domenica 11 novembre 2018

MAGISTRATI: A CHI CREDERE?



La sentenza che assolve la sindaca di Roma è a dir poco inquietante. Ci si chiede se sia minimamente ammissibile che il PM, vale a dire la pubblica accusa, chieda 10 mesi di reclusione per Virginia Raggi per falso ideologico e che ci sia poi un giudice che ritiene non penalmente perseguibile quello stesso comportamento che il Pubblico Ministero considera invece passibile di pena.
Indipendentemente dall’autonomia di giudizio, da riconoscere a qualunque persona e a qualunque magistrato, rimane il dato sulla profonda divergenza di vedute tra i due rappresentanti della giustizia, a questo punto non so se con lettera maiuscola o minuscola. 
Rispettare le sentenze, alla luce di quanto accade, mi sembra uno slogan privo di contenuti. Un voler sbandierare vecchi luoghi comuni, inadeguati al tempo in cui viviamo e alle vicende di cui siamo tutti testimoni.
Per giunta il diritto, con cui hanno a che fare ogni giorno i signori magistrati, è materia rigorosamente tecnica, non soggetta all’arbitrio individuale, nè al pensiero politico. Sicchè nel momento in cui il Tribunale riconosce l’esistenza dei fatti addebitati alla Raggi, ma non li considera un reato, entra in rotta di collisione con chi invece è del parere che essi facciano parte della normale condotta di un pubblico amministratore, nella fattispecie la sindaca della Capitale. 
Il PM annuncia l’appello. Ma ciò non supera il contrasto stridente tra i due “punti di vista”. Si perché di opinioni personali si tratta. Il che non è poca cosa.          

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