venerdì 12 maggio 2023

I TANTI INTERROGATIVI SENZA RISPOSTA PER L'INQUINAMENTO DI TITO SCALO E VAL BASENTO



Il sequestro della DARAMIC a Tito Scalo (Potenza)
                                                    (foto R. De Rosa - Riproduzione riservata)



Ho visto morire il mio compagno di liceo, Raffaele Ricchiuti, già sindaco di Ferrandina, per un tumore al cervello contratto in una delle zone più inquinate dell’intero Mezzogiorno, la Valle del Basento, solcata dal fiume ridotto a un canale di veleni. Nell’area industriale di Pisticci mi è capitato inoltre di incontrare un ex sindacalista, anche lui letteralmente sfigurato nel volto e nella sua dimensione umana da un cancro. 

Ascoltando gli esperti, ed i medici soprattutto, sembra ormai acclarato il rapporto di causa effetto in relazione al grave inquinamento del suolo e dell’acqua nella Valle. Orribile. L’area Materana non è purtroppo l’unica della Basilicata “verde” inserita nella mappa nazionale delle località a maggiore livello di contaminazione. C’è anche la zona industriale di Tito dove la Procura della Repubblica di Potenza ha posto sotto sequestro il sito della Daramic con un intervento massiccio di forze dell’ordine, dal Noe alla Polizia giudiziaria, alla Polizia provinciale.

Per ora l’intervento disposto dal Procuratore Curcio sembra essere limitato semplicemente alla singola azienda che, stando alle informazioni emerse in conferenza stampa, sarebbe responsabile di un disastro ambientale da non sottovalutare. 

C’è poi il capitolo delle sostanze chimiche usate nei processi di lavorazione dalla Daramic e destinate a finire nel torrente Tora affluente del fiume Basento. Sostanze tossiche ben oltre la soglia consentita dalla legge con danni inevitabili ai corsi d’acqua e al mare Jonio. 

Il provvedimento della Procura, tuttavia, non affronta altri nodi della questione, vale a dire l’utilizzo dei fondi per la bonifica sia di Tito che dell’area industriale di Pisticci Ferrandina, appunto. Sicchè il sequestro della Daramic appare soltanto come un piccolo, piccolissimo tassello all’interno della questione ben più vasta del mancato intervento per decenni in ordine alle due località lucane inserite nella mappa nazionale. 

Certo, si tratterebbe di un lavoro dalle dimensioni e dagli sviluppi imprevedibili. Una operazione di grande respiro che collocherebbe la magistratura lucana al centro di un vasto  orizzonte nazionale in difesa del suolo, della salute degli abitanti e della tutela delle prerogative del territorio che si tenta di promuovere per far crescere l’economia e lo sviluppo in una terra, la Basilicata, celebrata nei film di vari autori, a cominciare dal superlucano Rocco Papaleo.

Al momento tuttavia non è dato sapere se Curcio intende affrontare con i mezzi di cui dispone anche l’intera questione che, beninteso, riguarda da vicino contestualmente l’uso della risorsa idrica contaminata nel sottosuolo dei due poli.

Si apre in ogni caso una partita importante finalizzata non solo all’accertamento delle eventuali responsabilità per la mancata bonifica, quanto alle tappe  del risanamento, con riferimento ai vari capitoli della erogazione dei fondi. Un’operazione ciclopica che proprio per questa e mille altre ragioni risulta sin da ora non facilmente praticabile, fatta salva la volontà (eventuale) della magistratura lucana di andare fino in fondo alla vecchia questione del disastro  delle due aree industriali e dei danni alla salute dei cittadini.          


                                                       


L'area industriale di Tito (Potenza) - ( foto De Rosa - Riproduzione riservata)

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