“Mamma, dove vai? Non te ne andare”. La voce del bimbo ucraino è inconfondibile e manifesta il senso della tragedia che purtroppo imperversa come un ciclone nel cuore dell’Europa.
Un Otto marzo di angoscia e di terrore, di rabbia per la quiete perduta e per gli incubi notturni dovuti ai combattimenti brutali e inesorabili scatenati da Putin.
Ma un Otto marzo da non sottacere. Anzi da celebrare in omaggio alle migliaia, milioni di donne ucraine con il volto rigato dalle lacrime e dal sangue: un fiume inarrestabile che nasce nel profondo delle coscienze e continua a scorrere come tributo alla cattiveria e all’orrore.
Quelle donne, madri, mogli, figlie, bambine meritano più di una mimosa in questo giorno che non è mai stato di festa ma di celebrazione di una data contro gli abusi, la cattiveria, la violenza di ogni genere.
Ho scritto altrove di una donna schiacciata dall’intolleranza e dalla rozzezza dell’uomo di cui era innamorata, una donna sbattuta per terra, costretta ad abortire per colpa di un bruto. Quella donna, a ben riflettere, potrebbe essere, anzi è l’espressione dell’Ucraina massacrata dai colpi del bruto e messa nella condizione di dover rinunciare alla sua stessa fisionomia. Alla sua maternità.
Spero, e anzi mi auguro, che tutte le donne vogliano ricordare questo giorno accanto alla donna di sempre, di nome Ucraina.
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