sabato 9 febbraio 2013

LA BASILICATA DAL MULO AL PETROLIO






Tra le profonde modificazioni del tessuto sociale, economico  e  produttivo della Basilicata, negli ultimi cinquant'anni, c'è anzitutto il petrolio che ha radicalmente cambiato la faccia di questa piccola ma non insignificante regione del Sud. Il dato non può assolutamente sfuggire, a meno che non si voglia falsificare la storia e tenere in piedi miti inconsistenti. Per giunta falsi da cima a fondo.
Il petrolio ha determinato una valanga di elementi davanti ai quali forse non c'è piena e totale consapevolezza. Elementi, beninteso, positivi tra molte virgolette ma anche  decisamente negativi. 
Non può sfuggire ad esempio che le ricerche petrolifere se non altro hanno allontanato dalla fantasia di tutti l'immagine assurda di una Basilicata eternamente  leviana, inchiodata all'idea di una interminabile civiltà contadina e condannata a vedere come esclusivo simbolo il mulo in bianco-nero che s'inerpica per strade e vicoli dei paesini del materano. Un tendenza del genere, per quanto legata alla storia e al passato dei lucani, non certamente esprime l'essenza e le potenzialitá reali di una terra che pur tra mille difficoltà ed  enormi problemi si rifiuta di rimanere in mezzo al guado, e non a caso. Ma cerca di collocarsi alla pari di altre aree, ben più fortunate, in cui politica, tecnologia  e cultura sono tutt'uno chissá per quale magica coincidenza! Le migliaia di giovani che studiano nelle università del centro nord esprimono consapevolmente questa tendenza. 
Ritornando al petrolio,  si fa largo  il tentativo di fare apparire le popolazioni lucane come vittime impotenti dello strapotere delle compagnie, pronte a colpire i cittadini non appena cercano di sollevare il capo e di ribellarsi. Ma quale ribellione? Dov'è la volontá generalizzata  di dire no al petrolio (ammesso che la legge lo consenta) e sì a un altro modello di sviluppo dell'economia più vantaggioso e utile ai cittadini di questa regione? Francamente di ribellioni e di moti popolari, in giro, non si sente nemmeno parlare. Non è forse così? 
In proposito c'è da chiedersi, su un altro versante, se ci sia qualcuno pronto a rivendicare sul serio e nelle sedi opportune  il diritto dei lucani alla difesa della salute e  dell'ambiente e se per caso, intorno  a questi temi, vadano crescendo giorno per giorno iniziative di tutto rilievo, anche sul piano politico, oltrechè istituzionale. 
Il recente convegno promosso dalla professoressa Albina Colella, quanto mai ricco di dati e di informazioni scientifiche, sembra più una voce nel deserto che espressione di una tendenza diffusa a conoscere lo stato delle cose per avviare un serrato confronto. Il convegno è uno sforzo apprezzabile, ma dal traguardo di una piena consapevolezza del significato della presenza delle  trivelle, in Val d'Agri e non solo, siamo ancora abbondantemente distanti. Per non dire distanti anni luce.  
Intorno al petrolio, con al centro le terre lucane, ruotano operazioni della grande finanza e di livello internazionale addirittura inimmaginabili, con fiumi di denaro di cui nessuno riesce a misurare la consistenza. Un esempio: quante persone  conoscono i tabulati ENI e le previsioni di investimenti in Basilicata, a parte il management di San Donato milanese? Un piccolo dato vale a fare chiarezza. Il primo progetto di sviluppo olio, per usare la terminologia dei petrolieri, ripeto soltanto il primo progetto degli anni 80 - 90,  ha comportato una spesa di un miliardo, tre milioni e novecentosessantuno mila euro. Pochi spiccioli insomma. Tutti per la Val d'Agri. C'è da stare tranquilli.  
Di tutto questo neppure un cenno, altro che contrasti, lotte e mobilitazioni popolari. Per non parlare di rivolte  del tutto inesistenti.
Vien da pensare che il cane a sei zampe sia davvero l'unica alternativa al deserto per la Basilicata del terzo millennio. Il rilancio della Val Basento si è risolto in un autentico disastro. Lo sviluppo promesso per il dopo terremoto,  nemmeno a pensarci. L'agricoltura si dispera. Non rimane che tenere buono il cane, per evitare che morda. 

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