martedì 21 febbraio 2017

"IL DEMONE DELLA SINISTRA"



Come si può dare torto a Valter Veltroni quando sostiene che "le scissioni sono il demone della sinistra" il cancro o il male incurabile, in ogni caso la rovina di quello schieramento che dal congresso di Livorno ad oggi ha cercato, tra mille spaccature e una valanga di contrapposizioni, di affermare il diritto dei più deboli a essere parte attiva e rilevante della società non solo italiana? Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni: l'ennesima frattura esposta, non risolvibile chirurgicamente, nemmeno con la più avanzata tecnica d'intervento interessa il PD con la fuoriuscita di energie importanti che avrebbero potuto (anzi dovuto, lo sottolineo) battersi strenuamente per imporre al Partito Democratico di non perdere la sua forza propulsiva e la sua attitudine al governo del Paese in una situazione di delicatezza estrema, in cui si corre il rischio di pagare un prezzo sproporzionato per l'assenza di una forza che sia espressione di larghi strati dell'opinione pubblica.
In tutto questo la vittima sacrificale è il giovane Roberto Speranza, figlio d'arte, erede di quel Partito socialista lucano di cui il padre, Michele, è stato per decenni protagonista e testimone, superando contrapposizioni e sfide di potere, organigrammi precostituiti, faide interne ed esterne. Lui, Michele, originario della zona Sud della Basilicata, eternamente ad un bivio tra sviluppo e marginalitá. Considerazioni che se per un verso tracciano delle linee ben precise, sotto altri aspetti possono rivelarsi scarsamente produttive allo stato dell'arte in cui il problema vero è la scissione con i mille aggettivi che di volta in volta appaiono più appropriati.
Veltroni è un politico fine, uomo di cultura, attento osservatore che non da oggi si è sempre collocato fuori dalle risse e dagli interessi di bottega. Non è un miracolato che  aspira a tenere saldo nelle mani lo scettro del comando con la bile e l'acredine di chi il potere se lo è visto scivolare di mano: mi sembra logico precisarlo indipendentemente dal succedersi degli eventi e delle congiunture politiche. 
La storia non si ferma, anche se inevitabilmente si ripete. Il congresso di Livorno del 1921 sancì una delle prime spaccature insanabili nello scenario della sinistra: da un lato il Partito comunista, nato dal XVII congresso del Partito socialista, dall'altro il movimento dei lavoratori colpiti dal pugno di ferro del fascismo, a Roma come in periferia. 
Poi, dopo la seconda guerra mondiale, i tentativi di ripresa di un dialogo con Pci e Psiup e il Partito socialista, il Partito socialdemocratico, il centrosinistra con uomini ed esponenti di spicco, insidiati sempre dalla minaccia di rotture, dall'ombra delle mille spaccature insanabili destinate ad acuirsi spesso irrimediabilmente e in una prospettiva di permanente precariato. 
Appunto, una prospettiva di permanente precariato quella che si delinea con la scissione nel dopo Renzi, mentre la bussola si orienta inevitabilmente verso i cinque stelle di Grillo che, dopo Torino e la Capitale, mirano a schierare all'attacco Luigi Di Maio, esponente di un'alternativa da non sottovalutare perchè capace di raccogliere consensi, forse anche al di lá delle migliori previsioni. Un'alternativa che si sforza di portare la politica tra la gente, anzichè tenerla rigorosamente chiusa nelle aule parlamentari, lontano dai cittadini, mentre la vita politica si aggrava, raccogliendo forme di razzismo e disegnando scenari orribili di caccia ostinata ai migranti e ai clandestini, e altro, tanto altro ancora.

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