno che mai per il baratro che vanificherebbe ogni sforzo, spostando indietro il Paese reale,  non di un anno o due. Ma infinitamente. Facendolo arretrare con conseguenze orribili, difficili finanche da immaginare.
Ecco il dato all'interno di quella che viene definita sbrigativamente crisi, ma altro non è, o rischia di essere, una perdita di quota irrimediabile per il Paese e il suo sviluppo. Per il destino di giovani e  famiglie, di chi non sa cosa fare per guadagnarsi un centesimo da portare a casa.
L'altolá a quel gruppo imprudente di "facinorosi" che mirano a posizioni personali consolidate e dominanti e per questo assumono atteggiamenti sfascisti,  non è cosa da poco. Oltretutto nasce dall'interno di una formazione che da sempre ha detto di avere interesse per una svolta in grado di dare serenità a chi vuol lavorare, a chi vuole rimboccarsi davvero le maniche per un futuro migliore. A migliaia di famiglie con serie difficoltà economiche. A chi vive una vita di stenti.
Il ritiro dei ministri sembra un petardo fatto esplodere con una enorme deflagrazione, tra le gambe di chi finora ha fatto appello alle forze migliori per uscire dal tunnel buio e pericoloso.
Provare a chiedere ai giovani e meno giovani cosa pensano di una scelta così repentina sarebbe, ad esempio, un'idea da non sottovalutare. Certo, osserverà qualcuno, la gente può soltanto esprimere giudizi sulla opportunità di una crisi o meno. Non può fare altro. Parlo della gente comune. Ma il senso comune e l'opinione prevalente dei protagonisti della vita reale  hanno tuttavia il loro peso. Se non  lo hanno è brutto segno. Vuol dire che la democrazia è malata.
Ora si apre un capitolo inedito, imprevedibile negli sviluppi. Finanche incontrollabile. Si parla di nuove maggioranze, ma dove sono? Con quali alchimie è possibile metterle insieme? Il momento è tra i peggiori, se non il peggiore, della storia repubblicana. Questa riflessione dovrebbe servire da sola a mobilitare sul serio delle energie importanti. A fare in modo che si cominci a costruire ogni giorno nell'interesse comune e non secondo le mire di pochi. La riflessione dei vescovi che parlano di una crisi senza senso è da intendersi pertanto come un richiamo ad una logica profonda del bene comune che, allo stato, non sembra purtroppo prevalere. Ecco il ruolo della Chiesa a sostegno di una moralità non solo teorica, ma immersa nel giorno per giorno. Proprio come insegna Papa Francesco, il grande innovatore.


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