mercoledì 20 giugno 2018

IL MEMORIALE DI GIANLUCA GRIFFA


                              
L'aula del processo Eni  (foto R.De Rosa riproduzione riservata)


Sembrava di essere andati indietro negli anni, al maxi processo di Palermo alla mafia. Aula stracolma di avvocati e parti civili con migliaia di pagine raccolte nei faldoni dei Pubblici Ministeri.
In realtà il processone di Potenza all’Eni, per traffico di rifiuti in violazione delle leggi (questa l’accusa)  ha visto un unico, anzi un primo importantissimo teste sedere davanti al microfono e raccontare per filo e per segno da cosa sono nate le indagini. E’ il maggiore dei carabinieri Luigi Vaglio che da tempo dirige il NOE, il nucleo operativo ecologico della Basilicata. Riferimenti puntali, precisione nella ricostruzione dei fatti, massima attenzione e massima responsabilità nel percorrere gli eventi, uno per uno, mentre i pubblici ministeri - Basentini e Triassi - incalzavano per apprendere il maggior numero possibile di particolari. 
Sono tuttavia due i dati che potranno mettere ordine nella complicata vicenda legata all’accertamento possibile delle responsabilità. Sottolineo possibile e nient’affatto scontata. 
Anzitutto seguire un filone che superi nettamente il rischio di elementi contrastanti e di responsabilità in palese contraddizione tra loro. Rincorrere le varie scelte interne all’Eni non sarà semplice.
E poi, altro punto ancora oscuro e complicatissimo, il memoriale dell’ingegnere Gianluca Griffa, trovato suicida all’agosto 2013.
Perché non renderlo pubblico? Perché non offrire ai media un elemento di valutazione inoppugnabile e, aggiungerei, imprescindibile, in modo da fugare dubbi, giudizi approssimativi. Mezze verità. E tanti tentativi di depistare per mettere in salvo chi ha davvero responsabilità enormi, non solo sul piano penale, quanto su quello morale ed etico. Facile obiettare che il petrolio non conosce percorsi del genere, ma soltanto la strada degli affari, dei mercati. Del denaro. Degli utili. Ci sono accenni ai contenuti del memorile, qua e là nei giornali. Una sorta di si dice abbastanza impreciso. Ma ben poche certezze. 
Il cane a sei zampe non è un soggetto da valutare con il solito metro, di una  moralità a tutti i costi che farebbe sorridere grandi e piccoli manager, uomini che badano alle carriere e non certo ad altro. Meno che mai al rispetto del territorio e dei suoi valori. 
Royalties in cambio dello scempio, se lo scempio è inevitabile. Trivelle ovunque, anche nel parco nazionale dell’Appennino lucano Val d’Agri Lagonegrese. Il baluardo per frenare il perpetrarsi di un disastro ambientale le cui proporzioni non sono e forse non saranno mai note, data la vastità del problema.      
Certo, oggi la Regione Basilicata sta facendo quello che nessuno mai ha tentato di fare nei decenni scorsi, sia in ordine al punto zero del Centro olio di Viggiano, sia in relazione alla tutela della salute e degli abitanti non solo della valle. Trent’anni fa tutto è avvenuto in silenzio, con la logica di chi non parla per evitare danni. E intanto nei primi anni Novanta i danni stavano avvenendo eccome, specie quando non era semplice stabilire un rapporto di causa effetto per il manifestarsi delle prime patologie.
Il petrolio era la nuova frontiera del nuovo Texas: il tempo ha spento i facili entusiasmi ed oggi induce tutti a riflettere. Con molta amarezza, senza dubbio. Il processone ritornerà il 6 dicembre, in pieno clima delle festività di fine anno.  

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