martedì 23 febbraio 2016

"NON OMNIS MORIAR": ECO COME ORAZIO?



A conclusione di una intervista radiofonica, in occasione della morte di Umberto Eco, il giornalista chiede all'intervistato, uno degli allievi del professore all'Universitá di Bologna: come gradirebbe essere ricordato? La risposta: assolutamente come un grande.
Il rigore della sua cultura, l'ampiezza degli scenari che vanno dalla filosofia alla narrativa passando per varie discipline e tante interpretazioni, fanno di Eco un grande senza limiti. Non vi è dubbio. Oltretutto un aspirante più che motivato all'assegnazione del Nobel per la letteratura negatogli per ragioni ancora abbastanza oscure.
I punti di partenza e di approdo di uno studioso della lingua italiana, anzitutto, e di un narratore acuto del suo livello sono sostanzialmente due, almeno dal punto di vista ideale: Il Nome della Rosa e il Pendolo di Focault. Il primo ambientato in epoca medievale, di lettura facile e distensiva al punto da avere rappresentato lo spunto per un film, il secondo di diversa natura. Non certo di agevole comprensione per il grande pubblico che tuttavia lo ha acquistato più per il nome del suo autore e forse un po' meno per i contenuti. Probabilmente un romanzo destinato a non essere letto fino all'ultima pagina, almeno da chi non ha uno specifico interesse letterario.
Un crocevia che incrocia altri crocevia in un sussulto continuo di riferimenti, di spunti politici, di finalità culturali non certo avulse dalla vita di ogni giorno. Forse è proprio questo il dato costitutivo e l'asse portante del prestigio di Eco che non a caso si considerava tacitamente un grande, per giunta ineguagliabile. Forse inarrivabile, o invincibile.
Nelle sue "Bustine" c'è tutta la critica ai fatti del giorno, agli eventi destinati a segnare il tempo. Non per un puro riferimento casuale Eco cita Mika Bongiorno, considerandolo un evento sociale, un mediatore tra l'alta politica e i bisogni reali della gente. E non solo un comunicatore, un uomo di Tv che ha conquistato il piccolo schermo e ne ha fatto addirittura una leva potente per una cultura di massa, non insignificante, a partire dalla Milano degli anni Cinquanta. Un modello di vita per intenderci.  
Il grande scrittore porta con sè una sete di grandezza, forse di proporzioni straordinarie. Forse finanche irraggiungibile ma capace di marchiare il suo io. 
Mi chiedo: ci può essere un termine di paragone tra lui ed Orazio, anche per quel  sentirsi addirittura immortale del poeta venosino, insuperabile, grazie appunto ad una  cultura altissima che lo ha reso unico tra i grandi della latinitá?  A pensarci bene si, con le dovute distinzioni, indubbiamente. C'è tuttavia un altro termine di paragone: umiltá e modestia non sono certo reperibili nel cammino terreno dei due. Grandi finchè si vuole ma soggetti alla legge inesorabile del doversi confrontare con tutti gli altri "comuni" mortali.

Nessun commento:

Posta un commento