Subito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, tra i profughi giunti nel Mezzogiorno da Fiume e da altri territori c’era un uomo, giovane, apparente età di circa quarant’anni. Riuscì a essere arruolato tra i vigili urbani di Potenza, quando la polizia locale contava pochissimi elementi.
Persona di grande umanità, mai un riferimento alla tragedia del suo passato, mai parole di condanna dell’immane catastrofe che furono le foibe, equivalenti ai campi di sterminio nazisti. Una sofferenza vissuta in silenzio ma con dignità nella sua stessa famiglia. Come se parlare potesse far rivivere momenti indescrivibili.
La città lo accolse con grande ospitalità, ma ciò non servì a cancellare dalla sua mente la tristezza per quella sorta di genocidio degli italiani, colpevoli agli occhi di Tito di essere italiani e quindi fascisti da colpire.
Orribile ricordo che quella persona, come tante altre certamente, ha cercato di cancellare dalla mente con il silenzio per evitare che il ricordo facesse rivivere appunto i momenti del dramma, umano e sociale.
Certo, ha ragione Mattarella a sostenere che le Foibe sono uno dei tanti disastri all’interno di quella enorme sciagura del secondo conflitto mondiale, causa di lutti e distruzioni con città e paesi ridotti in macerie in un clima di disperazione, in cui credere nel futuro sembrava impossibile. Se non assurdo.
Nel 1954 festeggiamenti spontanei, organizzati in diverse città dalla popolazione il 26 ottobre, sancirono l’annessione di Trieste all’Italia. Grande entusiasmo con folle commosse per celebrare l’evento che voleva ricordare per sempre l’orrore della guerra. Ma l’umanità da quegli eventi sembra oggi non avere appreso nulla. Purtroppo.
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