Fragilità, abbandono, carenza di abitazioni dignitose, strutture che crollano in seguito alle vibrazioni provocate dai lavori per la messa in sicurezza. Questo e tanto altro ancora sono le periferie di Napoli, ma non solo. Diffusa precarietà che si unisce al disordine urbanistico. Basti andare con la mente al Belice, che purtroppo ha fatto storia, o a Bucaletto il quartiere di Potenza, sorto per accogliere i terremotati del 23 novembre del 1980 e ancora in piedi, diventato negli anni rifugio per chi cerca un alloggio a poco prezzo. Per non parlare di certe periferie romane in cui l'abbandono viaggia di pari passo con la delinquenza bene organizzata e con una situazione dei rapporti sociali infima.
Il degrado, denominatore comune per tante periferie, aggiunge problemi ai problemi già esistenti e serve a dimostrare le ragioni di quell'abbandono fisiologico per tanti agglomerati urbani irrimediabilmente ai margini della vita produttiva e sociale.
Sicchè Scampia è solo uno dei tanti esempi scanditi da vicende vecchie e nuove, nel silenzio colpevole di chi ha mancato di agire alimentando una povertà diventata purtroppo regola del vivere quotidiano.
Per giunta, nella quasi totalità dei casi, ci
si rende conto che non è
possibile andare oltre quelle situazioni indecorose destinate a essere una costante per la politica ma soprattutto per la società che non riesce a spazzarle via se non altro per quel senso di decoro civile cui non ci si puó sottrarre.
Sarebbe gratificante per i cittadini e gli stessi amministratori sostituire certe realtà urbane rischiose con una progettazione decorosa di case e spazi a misura d'uomo. Spesso non è questione di una spesa insostenibile da affrontare. Si tratta della mancanza di volontà politica dalla quale deve dipendere il rinnovamento della vita, in tutti i sensi.
Ma questo rimane puntualmente nel libro dei sogni. Forse perché non si è abituati a cambiare radicalmente il ruolo delle periferie, da quartieri dormitorio a entità dinamiche.
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