Il Prof. Giuseppe Moscati
Prima di tutto i pazienti, nel cuore di un grande medico e di un santo del nostro tempo, il prof. Giuseppe Moscati dell’Università di Napoli che oggi riposa nella chiesa del Gesù Nuovo, storico monumento partenopeo miracolosamente salvato dal bombardamento del 1943.
La frase fa parte di una lettera che Moscati scrisse nientemeno che a Benedetto Croce sul finire del 1923 per richiamare la sua attenzione e quella del governo dell’epoca sul rischio (era considerato infatti un rischio) che un elevato numero di professori universitari di clinica invadessero gli ospedali di Napoli a danno dei medici scelti con concorsi pubblici.
Una faccia inedita di quella sanità che oggi consideriamo malata, non certamente per la “clinicizzazione” degli ospedali quanto per mancanza di medici, per scarsità di risorse, per i tempi lunghi che contrappongono il pubblico al privato. Problemi arcinoti, purtroppo.
Altri tempi, altra vita si dirà, mentre la sanità rimane il vero banco di prova di qualunque governo si succeda alla guida del Paese.
Tuttavia, ciò che sorprende è altro: il costume di un docente universitario noto ovunque, non solo in Italia, seriamente preoccupato dei malati e della ricaduta di una gestione affidata a docenti di clinica in contrapposizione ai medici dei vari nosocomi. Nella lettera Moscati definisce i baroni universitari “pochi oligarchici monopolizzatori del pensiero clinico, della professione, arbitri soli della vita e della morte degli infermi.”
La lettera, allo scadere di un secolo dal 1923-24, diventa un documento di assoluto valore in cui si fondono il rispetto per l’etica professionale e il rigore per l’assistenza ai pazienti. Un binomio inscindibile che ci obbliga a misurare le distanze tra passato e presente. Quanti medici oggi scriverebbero la stessa lettera?
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