Una delle sorgenti di Fossa Cupa (De Rosa )
2 marzo 1998. Al CNR di Milano, in occasione della giornata delle acque destinate al consumo umano, si discute dei problemi legati alla captazione delle sorgenti del Basento, della storia di uno dei primi acquedotti della Basilicata e del Sud per placare la grande sete di numerosi centri lucani e non solo.
Evento straordinario che mette in luce un dato, oggetto di confronto e di analisi da parte del Consiglio nazionale delle ricerche della Lombardia: si tratta di esporre le caratteristiche dell’indagine sulla qualità delle acque dei gruppi di sorgenti di Fossa Cupa, San Michele e Linise, punto cardine dell’acquedotto del Basento, progettato e realizzato sul finire degli anni Trenta dai tecnici del Genio Civile di Potenza con l’orgoglio e la certezza di fornire alle popolazione dei 28 centri acqua tra le migliori d’Europa. Non solo acqua potabile, ma di alta qualità.
Davanti a una platea qualificata vengono illustrati alcuni elementi di spicco, anzitutto i criteri alla base del lavoro svolto nel triennio 1995 - 97 con 108 prelievi, 2372 determinazioni chimiche e 1158 determinazioni microbiologiche a garanzia dell’assoluta salubrità di queste acque. Confronto particolarmente apprezzato da esperti di alto livello.
Il dibattito a Milano, nella sede del CNR, ha rappresentato in effetti la prima occasione ufficiale in cui tecnici di laboratorio e progettisti si confrontavano illustrando gli sforzi tesi a garantire il massimo della disponibilità idrica e soprattutto il livello della qualità delle acque. Praticamente lo stesso percorso che si cerca di seguire oggi, nel bel mezzo di una crisi idrica dai risvolti imprevedibili per il futuro.
La storia della grande sete dei lucani parte dall’antichità quando Potenza era alimentata da due sole sorgenti, Torretta, a quota 935 metri e Botte a 905 con un acquedotto in pietra calcare, sostituto poi da una condotta in muratura anch’essa precaria. Correva l’anno 1877. Le due sorgenti erogavano 3 litri al secondo, una portata per gran parte destinata a perdersi lungo il tragitto, con la conseguenza che i potentini potevano fruire di pochi litri per abitante disponibili non certo nelle abitazioni ma ad una fontana in Via Angilla Vecchia, all’epoca estrema periferia della città.
Indispensabile l’apporto di altre sorgenti, quelle di Montocchino e di Pisciolo con un serbatoio in località Epitaffio a circa tre chilometri dal centro di Potenza. Ma nonostante questi sforzi l’acqua continuava a scarseggiare per cui si rese necessario distribuirla dalle 7 del mattino alle 12 nella parte alta e dalle 12 in poi alla parte bassa. Frattanto solo pochi privilegiati erano riusciti ad avere l’acqua nelle abitazioni.
Il collegamento alle nuove sorgenti costò ben 550.000 lire, una somma ingente per le finanze comunali. Il collaudo dell’opera avvenne nel corso dell’anno successivo, il 1888. Il tempo necessario per ponderare tutto nei dettagli. Niente fretta, insomma, cattiva consigliera.
Tecnici, idraulici, progettisti capirono subito che questa era soltanto la prima tappa di un percorso ben più lungo e complesso, ma anche accidentato. Bisognava trovare, come accade anche ora, la disponibilità di nuove fonti di approvvigionamento, soprattutto sicure e non contaminate da idrocarburi, oggi in piena era del petrolio.
(continua)
Acqua che sgorga dalle sorgenti
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