giovedì 11 marzo 2021

PROCESSO PETROLGATE - GIU' LE MANI DALLA BASILICATA



                                   

                     Il centro olio dell'Eni a Viggiano (Pz) 



Era ampiamente prevista la condanna dell’Eni per traffico di rifiuti provenienti dalle estrazioni di greggio in Val d’Agri, nella Basilicata diventata ormai il più importante serbatoio di petrolio in terra ferma in Europa. 

La condanna del Tribunale di Potenza a carico del colosso petrolifero con la confisca di 44, 2 milioni, oltre a una sanzione amministrativa di 700 mila euro, rappresenta oggi una sorta di altolà ad uno sfruttamento indiscriminato del territorio lucano, soltanto perché estremamente fragile e forse politicamente irrilevante in un quadro nazionale. 

Sei tra funzionari e dirigenti condannati, oltre a un dipendente della Regione Basilicata.  

Laura Triassi, PM nel processo, aveva chiesto 112 anni di carcere e 2 milioni e mezzo di pena pecuniaria. Assolti due direttori dell’Arpab, Raffaele Vita e Aldo Schiassi.

Il dato di maggior rilievo, che induce a riflettere, è lo scempio del traffico illecito di rifiuti e lo sversamento di alcune tonnellate di greggio nei terreni attigui al centro olio di Viggiano per cui  il Presidente della Regione Basilicata, all’epoca Marcello Pittella, ordinò all’Eni nel 2017 la sospensione dell’attività estrattiva. Decisione anche questa senza precedenti, assunta con senso di responsabilità in una situazione divenuta incredibilmente drammatica.

Il processo Petrolgate apre tuttavia una parentesi che non potrà non avere vastissima eco. Per varie ragioni. Anzitutto per l’atteggiamento dei vertici Eni, che oggi negano qualunque addebito, sostenendo di avere sempre seguito il percorso della legalità. Incredibile, negare l’evidenza!

E poi perché l’esito del processo rappresenta un monito per chi potrebbe individuare nella Basilicata una possibile pattumiera di scorie radioattive da seppellire per l’eternità in un deposito di cui si continua a parlare ancora in questi giorni.

Ciò che diffonde allarme (in un momento in cui le preoccupazioni non mancano, grazie al Covid) è la vicenda pressoché sconosciuta del pozzo di reiniezione di Costa Molina due, nella Valle dell’Agri, a poca distanza da Montemurro, la terra di Leonardo Sinisgalli.

Da anni i casi di inquinamento si sono susseguiti e per giunta si sono verificate nascite di agnelli o capretti con evidenti mutilazioni. Fenomeno mai accaduto.

Qual è il giudizio di Ivan Russo, il penalista che da anni è accanto alle parti civili e alle popolazioni nella lotta per imporre il rispetto della legalità e contemperare le esigenze estrattive con la tutela dell’ambiente e della salute degli abitanti. 

“E’ stato riconosciuto un solo reato, molti sono prescritti. Ora bisogna attendere le motivazioni della sentenza.

Le parti civili sono centinaia: ad alcune è stato riconosciuto il diritto al risarcimento ma per averlo dovranno impostare una causa civile, poiché in sede penale il danno non è stato liquidato, né sono state concesse provvisionali, vale a dire un’anticipata corresponsione di denaro vale a dire inferiore a quella che potrà risultare dovuta.”   

 

 


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