mercoledì 23 gennaio 2013

ROBERTO SPERANZA: "LAVORO E MORALITA" PAROLE CHIAVE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE intervista di Rocco De Rosa


• La Basilicata e il Mezzogiorno in vista della scadenza elettorale ormai prossima: cosa potrà davvero cambiare per i lucani?
Le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio arrivano in uno dei momenti più delicati ed importanti della storia recente del nostro Paese, in un clima politico quanto mai convulso.
E’ trascorso pochissimo tempo da quando il Pdl ha dichiarato chiusa l'esperienza del governo Monti e, con essa, di questa legislatura. Una conclusione non composta e ordinata, come aveva invano auspicato il Presidente della Repubblica: uno strappo vero e proprio, ulteriormente enfatizzato dalla resurrezione di Silvio Berlusconi (“la mummia”, come l’ha impietosamente chiamato Libération), che, nello sbalordimento generale, in primis della stessa dirigenza del suo partito, ha annunciato la sua ennesima, ormai farsesca, discesa in campo.
Il governo Monti non è stato il ‘nostro’ governo, e l’agenda Monti non è il ‘nostro’ programma di governo. Perché anche le politiche di austerità non sono neutre; perché ci sono approcci e priorità che sono veramente ‘nostri’ e che attengono ad una irrinunciabile declinazione del principio di uguaglianza e di eguale dignità delle persone e dei ceti, alla preminenza che assegniamo ai diritti sociali ed ai beni comuni, alla stessa visione solidale e cooperativa dell’Europa che è propria delle forze progressiste del continente.
Purtuttavia è giusto ribadire che le scelte che il governo tecnico ha compiuto nel segno della modernizzazione e dell’efficienza, la dieta radicale contro la bulimìa degli apparati amministrativi ed istituzionali, la lotta agli sprechi ed alle irrazionalità del sistema Paese, l’avvio di una seria riforma dei costi e delle consuetudini della politica, l’affermazione di uno stile di sobrietà e di disciplina nella vita pubblica, sono anche per noi un punto di non ritorno, anzi sono un punto di ripartenza per quella spinta di rigenerazione morale e civile di cui il Paese ha vitale bisogno per fuoriuscire dalla depressione e accelerare la sua rinascita. E mi sia consentito di intravedere in questo generale richiamo a stili di comportamento più sobri e severi una felice reviviscenza di sentimenti antichi, di quello spirito di sacrificio e di pazienza, di quel senso dell’equilibrio e della misura, che stanno proprio nel patrimonio genetico dei lucani.
Questo scatto di civismo è proprio la prima cosa di cui ha bisogno il Paese, dopo l’abbondante ubriacatura di egoismo e di qualunquismo che esso ha subito in questi ultimi anni. Ed è soprattutto il Mezzogiorno che, in questo giro di boa indispensabile, indifferibile, decisivo, trova in queste tematiche il terreno fondamentale sul quale la politica gioca la carta della sua rilegittimazione.
Del resto, non a caso Bersani ha usato due parole-chiave quali temi-bandiera della campagna elettorale, ‘lavoro e moralità’. Viviamo una crisi non superficiale e non effimera degli assetti economici internazionali. Siamo chiamati tutti ad un grande sforzo per difendere il Mezzogiorno e la nostra Basilicata, la sua stabilità, il suo avvenire. Lavoro, innanzitutto, che significa allo stesso tempo impegno prioritario a preservare e alimentare ogni potenzialità produttiva, sostenere le imprese soffocate dai costi crescenti e dal credito mancante, mantenere in attività la più larga parte possibile della popolazione, presidiare la fonte della ricchezza nazionale e della dignità civile degli italiani. Certo non ci sono bacchette magiche che possano, con un sol tocco,  tirare a lucido tutto l’oscurantismo in cui la destra e il berlusconesimo ci ha ingabbiati. Il periodo delle favole è finito!
Viviamo una stagione di straordinari sacrifici; chiediamo ai nostri amministratori locali -veri eroi civili del nostro tempo- di non ammainare bandiera; ci battiamo allo stremo contro il pericolo di una progressiva desertificazione produttiva; stiamo imponendo a intere generazioni di procrastinare i progetti di vita; diciamo al Paese di stringere i denti e di non smettere di credere.
Lavoro e moralità, dunque. Spetta alle classi dirigenti dare l’esempio, ridare fiducia nella vita pubblica e nelle istituzioni democratiche. Spetta a noi che abbiamo scelto di occuparci degli interessi collettivi promuovere una generale riforma dei costumi pubblici: ‘onore e decoro’, come chiede appunto la nostra Costituzione.
Ho coordinato il Comitato di Bersani durante la campagna delle primarie per scegliere il leader del centro sinistra alle prossime elezioni ed ho sentito l’affetto e l’apprezzamento di tanti lucani che, anche sui miei profili facebook e twitter, hanno voluto farmi sentire la loro vicinanza. Capeggiare la lista alla Camera in Basilicata alle prossime elezioni è per me un onore e rappresenta una sfida entusiasmante, carica di responsabilità. Sento di rappresentare per una generazione intera e, più in generale per la Basilicata, una reale opportunità per rafforzare la presenza della nostra regione sui tavoli nazionali. Penso che il sofferto tema di una nuova governance istituzionale resta uno dei passaggi cruciali per costruire una Basilicata capace di reggere dinanzi alle sfide che si profilano nei prossimi anni. E credo che la discussione ormai prossima alla conclusione sul nuovo Statuto della Regione ed il complessivo ridisegno delle funzioni strumentali para e sub regionali debbano essere lucidamente inquadrati in uno sforzo di proiezione di questa piccola Regione nelle dinamiche evolutive di un Paese che dovrà accelerare il passo della sua modernizzazione sostenibile e della sua europeizzazione.
Conciliare unità e assetto policentrico è il problema storico della Basilicata contemporanea, dato che, a mio avviso, il deficit di urbanizzazione resta la debolezza più acuta del nostro sistema territoriale. Con le aree programma abbiamo costruito una cornice di area vasta, ma la riorganizzazione dei servizi locali postula la riaggregazione dei piccoli Comuni e solo un grande partito regionale può pilotare un simile processo tenendolo al riparo dai rigurgiti del più dissennato localismo. Siamo andati assumendo negli ultimi mesi una serie di scelte fondamentali e inequivocabili che accentuano le opzioni strategiche consacrate dalla nostra Conferenza programmatica, le linee portanti del modello di sviluppo che intendiamo dare alla Regione. La ferma posizione assunta sullo stop a nuove ricerche idrominerarie e la mobilitazione in atto nel Metapontino contro nuove trivellazioni ne sono un esempio emblematico, cruciale, anche perché prefigurano una significativa tensione con lo Stato e soprattutto con la ventata neocentralistica delle politiche energetiche.
Sostenibilità, dunque, come paradigma strategico e fattore di salvaguardia e garanzia della qualità degli interventi da localizzare sul nostro territorio. Ma non solo green economy, perché noi non abbiamo mai ceduto alle suggestioni di un certa lettura romantica dello sviluppo, attenti come siamo al tema fondamentale della difesa e del rafforzamento della base produttiva, all’implementazione delle innovazioni tecnologiche ed al rilancio dell’attività manifatturiera, al di fuori della quale ben difficilmente potremmo sperare di rimettere in sesto la bilancia occupazionale della regione.

• Enormi risorse e disoccupazione a livelli record, soprattutto in Basilicata. Quali le strategie, a livello locale e nazionale, da mettere in campo?
Ho appena fatto riferimento alla Prima Conferenza Programmatica del Pd lucano che ci ha visti impegnati in un lungo viaggio attraverso moltissimi comuni della Basilicata per discutere di scuola, università, ricerca, sviluppo sostenibile, lavoro, fattori di sviluppo industriale, nuove tecnologie, connessioni infrastrutturali e virtuali/informatiche. Questi atti saranno presto raccolti in un libro, il secondo da quando sono segretario dopo quello sul seminario di Rifreddo del gennaio 2011 che, insieme, provano a tracciare il solco entro il quale immaginare, pianificare e costruire una Basilicata migliore per noi e per i nostri figli.
La domanda di fondo a questa che Lei mi pone io penso sia: dove portiamo la Basilicata? Non tra tre giorni, non tra un mese o tra cinque mesi, ma qual è il disegno lungo che noi abbiamo nella testa,  qual è l'orizzonte nel quale intendiamo muoverci. E per fare questo dobbiamo rispondere ad altre domande e cioè in che passaggio storico, sociale, economico noi siamo, che cosa è questa regione oggi. Ed ancora, che cosa significano i cambiamenti globali, nazionali, meridionali che avvengono di fronte a noi, nel nostro contorno. Che cosa significa la crisi economica internazionale in questa regione. Che cosa significa quella drammatica e continua contrazione delle risorse pubbliche provenienti dagli altri livelli istituzionali per la Basilicata. E qual è il rapporto politica-società in questa Regione? Che cosa è oggi la società lucana?
Rispondere a queste domande, per me significa investire sul passaggio ad una nuova relazione tra politica e società in Basilicata, una relazione più profonda, una relazione più vera, partendo dalla valorizzazione delle reciproche autonomie.
Spesso mi è capitato di dire in passato che, alcune volte, in questa Regione si ha la sensazione di troppa politica dove forse non ce ne sarebbe occorrenza e troppo poca, invece, dove ce ne sarebbe bisogno. Questo tema è decisivo e dobbiamo inserirlo nella nostra discussione per immaginare un cambiamento, creando un consenso meno costruito sull'utilizzo della spesa pubblica e più costruito sul progetto lungo con il quale immaginiamo di costruire questa Regione. Questo significa, credo, mutare la logica da un approccio che privilegia la creazione di beni individuali ad uno che sia focalizzato alla creazione di beni collettivi o comuni, alimentando così i valori alla base del capitale sociale della nostra comunità.
Io non ho paura di dire che si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, e le rivoluzioni culturali, almeno quelle vere, non si fanno in un giorno e non si fanno in un anno. Per questo io penso che rispondere ad una domanda sulle strategie di sviluppo per la nostra terra apra una riflessione lunga: cosa sarà la Basilicata tra dieci anni, come noi costruiamo questa Basilicata, a partire da oggi, dalla nostra responsabilità di governo, per consentirci una tenuta ed un rilancio, come sistema territoriale, da qui ai prossimi anni.
La politica deve fare la propria parte, noi per primi, che abbiamo la responsabilità più grande, ma, dobbiamo ammetterlo, anche il resto della società deve giocare questa partita. E alcune volte, purtroppo,  anche essa non fa fino in fondo quello che potrebbe. Non so se la società lucana sia pronta a stare compiutamente dentro questo nuovo modello di sviluppo. Viviamo in una Regione in cui spesso le imprese ci chiedono assistenza e non condizioni di contesto migliore, in cui i giovani non sempre ci chiedono più opportunità e mettono in campo la loro voglia di rischiare, ma, in alcuni casi, domandano solo assistenza e più possibilità di stare dentro percorsi garantiti. Io penso che la Basilicata del domani ce la farà esattamente dentro questo sforzo di cambiare il rapporto politica-società, creando un consenso costruito più sul progetto lungo e meno sull'utilizzo assistenziale delle risorse pubbliche.

Qual è al momento l'alleato da scegliere, sul piano politico,  considerato davvero capace di aprire un confronto, insieme al Pd, con le multinazionali del petrolio, con la Fiat e il mondo dell'industria del Nord perché ci siano nuovi investimenti?

Bene! E’ una domanda che mi dà anche la possibilità di riprendere l’azione politica avviata da Pier Luigi Bersani con la stesura della ‘Carta d’Intenti’ che il Partito Democratico ha inteso condividere con il mondo dei democratici e dei progressisti. Quel patto siglato pochi mesi fa rappresenta l’impegno di queste forze a sottoscrivere una programmazione politica che mira alla ripresa economica, politica e culturale del nostro Paese. Il prologo è il seguente: “L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza. L’Italia perderà se abbandonerà l’Europa e si rifugerà nel suo spirito corporativo, se prevarrà l’interesse del più ricco o del più arrogante. Se speranza e riscatto non saranno il capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti. Questa Carta d’Intenti vuole descrivere l’Italia che ce la può fare, che ce la può fare ricostruendo basi etiche e di efficienza economica; che ce la può fare con uno sforzo comune in cui chi ha di più dà di più. Sappiamo che la politica ha le sue colpe. E che quanto più profonda si manifesta la crisi, tanto più le classi dirigenti devono testimoniare il meglio: nella competenza, nella condotta, nella coerenza. Questo sarà il nostro impegno e la bussola per il nostro compito. Con la stessa sincerità, diciamo che non siamo tutti uguali. Non sono uguali i partiti, le persone, le responsabilità. Gli italiani sono finiti dove mai sarebbero dovuti stare perché a lungo sono stati governati male. Noi vogliamo chiudere quella pagina e aprirne un’altra”.
Allo stesso modo dovremmo lavorare in Basilicata affinchè tutte le forze politiche interessate alla tutela del bene comune si sentano in dovere di impegnarsi e sacrificarsi per la ripresa della nostra regione.
Il cammino di riforme strutturali inaugurato da Prodi, Ciampi e Padoa-Schioppa e seguito, seppur con quei limiti egualitari a cui prima accennavo, da Monti e dal suo Governo, deve essere ripreso e sostenuto con l’intento, purtuttavia, di perseguire una idea più vasta e giusta di sviluppo economico. Questo passaggio e questo cammino va ripreso perché di certo occorre andare nel 2013 oltre il governo Monti ed in Europa per portare in essa il modello confederale di partecipazione e con essa il progetto di riforma del capitalismo, occorrerà decentrare sulle strutture regionali il modello confederale di concertazione, per dare forza al superamento della crisi, consolidando un virtuoso rigore con una forte spinta alla crescita, a partire dal Sud.
E in questo quadro diventa fondamentale recuperare quelle idee di Uomo e di Lavoro che sono andate liquefacendosi negli ultimi anni e che mettono al centro il principio secondo cui in ogni angolo della terra l’Uomo è ben consapevole di dovere perseguire la sua piena “liberazione” con il lavoro e la sua etica.
Ecco, solo partendo da queste considerazioni il Partito Democratico potrà disegnare con le forze democratiche e progressiste e con i soggetti interessati, mondo dell’industria, Fiat e multinazionali petrolifere, un progetto di ripresa economica che guardi, prima di tutto, al bene comune.

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