lunedì 16 dicembre 2024

1911: POTENZA ACQUISTA LE SORGENTI DI DI SASSO C. PER VENTIMILA LIRE




                          


Una delle sorgenti di Fossa Cupa (De Rosa)

Idea brillante. Qualcuno riuscì a indurre il Comune di Potenza ad acquistare le sorgenti di Fossa Cupa con un impegno considerevole, sia sotto il profilo delle finanze che dal punto di vista strettamente politico. Era appunto il 1911. 

Non fu una decisione agevole. Tutt’altro. La persona e le persone promotrici della iniziativa dovettero ragionare a lungo, confrontarsi con ambienti interni ed esterni e, non di rado, lottare per portare in porto l’idea. Occorreva ponderatezza e una valutazione della entità del passo da compiere, giacchè il clima dell’epoca imponeva assoluto rigore e non consentiva trasgressioni. Le sorgenti acquistate garantivano una portata di 40/ l.s. in periodi di magra. Le opere di adduzione  costarono 613.000 lire e furono suddivise tra il Comune capoluogo, lo Stato e la Provincia. Uno sforzo del tutto considerevole, in ogni caso.

Si andava, forse senza rendersi conto, verso i grandi acquedotti in cui il Demanio dello Stato prevale su piccoli e inutili accaparramenti e su vicende di campanile, nell’interesse esclusivo del territorio e degli abitanti di aree vaste.

Il risultato? L’acquedotto del Basento assume tuttora un rilievo del tutto diverso rispetto al passato al di là di ogni logica puramente municipalistica.

Dal primo gennaio 1943 numerosi abitati vengono assegnati all’E.A.A.P. Ente autonomo acquedotto Pugliese, istituito il 19 ottobre 1919, chiamato a governare il più grande acquedotto italiano con reti interconnesse per complessivi 18.882 Km. Tre le regioni servite Puglia, Basilicata e Campania. Famoso l’acquedotto del Sele, destinato ormai a fare letteratura. 

Intanto l’Acquedotto del Basento assume sin dagli anni successivi al 1919 un rilievo di primo piano. Si avvaleva già allora di gruppi di sorgenti particolarmente ricche di acque: Fossa Cupa, San Michele, Linise, Capo d’Agri, Curvino e dei pozzi di Tempe e Peschiera, che oggi vanno a integrarsi con le acque del Camastra.

Grande risorsa, dunque, le 34 sorgenti  situate nella vasta zona montuosa centrale della Basilicata: a Nord ha origine il Basento, a Sud l’Agri. I due rispettivi acquedotti furono progettati e disegnati dai tecnici del Genio Civile con impegno, dedizione e amore. Sembravano quasi due creature legate alla vita di ciascuno dei dipendenti e in realtà lo erano. L’impegno era stato totale, si lavorava nelle rispettive abitazioni fuori dagli orari di ufficio, anche nei giorni delle festività in cui si preferisce lasciare da parte il lavoro e dedicarsi completamente alla famiglia.  

“L’acqua è un dono della natura” dice oggi una pubblicità televisiva. Definizione quanto mai appropriata, una sorta di messaggio che l’epigrafe  dell’acquedotto dell’Agri interpreta in modo perfetto: Ave Aqua, fons vitae, morbis inimica. Un saluto all’acqua. Lo merita. 

   

                       


La foresta avvolge le sorgenti (De Rosa)

                      

domenica 15 dicembre 2024

OGGI COME IERI, L'AFFANNOSA RICERCA DI NUOVE SORGENTI




               

                   Una delle sorgenti di Fossa Cupa  (De Rosa )


2 marzo 1998. Al CNR di Milano, in occasione della giornata delle acque destinate al consumo umano, si discute dei problemi legati alla captazione delle sorgenti del Basento, della storia di uno dei primi acquedotti della Basilicata e del Sud per placare la grande sete di numerosi centri lucani e non solo.

Evento straordinario che mette in luce un dato, oggetto di confronto e di analisi da parte del Consiglio nazionale delle ricerche della Lombardia: si tratta di esporre le caratteristiche  dell’indagine sulla qualità delle acque dei gruppi di sorgenti di Fossa Cupa, San Michele e Linise, punto cardine dell’acquedotto del Basento, progettato e realizzato sul finire degli anni Trenta dai tecnici del Genio Civile di Potenza con l’orgoglio e la certezza di fornire alle popolazione dei 28 centri acqua tra le migliori d’Europa. Non solo acqua potabile, ma di alta qualità.

Davanti a una platea qualificata vengono illustrati alcuni elementi di spicco, anzitutto i criteri alla base del lavoro svolto nel triennio 1995 - 97 con 108 prelievi, 2372 determinazioni chimiche e 1158 determinazioni microbiologiche a garanzia dell’assoluta salubrità di queste acque. Confronto particolarmente apprezzato da esperti di alto livello.

Il dibattito a Milano, nella sede del CNR, ha rappresentato in effetti la prima occasione ufficiale in cui tecnici di laboratorio e progettisti si confrontavano illustrando gli sforzi tesi a garantire il massimo della disponibilità idrica e soprattutto il livello della qualità delle acque. Praticamente lo stesso percorso che si cerca di seguire oggi, nel bel mezzo di una crisi idrica dai risvolti imprevedibili per il futuro.

La storia della grande sete dei lucani parte dall’antichità quando Potenza era alimentata da due sole sorgenti, Torretta, a quota 935 metri e Botte a 905 con un acquedotto in pietra calcare, sostituto poi da una condotta in muratura anch’essa precaria. Correva l’anno 1877. Le due sorgenti erogavano 3 litri al secondo, una portata per gran parte destinata a perdersi lungo il tragitto, con la conseguenza che i potentini potevano fruire di pochi litri per abitante disponibili non certo nelle abitazioni ma ad una fontana in Via Angilla Vecchia, all’epoca estrema periferia della città.

Indispensabile l’apporto di altre sorgenti, quelle di Montocchino e di Pisciolo con un serbatoio in località Epitaffio a circa tre chilometri dal centro di Potenza. Ma nonostante questi sforzi l’acqua continuava a scarseggiare per cui si rese necessario distribuirla dalle 7 del mattino alle 12 nella parte alta e dalle 12 in poi alla parte bassa. Frattanto solo pochi privilegiati erano riusciti ad avere l’acqua nelle abitazioni.

Il collegamento alle nuove sorgenti costò ben 550.000 lire, una somma ingente per le finanze comunali. Il collaudo dell’opera avvenne nel corso dell’anno successivo, il 1888. Il tempo necessario per ponderare tutto nei dettagli. Niente fretta, insomma, cattiva consigliera.

Tecnici, idraulici, progettisti capirono subito che questa era soltanto la prima tappa di un percorso ben più lungo e complesso, ma anche accidentato. Bisognava trovare, come accade anche ora, la disponibilità di nuove fonti di approvvigionamento, soprattutto sicure e non contaminate da idrocarburi, oggi in piena era del petrolio. 


(continua)

                           

                           Acqua che sgorga dalle sorgenti 


martedì 10 dicembre 2024

PARTE LA MACCHINA ANTICINGHIALI IN BASILICATA: REGIONE IN PRIMA LINEA




                          




Secondo stime ufficiali sarebbero circa 90 mila i cinghiali in Basilicata, ben “distribuiti” tra foreste, campagne, borghi e periferie urbane. Un rischio per molti, anzitutto gli agricoltori ma anche gli automobilisti, senza escludere i singoli abitanti di zone rurali o periferiche, costretti spesso a fare incontri non proprio graditi.

Per fronteggiare questa emergenza ha preso il via una campagna della Regione Basilicata volta a ridurre il numero di selvatici che sin dagli anni Settanta il prof. Corbetta, dell’Università di Bologna ma lucano di origine, aveva indicato come un pericolo da non correre  per il futuro data la forte capacità di proliferazione sul territorio degli  ungulati.

La Regione Basilicata, in una conferenza stampa dell’Assessore all’Agricoltura Carmine Cicala, ha dato il via a un progetto davvero senza precedenti. Con una dotazione economica di quasi tre milioni di euro e una società, individuata con normale bando, si procederà alla cattura e all’abbattimento di un elevato numero di soggetti, destinati al consumo in ristoranti e agriturismi in modo da trasformare un rischio in opportunità concreta. Portare la popolazione dei cinghiali ad un presenza accettabile, sottolinea Cicala, rimane l’obiettivo primario. In che modo? Formando cacciatori e selecontrollori (1800 sono già formati), consolidando i metodi di cattura e facendo della lotta al proliferare dei selvatici un obiettivo qualificante, in difesa oltretutto dei raccolti e delle numerose attività rurali, oggi in molti casi allo stremo.

Rigoroso il controllo sanitario sulle carni, a garanzia della salute dei consumatori. 

Nasce dunque una filiera vera e propria del cinghiale con risvolti positivi anche per l’occupazione in un settore finora inesplorato, letteralmente, ma che promette sviluppi non certo trascurabili. La campagna è già partita e i risultati, comunica il responsabile dell’agricoltura, saranno oggetto di valutazione periodica e trasparente, in primo luogo. 


                           


       

   

mercoledì 4 dicembre 2024

"LE SUE DIMISSIONI SARANNO UNA SVOLTA"



                      


La fabbrica di Melfi

Il caso Stellantis non abbandona la scena, non solo per le migliaia di lavoratori e le loro famiglie, quanto per la politica chiamata a dare risposte ai tanti interrogativi sui quali aleggia la minaccia di una cassa integrazione ancora più dura, in questo ultimo scorcio di anno che ha visto le dimissioni dell’ad, Carlos Tavares.

In cosa consiste la previsione di una svolta, avanzata dal segretario generale della Cisl, Sbarra? Forse perché Tavares non si può dire abbia impresso un colpo di acceleratore alla presenza di Stellantis sulla scena internazionale? E nell’ambito dei mercati. E’ vero il contrario, in una logica tutta di profitti assicurati  agli azionisti. 

Certo rimane un dato inequivocabile e scandaloso, a dir poco. Ia buonuscita con cifre da capogiro assicurata all’ex ad che accompagna le sue dimissioni, da sommare ai 23 milioni di stipendio all’anno. Un vero scandalo. Gli impiegati non ricevono la retribuzione da mesi e le maestranze soffrono una cassa integrazione ormai assai frequente, al punto da sostituirsi ai giorni di lavoro. 

Il nocciolo della questione è per gran parte racchiuso nell’incontro di Elkan con il Ministro Urso, in programma il 17 dicembre. Il governo chiederà conto dei finanziamenti cospicui all’azienda automobilistica, o piuttosto la posizione di Elkan sarà quella di un imprenditore privato soggetto prevalentemente alla legge dei realizzi? Lo si saprà solo all’indomani del vertice, salvo mosse imprevedibili.  

Nello scenario complessivo ci si chiede tuttavia quale sarà il ruolo di Melfi in questa delicata e insidiosa fase di transizione. A giudicare da ciò che traspare almeno in questi giorni,  non si delinea un ruolo trainante di Melfi, una funzione di primo piano nel quadro delle iniziative tese ad avere una  capacità dirigente nell’ambito della risposta complessiva alle scelte aziendali, in questo dopo Tavares. Eppure Melfi ha conquistato una sorta di “primato” nel quadro dell’innovazione tecnologica e della capacità produttiva all’avanguardia, è il più grande stabilimento in Europa. Era diventata la fabbrica modello, nel cuore del Mezzogiorno, l’emblema di una svolta industriale, salutata con il favore di tutti, alla quale Domenico Cersosimo, un ricercatore dell’Università della Calabria, aveva dedicato un bel libro Viaggio a Melfi in cui si chiedeva “cosa avesse spinto la maggiore impresa privata italiana alla più radicale discontinuità organizzativa del modello industriale del Novecento”. Cersosimo, si legge nella prefazione del libro “accompagna il lettore in un avveniristico viaggio nel futuro della nuova rivoluzione industriale.” 

Ora cosa rimane di quel primato? Soltanto un clima  di desolazione che accompagna l’immagine di Stellantis. Lo specifico di san Nicola consiste oltretutto nella presenza della fabbrica in una vasta area a vocazione agricola, da sempre con il compito di rivoluzionare il quadro economico e occupazionale.  Risultato evidentemente mancato mentre Salvini  definisce “un evento disgustoso”  le dimissioni dell’Ad Tavares e Stellantis diventa un caso nazionale, con un fardello pesantissimo di crisi sulle spalle destinata ad avere forti ripercussioni sociali in una dinamica in cui, in fin dei conti, la territorialità conta molto meno dello sfascio. Le dimissioni di Tavares apriranno le porte alla svolta, attesa e auspicata, ma soprattutto temuta?