Il più giovane dei cinque operai uccisi dal treno in Piemonte aveva 22 anni. Era andato dalla Sicilia al Nord per cercare lavoro. Quel lavoro duro, pesante su un binario da sostituire nel cuore della notte, lontano da casa dove la notizia della morte è arrivata come un ciclone che spazza via tutto.
Cinque operai. Cinque uomini falciati dal convoglio ad altissima velocità che li ha trascinati per centinaia di metri, come carne da macello, senza riuscire ad avere contezza di quanto stava accadendo. Perché quanto stava accadendo era già irrimediabilmente accaduto.
Un disastro che scuote tutti e lascia il Paese attonito. Com’è potuto succedere, trattandosi peraltro di una linea ferroviaria importante con convogli destinati a collegare centri di tutto rilievo e per giunta ad alta velocità, oltre i 150 chilometri orari.
Di chi sono le responsabilità e, soprattutto, come mai non sono state adottate tutte le misure destinate a garantire idonei livelli di sicurezza alle maestranze impegnate su qualunque tratta ferroviaria, al Nord come al Sud. Sulle linee importanti come su quelle secondarie. Senza distinzione alcuna.
Questa volta la tragedia è davvero immane, senza retorica. Immaginiamo lo schianto, le urla di dolore interrotte in pochi secondi da una morte spietata. A quella morte orribile fa seguito la disperazione dei familiari, piombati nel terrore da un momento all'altro. Come se per ciascuna delle famiglie si ripetesse quello schianto all’infinito.
I messaggi di cordoglio si susseguono ora, ma non servono a cancellare il dolore dei congiunti, il pianto dei familiari raccolto dai cronisti accorsi sul posto. La magistratura seguirà il suo corso, domani, dopodomani, quando saranno disponibili tutte le informazioni necessarie. Chissà quando. Ma nessuno riuscirà a lenire le conseguenze di un disastro di proporzioni indescrivibili. Ci sarà anche uno sciopero, ma le vite spezzate non ritornano.
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