Si definisce
la posizione delle regioni contrarie al proliferare delle trivelle, oltre gli
accordi già sottoscritti che indicano un tetto alle estrazioni di idrocarburi.
E’ il caso della Basilicata, capofila nella vicenda del referendum, contro i
Decreti Sviluppo e Sblocca Italia dei governi Monti e Renzi. A chiudere il
cerchio sarà la Liguria il 29 settembre.
Intanto la
Sicilia non accetta di partecipare alla consultazione referendaria, il che
rappresenta certo un dato significativo. Quantomeno la posizione del governo
dell’isola costituisce un interrogativo in più tra i tanti che si delineano sin
da ora.
Il destino
dei territori non può essere deciso solo a Roma, sostiene Piero Lacorazza
presidente del Consiglio regionale lucano.
Un orizzonte
non certamente sgombro da nubi, quello della consultazione popolare, ritenuta
possibile ma non certa, giacchè dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale e l’iter
non sembra brevissimo, in una materia in cui risposte urgenti sono tuttavia
necessarie.
Nel
Consiglio regionale della Basilicata le posizioni si definiscono e anzi stanno
a indicare la complessità della materia, per un verso. E sotto altri aspetti l’entità
e il peso della posta in gioco, non certamente limitata alla presenza delle
trivelle sul territorio.
Quali sono
dunque gli scenari che si aprono, in una situazione non certamente statica ma
in continuo divenire. Aurelio Pace, avvocato, Consigliere regionale dei
Popolari per l’Italia, Coordinatore nazionale del Ppl.
“Il referendum è uno strumento importante perché recupera centralità nel rapporto tra gli enti locali e la pubblica opinione, nel dibattito con il Governo.
Due aspetti
della questione mi preoccupano. La prima, i quesiti referendari debbono avere
dei passaggi in Cassazione. Il secondo tema è che il referendum è uno strumento
stanco in Italia. Su materie di grande impatto sociale di solito si riesce a
trovare una risposta da parte dell’opinione pubblica. Su materie così tecniche,
come questa, mi auguro che la forza dei Governatori delle Regioni che hanno
aderito possa dare una spinta a un tema per il quale vedo un po’ distratto il
mondo italiano.
Mi auguro
piuttosto che il Governo nazionale possa sentirsi motivato e trovare una
sintesi con le Regioni promotrici. Questo mi sembra un dato importante. Bisogna
dunque costruire una praticabilità di questo tavolo al quale le regioni possano
sedere con la stessa dignità del Governo centrale. Questo recupero di
centralità passa per un dibattito e per uno strumento. Ma il dibattito politico
non può essere scavalcato.”
Qual è dunque il rischio, se di rischio di può parlare?
“Nel caso in cui il referendum non dovesse avere l’esito sperato, il Governo centrale si vedrebbe autorizzato a dire che la volontà popolare non si è rivelata contraria alla linea dell’esecutivo. L’ho detto in Consiglio regionale.
C’è poi la
possibilità di un cambiamento del titolo Quinto della Costituzione. Il
referendum prende il via nel momento in cui è in atto una rilevante modifica
costituzionale. Un momento di transizione questo, per cui ciò che oggi può
avere un peso, nell’ottica del cambiamento perde efficacia. Una materia in
forte evoluzione che rende inevitabile la centralità del dibattito politico. Si
vuol togliere alle regioni quella competenza che è propria dell’istituto
regionale.”
Si va
esercitando una forte pressione sul Governo per rivendicare, tra l’altro, la
centralità della Regione Basilicata che può essere la Regione dell’energia.
Questo ruolo deve valere.”
C’è poi il peso di regioni forti, come la Calabria, la stessa Puglia. Può essere questo un buon deterrente soprattutto per il Governo.
“Indubbiamente
il peso specifico di queste regioni ha il suo valore. Non vorrei che contrapposizioni interne alle
forze politiche potessero giocare un ruolo negativo.
La
Basilicata è e rimane capofila con un ruolo ben definito che non può esserle
assolutamente negato, in un contesto locale, interregionale e soprattutto
nazionale."
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