mercoledì 24 agosto 2011

La Basilicata ferma a Eboli

Il dibattito che in questi giorni trova spazio sulle colonne del Quotidiano della Basilicata, sollecita qualche riflessione. E forse qualcosa di più di una semplice riflessione.
I lucani s'indignano per la crisi in atto, e per quella di sempre; chiedono scelte coraggiose, c'è chi parla di una rivoluzione necessaria. Insomma, dilaga il malcontento con l'unico risultato di suscitare un clamore purtroppo simile a una tempesta in un bicchier d'acqua che non immagino quali svolte possa determinare e quali risultati concreti possa sortire, a cominciare dall'immediato ma soprattutto nel medio lungo periodo.
Non è giusto indignarsi? Non è giusto far sentire la propria voce? Non è giusto adirarsi contro i rappresentanti del popolo, eletti democraticamente e incaricati di fare gli interessi (quelli veri!) della gente? Certamente è giusto e legittimo. Non vi è dubbio. Ma se occorre badare al risultato bisognerà riconoscere che il clamore o, meglio, il gran parlare non paga. Occorrono ben altri metodi e ben altre strategie.
Di clamori la storia della Basilicata è stracolma. La rabbia per gli errori e le scelte ingiuste della ricostruzione del dopo terremoto del 1980 arrivò alle stelle. La protesta di Scanzano fece parlare mezza Italia. L'allarme lanciato da Giustino Fortunato per lo sfasciume idrogeologico continua a essere di drammatica attualità. Il petrolio, a sua volta, fa registrare un chiacchiericcio di tono minore, ma tuttavia esprime qualche disappunto per le conseguenze di una esasperata attività estrattiva con l'unico risultato di qualche aggiustamento in corso d'opera e senza grandi decisioni positive. Almeno per la gente della Val d'Agri e il popolo lucano che chiedono legittimamente più tutela della salute e un maggiore controllo sull'ambiente. Un controllo vero, non solo sulla carta, beninteso! Come del resto continua a rivendicare il Commissario del Parco Nazionale dell'Appennino, Domenico Totaro, rischiando di diventare la classica vox clamans in deserto. Eppure Totaro ce la sta mettendo tutta.
Possibile, allora, che non debba accadere mai nulla in questa terra antica e struggente, se non il matrimonio della figlia di Coppola, in una Bernalda vestita a festa, o qualche sagra organizzata in nome dell'unità d'Italia?
Qualcosa di vero e importante può accadere se ci si mette in mente che la svolta non dipende da tizio o caio che ne parla in pompa magna, costruendo una platea più o meno popolata da un uditorio intelligente. Se , prendendo spunto dal lavoro delle formiche, i lucani si mettessero all'opera per orientare il cammino dello sviluppo e riscattare tutte le potenzialità , dico tutte, di una terra ricca e invidiabile forse i risultati non tarderebbero ad arrivare. In che modo? La politica non può e non deve essere lasciata sola. Sicchè se ognuno si rivolgesse ai propri interlocutori, di questo o quel colore non conta, rivendicando impegno e determinazione, buona fede e capacità di affrontare i nodi della vita quotidiana, forse qualcosa accadrebbe sul serio.
Allora, perchè non ci si mette all'opera? A Ferragosto, un dirigente dell'Eni che ho incontrato si meravigliava a titolo personale e riservato del perchè delle royalties così basse, mentre altrove (in Nigeria e in altre zone del mondo) il risarcimento per l'estrazione del petrolio sfiora il 50 per cento. A questo dirigente rispondo a mia volta con una domanda: perchè la Basilicata continua a essere irrimediabilmente la terra del Cristo si è fermato a Eboli? E' forse una eterna maledizione? Non credo proprio. 
                                                                                               Rocco De Rosa

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