Un medico americano in visita al Pollino |
Per molte persone che vivono da decenni, se non addirittura da intere generazioni, la realtà del Pollino, il Parco nazionale più grande d’Italia, non ha portato benessere, lavoro e sviluppo. Ma solo vincoli e impedimenti. Necessità di autorizzazioni per tutto, burocrazia dominante e poi una legge quadro da rivedere perché ispirata esclusivamente a obiettivi di conservazione e non di crescita economica compatibile con la salvaguardia della natura.
E’ proprio questa in sintesi l’opinione di Antonia, una lavoratrice forestale che abita ai piedi della montagna e vive giorno dopo giorno mille problemi e tante difficoltà. Ci si interroga sul ruolo delle due regioni, Basilicata e Calabria, nei confronti del Governo, un ruolo di mediazione ma anche di proposta.
Roberto Fittipaldi, per anni addetto stampa all’Ente Parco, oggi giornalista RAI, è testimone delle diverse stagioni in cui spesso il Pollino ha finito per essere sommerso da una valanga di opinioni divergenti e di punti di vista di segno opposto. Del parco si discute dalla festa della Montagna del 1958, ma con quali risultati?
“L’istituzione del Parco Nazionale del Pollino ha rappresentato - osserva Fittipaldi - quello scatto in avanti per il vasto territorio del sud della Basilicata e del nord della Calabria che, altrimenti, non sarebbe stato possibile realizzare. Nonostante lo scetticismo pre-istituzione e quello ancora vivo nei detrattori dell’idea Parco e tra coloro i quali ne minimizzano la portata e enfatizzano gli aspetti critici che pure ci sono, l’areale del Parco sfuggito alle dinamiche di sviluppo e di modernizzazione del secondo dopoguerra, ha potuto - seppure in maniera inferiore ad altre realtà del sistema delle aree protette nazionali - attivare dei processi economici proficui indotti dall’esistenza del Parco e dalla scoperta turistica del territorio; conseguentemente arginare, seppure in maniera non determinante, l’emorragia abitativa che affligge le aree interne. Su tutto, il risultato fondamentale è stato ed è la protezione di un patrimonio naturale unico riconosciuto, in quanto tale, patrimonio dell’umanità.”
Bisogna riconoscere, in ogni caso, che se il massiccio calabro lucano ha fatto passi enormi in questi anni, lo si deve per larga parte all’iniziativa dei privati che hanno alimentato e continuano ad alimentare flussi turistici consistenti.
“E’ sicuramente provato quanto sia stato fondamentale, e lo sia ancora, il ruolo dei privati nel rendere accogliente un luogo così altamente attrattivo. Il Creato funge da attrattore ma è la presenza antropica - tratto distintivo di uno dei parchi naturali più antropizzati d’Italia - a rendere ‘empatico’ un territorio che custodisce non solo paesaggi mozzafiato, alberi ed animali rari, ma anche tradizioni popolari tra le più antiche, spesso tramandate di generazione in generazione e ancora oggi “raccontate” attraverso gesti, parole, profumi, sapori e gusti.”
Qual è, a tuo parere, il futuro del grande Parco?
“Il Pollino è di fatto l’unico polmone in grado di far ‘respirare’ in senso lato il territorio e, in connessione con gli altri parchi del Meridione, del resto del Paese e dell’Europa assumendo un ruolo strategico nel dibattito e nella pianificazione di strategie per la transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici ma anche per essere un ponte di pace tra paesi in guerra e popolazioni in fuga.
Sarò un romantico dell’idea Parco in cui ho creduto sin dalla mia prima attività da cronista dagli anni precedenti l’istituzione e, successivamente, dall’interno dell’Ente di gestione ma credo fortemente che facendo tesoro degli errori del passato e valorizzando i risultati comunque raggiunti nel primo trentennio di vita, si debba e si possa guardare al futuro con rinnovato ottimismo.”
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