giovedì 14 marzo 2019

SENISE OGGI



                          
                             
Senise, la Collina Timponi oggi (foto R. De Rosa)



La crisi aperta al Comune di Senise, il centro della Basilicata tragicamente noto per la frana del 26 luglio 1986, apre una serie di capitoli, tutti di grande rilievo. Tra questi spicca uno in particolare: quello, eterno, della difesa del suolo e della salvaguardia di un abitato, ancora oggi poco sicuro e in grado di guardare avanti con lo sguardo rivolto alla sua economia rurale, un tempo florida con terreni fertili e tante speranze nel futuro. E ciò nonostante la Regione Basilicata abbia profuso un impegno non irrisorio in questi ultimi anni.
Sfugge a qualcuno, spero non a tanti, che la vicenda della collina Timponi (con la macabra immagine dei corpi sommersi dai detriti) rappresentò in quel luglio 1986 una questione nazionale di grande rilievo. Senise fu oggetto di studi e ricerche da parte delle università del Mezzogiorno, Potenza e Bari anzitutto. Il suo recupero una sorta di banco di prova per geologi, ingegneri, tecnici dell’ambiente. Amministratori locali.
Oggi la parentesi sembra non solo chiusa quanto dimenticata, banalmente aggiungo. Il ruolo forte dei media locali sembra orientarsi verso piccole faccende “domestiche” distanti mille miglia dal dibattito sul dissesto idrogeologico sollecitato, su scala nazionale, dei cambiamenti climatici e dalle opere dell’uomo. Lo sottolinea l’intervento del Presidente Mattarella.
Cosa attendono i media locali (tv, organi di stampa di Senise, non tutti ovviamente) che la frana della collina Timponi apra nuovi e inediti capitoli? Spero proprio di no: sarebbe un disfattismo inqualificabile, segno di una incapacità di capire l’evolversi delle cose, con tutte le possibili conseguenze. 
Ritengo sia piuttosto opportuno rivolgere l’attenzione verso il mondo della ricerca, con le università in prima linea obbligate a dare risposte al territorio, in sintonia con le esigenze più pressanti. Del resto scienza e tecnologia non possono esimersi dal dare un apporto essenziale al cammino delle comunità locali. E alle loro attese.

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