venerdì 18 maggio 2018

MARATEA E IL PARCO


                           

                            MARATEA - Il porto (foto R.De Rosa - Riproduzione riservata)
                      








Tutti contro tutti, in un Paese che ha bisogno di realizzare alleanze, di promuovere larghe intese per riuscire a costruire quello che finora si è demolito. Contrasti, contrapposizioni, lotte interne nella società “civile”, nella politica, nelle istituzioni. Finanche nelle famiglie. 
In questo la Basilicata non è seconda a nessuno, piccola ma non insignificante regione del Mezzogiorno. 
Anche i parchi e le aree protette fanno discutere eccome, alimentando polemiche a non finire e scontri di ogni genere. Sembravano oasi di pace, ma in realtà non lo sono. Luoghi dove si credeva fosse possibile sentirsi al riparo da ogni turbolenza, a diretto contatto con la natura, immersi in un clima di ristoro del corpo e dell’anima. Ma c’è da ricredersi perché la realtà è un tantino diversa. Anzi molto diversa.
Oggi, il Parco nazionale dell’Appennino lucano Val d’Agri Lagonegrese ha diffuso alla stampa una nota con la quale ci si difende  anzitutto dall’addebito di completa e totale inefficienza nella gestione, dall’accusa di incapacità di far diventare questa realtà una sorta di efficace baluardo dal petrolio incalzante che non lascia spazio a nessuno, par di capire. 
La dura presa di posizione è contenuta in un dossier di Legambiente, locale e nazionale, che fa seguito, sarà un caso, a un mio articolo di alcuni giorni orsono in cui affrontavo il tema della proposta, avanzata già da molto, di istituire  a Maratea un’area marina protetta con conseguenti, positive ricadute sull’intero territorio e sul mare. Un’ipotesi del genere trova per di più un vasto consenso negli operatori turistici e in vari settori interessati. 
L’argomento è di quelli che appassionano. Peraltro nell’articolo (pubblicato su Facebook e sul mio blog) il riferimento prioritario è alla possibile estensione del Parco nazionale fino al mare, appunto, considerando inoltre essenziale un diretto coinvolgimento delle organizzazioni ambientaliste, alle quali spetta il compito di accelerare i processi di realizzazione di questo obiettivo. E, una volta raggiunto lo scopo, di continuare a vigilare per il mantenimento dei principali equilibri ambientali, in linea con le norme in vigore, secondo le esigenze di un’area importantissima ma estremamente fragile e delicata. Da proteggere a denti stretti.  
A questo punto mi chiedo cosa mai potrebbe accadere, avendo in mente il percorso ben diverso seguito in alcuni importanti Parchi nazionali del Nord , dove movimento ambientalista e dirigenza dei Parchi lavorano a diretto contatto nell’interesse comune.
I veleni, in ogni caso, non finiscono qui. L’accusa infamante di una Basilicata inquinata e abbandonata a sé stessa, i cui prodotti della terra sarebbero a loro volta avvelenati, è circolata in questi giorni. E nessuno mai ha pensato di valutare oggettivamente l’impegno a difendere la salute e il territorio che il governo regionale sta mettendo in campo, non da oggi. Potenziamento dell’Arpab, controlli sulle falde, chiusura finanche del centro olio di Viggiano, un fatto senza precedenti. Pubblicazione degli studi e delle analisi effettuate in Val d’Agri e nel Sauro.
Vorrei concludere con una riflessione: dove erano i tanti censori quando il Procuratore di Matera, Nicola Pace, giunse a conclusioni terribili per il nucleare lucano e per la tenuta dell’impianto Itrec della Trisaia di Rontondella definito fuorilegge? Dove erano quelli che oggi organizzano le marce contro il petrolio quando nel 1998 sono stati sottoscritti gli accordi con L’Eni e, prima ancora, nel momento in cui sono partiti i primi progetti di “sviluppo olio e gas” come li definisce l’Eni nei suoi documenti interni? Interrogativi purtroppo senza risposta, e non sono gli unici.     


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