martedì 29 dicembre 2020

"TORNERA' LA TENEREZZA TRA I RUDERI DI BALERE DIMENTICATE..."



Il Covid ci ha imprigionati tutti, nessuno escluso. Ma la poesia libera le ali della mente, del cuore. Le ali della vita decisa a non  lasciarsi contagiare, né imprigionare. Un meccanismo che nessuno scienziato ha mai inventato, né messo in discussione.

Non è un caso se la poesia di Francesco Potenza, avvocato e letterato al tempo stesso, esprime una carica di libertà con il ritorno alle abitudini di sempre, a una normalità mai dimenticata nonostante il buio della crisi.

“Anche questa notte passerà” esordisce Francesco nella poesia Domani inserita nel volume antologico del Premio internazionale “Tra un fiore colto e l’altro donato”. Meritato riconoscimento al desiderio di un ritorno alla vita, esattamente come prima, senza condizioni. 

I toni particolarmente intensi esprimono ansie e tormenti di un periodo non ancora concluso. Duro e frustrante. Una prova severa degna di chi la vive.

“Passerà quest’ora cupa/ gettata sulle ossa/ e sulla nebbia di voci in lontananza.” 

L’attesa misteriosa e struggente del pellegrino che cammina nella nebbia e cerca di ritrovare  nuove mete, diverse da quelle di un passato scontato e forse insignificante. Consunto dal tempo e dal peso di abitudini logoranti. L’epidemia che cambia il mondo, le regole degli uomini e fa vivere una forte spinta in direzione di un domani che abbia il volto dell’essere, quello vero, non mistificato né costruito su misura. L’essere di Parmenide? Probabilmente proprio quello nella sua netta distinzione dal non essere che è negazione di tutto, niente escluso.

C’è poi l’immagine di “una terrazza ricolma di luna” .  Una luna piena che non conosce ostacoli e penetra nelle case, nell’intimità degli uomini, nel silenzio delle coscienze risvegliandole quasi con un tenue gesto, ma significativo. Forte e autorevole.

Bellissima la conclusione di Domani: “rivedo il sorriso di mio padre”, finalmente una certezza nel disastro del Covid.     

sabato 19 dicembre 2020

IN BALIA DELLE ONDE E DEL FUTURO


                                Uno dei tanti gommoni che giungono sulle coste italiane




Quale sarà il percorso di vita delle migliaia di minori non accompagnati che giungono in Italia dai paesi dove le guerre e i disastri sociali rendono l’esistenza di ciascun essere umano letteralmente un inferno. 

Un capitolo amaro legato alle migrazioni. Uno dei tanti drammi del nostro tempo. I dati, resi noti dall’Unicef, parlano chiaro, come sottolinea Angela Granata Presidente regionale dell’organizzazione, ponendo in rilievo  un aspetto allarmante. Tra marzo 2019 e ottobre 2020 nella sola provincia di Potenza l’aumento delle presenze di minori soli è stato pari al 32,14 per cento. Mentre tra il primo gennaio e il 24 novembre dell’anno che sta per concludersi gli arrivi di minori stranieri non accompagnati in Italia hanno raggiunto il livello di 4224 unità. 

Numeri di tutto rilievo ai quali la società in cui viviamo dovrebbe dedicare il massimo dell’attenzione. Così non è purtroppo. 

Proviamo a immaginare un possibile percorso: bambini spesso non in età scolare trasportati da un gommone sulla terra ferma. Disorientati, spaesati, privi di affetto, spesso affidati a quanti compiono non solo il loro dovere, ma un atto di vera e propria carità, forse senza rendersi conto.

Poi finiscono tra le braccia del futuro, a volte più umano, a volte cattivo proprio come il dramma dell’abbandono dei paesi d’origine e il distacco dalle famiglie vere o improvvisate. Un’incognita l’avvenire.

L’Unicef, con il report di fine anno, ha inteso sottolineare non solo la condizione di tanti minori, quanto l’esistenza di un problema che ha dimensioni inenarrabili. Basti pensare alla proiezione di  bambini o ragazzi privi di una famiglia in un mondo rispetto al quale si sentono totalmente estranei.

Per fortuna ci sono le Prefetture. Angela Granata sottolinea in proposito il valore di questo impegno istituzionale, che vede il Governo direttamente coinvolto. Una mano tesa a chi spesso porta con sé soltanto il dramma di una vita affidata a un domani incerto. Un gesto di solidarietà che, se dovesse venir meno, renderebbe  tanti esseri umani ancor più infelici, privi di un futuro degno di questo nome.        

mercoledì 9 dicembre 2020

CILENTO E APPENNINO LUCANO, PARCHI A CONFRONTO

                                       
            Ascea - La zona archeologica (foto R. De Rosa - riproduzione riservata)





Giornata importante domenica 23 agosto 2020, quando un folto gruppo di abitanti di Satriano di Lucania, il centro dei murales d’autore poco distante da Potenza, decise di andare alla scoperta delle rovine di Paestum per trascorrere una giornata di festa con un tuffo nel passato. Un tuffo forse inconsapevole ma che sta producendo effetti di un certo interesse. Quell’evento rimane una tappa nel cammino del Parco del Cilento,  aperto a importanti realtà che fanno di quest’area protetta l’elemento trainante alla base di un discorso sul ruolo dei parchi e sulla loro funzione guida.

Il viaggio dei Satrianesi fa da cornice, infatti,  a un altro evento,  una lunga diretta organizzata recentemente su FB dalla direzione del parco Archeologico di Paestum e Velia, per far luce tra l’altro su una figura di primo piano dell’antichità: il filosofo Parmenide nato intorno al 515 a.C. nell’antica Lucania, filosofo dell’essere e del non essere, figura di spicco della scuola di Elea. Uomo che racchiude in sé molte delle peculiarità della Magna Grecia, avendo come sfondo la stagione dei presocratici,  personaggi ed eventi che hanno segnato la storia del pensiero antico. Secondo Leon Robin, studioso francese tra i più qualificati, Parmenide avrebbe personalmente  incontrato Socrate giovanissimo in occasione di un viaggio ad Atene insieme a Zenone, un altro componente della scuola eleatica. 

La diretta su Facebook ha aperto nuovi scenari ponendo in risalto l’elemento cultura all’interno dei parchi nazionali, momento di attrazione  e di riscoperta delle radici del Mezzogiorno,  soprattutto del suo protagonismo in un passato lontano.

Per un raffronto tra passato e presente, con l’attenzione rivolta all’Appennino lucano, anch’esso Parco nazionale, si schiera Franco Bruno, attento saggista ormai milanese ma lucano d’origine, impegnato a misurare le distanze tra i due aspetti di questo Meridione continuamente in bilico, vale a dire Cilento e Appennino. Due realtà agli antipodi grazie al dinamismo del parco campano, che risalta ancor più considerando l’interminabile situazione di stallo dell’Appennino dove da luglio la Comunità del Parco è inesistente mentre si registra uno stallo anche in relazione all’assenza di un direttore che possa governare con il Commissario Priore l’andamento dell’area protetta tutta lucana.

E dire che gli organizzatori stessi del viaggio a Paestum sono tuttora increduli di fronte a questi sviluppi, abituati a non credere nelle innovazioni capaci di aprire finanche orizzonti imprevedibili.  

   

giovedì 3 dicembre 2020

"SE DAVVERO MI AMI, NON RACCOGLIERMI"



                                 Angela Ferrara



Ultimo disperato appello di Angela Ferrara, la poetessa di Cersosimo uccisa dal marito. Una margherita “nuda nell’assolato prato, preda dell’ossessione”. 

Angela si sentiva, appunto, come un fiore strappato da mano  assassina, immagine inusuale ma di una straordinaria forza espressiva .

A questa donna simbolo l’Università della Basilicata e i sindacati hanno dedicato un premio per ricordare il suo sacrificio e mettere al bando quella violenza inspiegabile che colpisce mogli, fidanzate, compagne. Un vortice che non risparmia nessuna donna a qualunque latitudine e in qualunque zona del Paese. Non c’è un Nord evoluto e un Sud preda di vecchie incrostazioni. Non esiste alcuna distinzione, appunto. 

Il nome di Angela Ferrara, diventata espressione del femminicidio, lo ha ricordato nei mesi scorsi anche il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. 

Un volto semplice e intenso, quello di Angela, strappata alla vita. Perché? Nessuno mai riuscirà a scavare nell’indole dell’uomo che  dopo l’omicidio si è suicidato come accaduto in altre occasioni del genere. 

Ivana Pipponzi, Consigliera di Parità per la Basilicata, ha dedicato ad Angela, e a tante donne come Angela, una sua riflessione. 

La Pipponzi insiste sul ruolo della cultura per cambiare atteggiamenti aggressivi e forme di gelosia immotivate. “Occorre agire alle radici delle coscienze individuali e collettive, compito della scuola e non solo della società” precisa la Consigliera, ponendo in risalto che in molti casi gli autori di questa violenza intendono affermare la loro superiorità sulla donna, qualunque sia il suo ruolo e la condizione sociale. Una superiorità fisica, sessuale  apertamente ingiustificata.

Queste donne ritornano ancora oggi a essere una preda. Un oggetto posseduto, l’icona dell’appartenere a chi? A chi non è appagato di una presenza e per questo intende sfruttarla al massimo. Sottometterla ai suoi voleri. 

Una ragazza, figlia di persone umili e priva della mamma, è stata  picchiata ripetutamente da un padre padrone che lei accudiva e sottomessa fino all’incredibile. Anzi resa schiava con gravi ripercussioni sul suo equilibrio psichico. E’ accaduto in anni lontani nel potentino, per giunta complice un familiare della malcapitata che accettava i metodi violenti schierandosi dalla parte del padre per guadagnarsi le sue simpatie. 

Sensazioni e impulsi primordiali che nessuno riuscirà mai a indagare veramente a fondo, forse. Quel balenare della violenza che si traduce in terrore: ecco tutto.

Il premio, intitolato ad Angela Ferrara, è per questo uno sforzo da non sottovalutare,  con lo scopo di riscoprire il valore del rispetto della persona. Che molto spesso sfugge, ieri come oggi. Purtroppo.


      

mercoledì 25 novembre 2020

PAESTUM, DALLA FESTA NASCE UN PROGETTO

                                 

                          Turisti di Satriano a Paestum



La grande festa d’estate del  23 agosto scorso con il viaggio a Paestum di un folto gruppo di abitanti di Satriano, il piccolo centro del Melandro, sembra voglia sortire più di un effetto positivo: non si è trattato di una semplice gita fuori porta  ma di un appello, per quanto involontario forse, a mettere insieme le due realtà - Cilento e Appennino lucano - con i rispettivi parchi nazionali e le grandi potenzialità finora per buona parte non espresse.

Del resto l’austerità di chi, nonostante la giornata di caldo estivo, ha voluto indossare in quella circostanza  l’abito lungo delle grandi occasioni sta a sottolineare l’importanza dell’iniziativa. Un invito a fare della Basilicata occidentale l’elemento cardine di una maggiore saldatura con la provincia di Salerno che ha radici profonde. Vale a dire l’antica Lucania e la Magna Grecia di cui i lucani di ieri e di oggi sono parte integrante.

La circostanza del viaggio a Paestum, la visita  alla zona archeologica e l’interesse più o meno manifesto per le ricerche in atto in un vasto territorio hanno riscosso finora molti consensi, a cominciare dal punto di vista del Direttore dell’area di Paestum e Velia, Gabriel Zuchtriegel, che ha avuto modo di esprimersi positivamente sulla possibilità di un legame più stretto con la Basilicata del nostro tempo.

Non solo, sull’argomento interviene anche Franco Bruno, saggista e studioso trapiantato a Milano con il fratello Giancarlo, ingegnere ed esperto di grandi competizioni internazionali come la Formula Uno. Bruno sottolinea l’importanza di questo evento per parlare di un turismo culturale, non di élite, non per pochi. Ma fatto di contenuti e di messaggi alle due regioni, Basilicata e Campania, perché si crei un concetto diverso di quello sviluppo possibile, a lungo atteso e fortemente auspicato.

Dal canto suo, il sindaco di Satriano, Umberto Vita, parla di una possibilità di rafforzare il legame tra le due aree protette e di consolidare gli sforzi per porre l’Appennino allo stesso livello del più fortunato Cilento. Un obiettivo da non mancare se si pensa che la crisi del Parco nazionale dell’Appennino lucano, Val d’Agri Lagonegrese sta diventando insopportabile e deleteria, con la Comunità del parco allo sbando e le popolazioni del tutto disorientate, per giunta in un delicato momento di pandemia da Covid. 

Che fare dunque? La Basilicata deve puntare a inserirsi in questo filone, appunto un turismo di qualità, che metta insieme e non divida. Non introduca distingui ma spenda più di uno sforzo per sentirsi parte attiva in questa operazione rivolta al futuro delle due realtà. 

venerdì 20 novembre 2020

QUELL'ORRIBILE 23 NOVEMBRE


                              


     Un pacco di giornali per terra (foto R. De Rosa- riproduzione riservata)


Niente più di questa foto, e del titolone in prima pagina del Corriere della Sera, fa riflettere su una tragedia senza paragoni: quel 23 novembre di quarant’anni fa, ormai passato alla storia. 

Non servono commemorazioni e meno che mai passerelle rassicuranti per dire di stare tranquilli, tanto c’è chi vigila su ciascuno di noi. Occorre sapere e riflettere, appunto, su una delle catastrofi piombate addosso a questo  Sud eternamente in ginocchio. 

Il terremoto di magnitudo quasi sette fece sollevare enormi colonne di acqua  dai laghi di Monticchio, i primi a risentire dello scivolamento della faglia sotterranea che era proprio lì sul confine tra Basilicata e Irpinia. Un fenomeno mai registrato a memoria d’uomo.

Case distrutte, macerie ovunque, e poi la disperazione della gente ed il pianto di chi aveva perduto familiari, amici, parenti. Scene che non cancellerò mai dalla mente e che si susseguirono per mesi e mesi, esattamente come le scosse diventate quasi una consuetudine. 

Negli studi Rai di via della Pineta, a Potenza, spesso il pavimento cominciava a tremare  proprio mentre si andava in onda o mentre s’intervistava un ospite in tv. Eppure nessuno di noi scappava via, completamente presi dall’esigenza di informare. O, meglio, di testimoniare al Paese quella realtà sotto gli occhi di ciascuno. 

Oltre ai vari TG, sulla scena della cronaca era sempre presente il Giornale Radio Rai con Salvatore Dagata direttore del GR1 e Alberto Severi suo vice. Oltre a Gregorio Donato e Aldo Bello in redazione. 

Oggi, mentre si susseguono le locandine per annunciare eventi a distanza, causa Covid, è opportuno ricordare la ricerca dell’Università di Napoli, pubblicata da Einaudi qualche mese dopo all’incirca, in cui si valutavano non solo i danni del sisma e la prospettiva della ricostruzione, quanto l’esigenza del consolidamento degli abitati, unanimemente riconosciuta da studiosi e geologi come l’unica risposta valida in grado di dare garanzie per il futuro. 

Quella ricerca è oggi finita nel nulla. Ben pochi mostrano di ricordarla; in tanti la ignorano. Eppure rappresentava uno sforzo concreto per fornire le linee guida di una progettualità destinata a essere l’asse portante di tutto il discorso della ricostruzione del dopo terremoto. 

Il disastro, a cominciare dal crollo della chiesa di Balvano, fu provocato in larga misura dal tessuto urbano del tutto fatiscente. 

Un interrogativo si fa pressante in questi giorni della “ricorrenza”. Cosa è accaduto in questi quarant’anni proprio nelle località in cui la forza distruttrice del sisma aveva spazzato via tutto o quasi tutto oltre alle tante vite umane alle quali va il pensiero e la preghiera di ciascuno. 

Tutto quanto è accaduto, nel bene o nel male, non serve a ripagarci degli effetti devastanti di una tragedia di quelle proporzioni, ormai scolpita nella mente di chi la visse e ha continuato per lungo tempo a viverla.   

                                                                


mercoledì 18 novembre 2020

L'OROLOGIO HA RICOMINCIATO A SCANDIRE IL TEMPO


                        




L’orologio della Prefettura di Potenza è rimasto a lungo bloccato con le lancette su quell’ora tragica, le 19,34 di domenica 23 novembre 1980. Poi ha ripreso a funzionare di nuovo, a scandire le ore e i giorni  esattamente come la gente, decisa a voltare pagina, a rimettersi in moto. Ieri come oggi.

Il Covid oggi, per un verso, e dall’altro il terremoto di quarant’anni fa che gettò nel baratro Basilicata e Campania: due eventi, l’uno speculare all’altro sebbene diversi per dimensioni.

C’è da dire tuttavia che il sisma del 23 novembre 80 rimane, come la pandemia, un punto di svolta e non soltanto per le aree direttamente colpite.

Un elemento che ha fatto cambiare vita nel giro di pochissimo tempo alle popolazioni di un Mezzogiorno continuamente alle prese con problemi di crescita e di sviluppo.

Tra le tante domande, una sembra destinata a essere inevitabile. Qual è stato e qual è oggi il ruolo di una città come Potenza, capoluogo della Basilicata messa a dura prova ieri dal sisma e oggi dal virus, in questo dopo 2019 testimone della dimensione europea di Matera capitale della cultura. 

La cultura appunto, un dato di fatto destinato a investire i metodi di governo e non solo il modo di essere della gente, i suoi orientamenti, le scelte individuali e collettive. 

La ripresa è un dato di fatto fisico, ma al tempo stesso  psicologico, morale, culturale appunto. Per questo appare ancor più complessa.

A sentire Stefania d’Ottavio, assessore alle attività produttive, al centro storico e alla cultura di Potenza si percepisce il senso di un voler fare che nasce dall’idea di base legata al ruolo che la città non può non assumere, oggi, quarant’anni dopo la tragedia, a voler misurare le distanze tra passato e presente.

“Potenza si è fatta trovare impreparata,” osserva con il piglio di chi intende mettersi all’opera e costruire assolutamente qualcosa di vero. Poi parla di un associazionismo che dovrebbe convogliare energie alla città per una svolta, intendendo un obiettivo del genere come un momento inevitabile. Un passaggio in grado di dare autorevolezza, anzitutto all’intero contesto sociale. 

Di qui l’idea di un progetto triennale per la cultura a Potenza. Sullo sfondo la città estesa, come la definisce.

In questa vigilia della scadenza del 23 novembre Stefania D’Ottavio preferisce parlare di tutto quanto non è cambiato perché “non sono cambiate cose che invece dovevano realmente mutare in tutti i sensi” sostiene l’assessore alla cultura che considera il ricordo della tragedia un elemento dotato di una forza intrinseca. Non la semplice rievocazione di una data, quanto un gesto doveroso per il suo significato, nella prospettiva concreta del domani. 

domenica 15 novembre 2020

SCIENZA E INNOVAZIONE PER MATERA DEL DOPO 2019


                            

                   Il Centro di Geodesia Spaziale a Matera


Nella tempesta della pandemia Matera scorge una concreta possibilità di ripresa, simile alla luce in fondo al tunnel. Questa prospettiva riguarda molti settori, quelli maggiormente trainanti rappresentati dal turismo di qualità, dal patrimonio artistico e culturale. Ma anzitutto dalla scienza che pone la città in una posizione d’avanguardia nel campo della ricerca spaziale e della osservazione dell’universo. Aspetto poco affrontato nel corso dell’anno “magico” ormai alle spalle. 

Francamente non è poco se si pensa che il 2019, l’anno della città capitale europea della cultura, ha riscosso una gran mole di consensi che oggi sembrano orientarsi verso nuovi approdi e nuove capacità di lettura dell’esistente.

Città all’avanguardia, dunque. Rimane in piedi tuttavia un rischio: se certi primati in vari campi non vengono alimentati da un sostegno quotidiano, fatto non solo di investimenti ma di un marketing di alto profilo in campo italiano e internazionale, potrebbe verificarsi una perdita di interesse da parte di chi punta tutto ormai sulla scommessa : Matera città del futuro, capace di competere con le varie realtà e di guadagnare nuovi primati.

In questa ottica s’impongono altre categorie di analisi al di là di quelle utilizzate finora. Sicuramente il senso della svolta sta tutto nel temperamento dei materani stessi, nella loro vocazione a fare imprenditoria in certi settori. Nella capacità di essere lucani e proiettati verso un futuro  innovativo. Il futuro della sfida a tutto campo, in effetti. 

Roberto Cifarelli, materano e consigliere regionale oltre a essere un osservatore privilegiato di questo dopo 2019, parla di una insufficienza del governo regionale che “manca di dare sostegni alla Fondazione. Insufficienza - sostiene - tale da precludere ulteriori sviluppi e la stessa prosecuzione di un’attività di grande respiro storico, culturale artistico svolta sin dagli anni che hanno preceduto l’epoca di Matera capitale europea della cultura.”


Il ruolo trainante della scienza, che ha, se non sovvertito, sicuramente rimodulato la fisionomia della città ha trovato poco spazio nel 2019. Eppure si tratta di un aspetto decisivo che caratterizza Matera dei nostri giorni. Non di una questione di secondo piano.


“Andrebbe definito un piano strategico regionale, ma purtroppo in regione non c’è idea. Bisognerebbe capire come ci si vuole muovere. Certo dei ritardi si registrano anche da parte di Matera. L’esperienza di Telespazio e del Centro di geodesia spaziale sulla Murgia materana va messa in primo piano. Quando ho fatto parte della compagine regionale di governo abbiamo finanziato le opportunità di ricerca, compresa quella del Centro di geodesia. Queste cose purtroppo non sono all’interno di una strategia complessiva di sviluppo.”


Quale sarà in un prossimo futuro il destino di Matera?


“La strada è stata tracciata, a cominciare dagli anni Cinquanta. Basti ricordare tutto l’iter seguito dalla legge sui Sassi, dalla 771 del 1986, compreso il parco della Murgia Materana. Credo che  il percorso è stato indicato in maniera chiara e indelebile. Ma per proseguire in questo itinerario occorrono persone in grado di volerlo fare. 

Matera 2019 ha segnato molto i materani, nel senso che la rassegnazione non è più di casa. I giovani sanno che si possono intraprendere nuove attività, lo sanno anche i loro genitori. Andare avanti dipende da scelte politiche ben precise, fondamentalmente, non vi è alcun dubbio.”    





mercoledì 11 novembre 2020

PARCO DEL VULTURE, APPELLO DEL SINDACO DI MELFI VALVANO



                      

Le cime del Vulture (Foto R. De Rosa - riproduzione riservata)


Il Consiglio regionale della Basilicata ha bocciato la decisione di cinque sindaci del Vulture che avevano avanzato ciascuno la propria candidatura a Presidente del parco regionale. Non sarebbero state osservate le necessarie prescrizioni perché le proposte potessero essere considerate valide e seguire quindi il normale iter.

Un altro ostacolo per il decollo dell’area, dopo mille vicissitudini che da trent’anni ostacolano la valorizzazione di uno tra i territori di maggiore interesse paesaggistico, storico, ambientale e scientifico dell’intero Meridione e non della sola Basilicata.

Livio Valvano, primo cittadino di Melfi, lancia un appello ai suoi colleghi e alle forze politiche perché si attivi un percorso che porti alla scelta di un Presidente e degli organi del parco, fondata esclusivamente su criteri di competenza e di attitudine al governo dell’area protetta.

Nove i centri all’interno del perimetro. Un enorme bagaglio di biodiversità e un patrimonio storico che racchiude testimonianze importanti. 

“Il Vulture al centro dell’Appennino: la via Appia lo attraversa. I regi tratturi e la via Herculia - precisa Valvano -  sono elementi di grande spicco. Presenze come quelle dei Longobardi, dei Bizantini che edificarono la città fortificata di Melfi rappresentano un dato di rilievo. Ecco dunque la valenza della zona e la conseguente decisione di istituire un parco che dia slancio a un patrimonio da non sottovalutare.” 

A condividere questa impostazione anche l’ex sindaco di Rionero, già parlamentare, Antonio Placido. Bisognerebbe azzerare tutto e partire da zero. Questa la sua opinione.     

Partire da zero, appunto. Il Vulture ha bisogno di decisioni efficaci evitando rinvii e lungaggini politico burocratiche. Il parco non è un carrozzone da mettere in piedi. Ma un obiettivo all’interno del quale esistono sollecitazioni e tanti interessi. Si parla di oltre mille posti di lavoro nel turismo, considerando che Monticchio è davvero un unicum da rilanciare con determinazione, spazzando via la baraccopoli di bar e ristoranti spesso abusivi e tutta la zavorra che appesantisce una realtà in questi anni largamente sottovalutata. Se non addirittura emarginata, nonostante rappresenti il fiore all’occhiello di una Basilicata dalle mille risorse.           

lunedì 2 novembre 2020

L'INARRESTABILE CRISI DELL'APPENNINO LUCANO


           


Il Parco Nazionale Appennino Lucano

 
Capita spesso di chiedersi quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo dei Parchi, sia nazionali che regionali. Aree protette di grande valenza, per la tutela dell’ambiente e degli abitanti, oltre allo sviluppo compatibile.

Nel caso dell’Appennino lucano, anch’esso Parco nazionale a tutti gli effetti, la risposta non esiste. Si, perché da sempre l’area protetta istituita nel 2007, dopo un lungo e tormentato itinerario, non ha fatto nessun passo avanti. E ora è allo stremo.

Da luglio le dimissioni del presidente della Comunità del Parco, l’organo collegiale che segue da vicino e ispira le scelte in materia di salvaguardia e crescita economica , hanno sancito la totale paralisi di qualunque attività proiettata nel futuro. 

Cesare Marte ravvisò, infatti, l’impossibilità di presiedere l’organismo composto dai comuni e dalle realtà presenti sul territorio. Di qui la scelta di gettare la spugna. Decisione non condivisa da molti ma tuttavia in grado di aggiungere paralisi alla paralisi. 

Ora, a distanza di oltre tre mesi dalle dimissioni di Marte, il Vice Presidente, Gaetano Pandolfi, sindaco di Gallicchio, si sforza di trovare un elemento di condivisione che superi la crisi in atto e avvii l’Appennino almeno verso una parvenza di normalità, se non altro.  

Frattanto il parco diventa un deserto. Personale inesistente perché comandato altrove. Contrasti che hanno messo a dura prova le funzioni del direttore, affidate pro tempore all’avvocata Simona Aulicino, con lo scopo di salvaguardare almeno la gestione degli affari correnti. Risultato: la direttrice si è dimessa.

Comuni e sindaci in disaccordo anche sul ruolo di tutela ambientale nei confronti del delicato e rischioso capitolo petrolio. Oltre che sulla rappresentanza nel Direttivo. Un elemento questo in grado di spaccare la stessa Comunità e di privarla di quella forza propulsiva, necessaria per varare decisioni democratiche e concordate.  

Sullo sfondo, anzi in prima linea,  si colloca il Presidente - Commissario straordinario, Giuseppe Priore. Commissario in quanto la nomina del Ministro non è stata ancora ratificata dal Direttivo inesistente allo stato. 

Intanto la Regione Basilicata e il Ministero dell’Ambiente dovrebbero essere interlocutori autorevoli. Probabilmente lo sono ma con quali risultati? Francamente impossibile stabilirlo se si considera il progressivo e inarrestabile degrado in cui versa il Parco sin dall’inizio.

E dire che dell’Appennino (in prima battuta definito  Parco nazionale Val d’Agri) si discute dal 1988, quando la Finanziaria di quell’anno lo propose in alternativa al Delta del Po. Pessima alternativa, a giudicare da ciò che è accaduto fino ad oggi tra guerre interne, contrasti e questioni di potere da tutelare nonostante si dichiarino obiettivi ben diversi. 

Per giunta a tredici anni dalla legge istitutiva il Piano del Parco, importante strumento di governance, redatto da una società di Roma, giace non si sa bene in quali cassetti.   

Si tratta ora di verificare se si riuscirà a trovare un’intesa almeno sulle questioni più urgenti, come annuncia il Vice Presidente della Comunità, Gaetano Pandolfi, con l’intento di evitare al Parco una crisi irrisolvibile, comunque legata a mille fattori e non solo alla vicenda della Comunità. Il lavoro dii Pandolfi prosegue ormai da giorni, ma nessuno è in grado di pronunciarsi sui possibili risultati di una mediazione quanto mai difficile.       

  

 

sabato 17 ottobre 2020

L'EDITORE RUBBETTINO IN PRIMA LINEA AL TEMPO DEL COVID



                           


                        


Imprevedibile in tutto. Non solo nel disastro provocato a livello mondiale. Ma anche in campo letterario. Il Covid imperversa facendo cambiare rotta a molte pubblicazioni già annunciate e indicando percorsi diversi a quella editoria a carattere strettamente divulgativo  che parla alla gente anche dei grandi temi, fino a ieri considerati per pochi. O, meglio, a carattere puramente scientifico, quindi destinati a chi fa ricerca e, pertanto, non all’opinione pubblica.

Rubbettino, editore calabrese tra i più accreditati, registra questo nuovo orientamento: una sorta di rivoluzione, appunto, in grado di incidere sulle scelte dei lettori, assetati di nuove conoscenze che mettano ciascuno in grado di capire cosa sta davvero accadendo, con l’occhio rivolto al futuro e non solo al presente, burrascoso e tormentato. 

Antonio Cavallaro, responsabile Comunicazione esterna della Casa editrice Rubbettino. 

Si tratta dunque di una rivoluzione che fa inevitabilmente avvertire il suo peso. Anche questo un evento non previsto?


“Abbiamo pubblicato già diversi titoli, che parlano della caccia agli untori anche nel caso del coronavirus, una peste che incide sul senso morale della gente, e non solo sotto il profilo della salute.” 


Si parla in molti libri della paura irrazionale, ma vera, che la peste scatena. 


“Ci siamo resi conto che molti testi in corso di pubblicazione parlavano di un mondo che non esisteva più, cancellato letteralmente dal virus. Spazzato via. 

Per questa ragione abbiamo modificato una serie di pubblicazioni. C’è un libro che s’intitola Dopo - Come la pandemia può cambiare la  politica e addirittura le relazioni internazionali. Un libro che fa riflettere. Estremamente attuale.”


Un effetto non solo imprevedibile, ma totalizzante. Che incide su tutto.


Il mondo che rinasce è un altro dei titoli chiaramente indicativi di ciò che il Covid ha determinato, altro che rivoluzione, insomma. Cambiamento di tutto, a cominciare dalle abitudini individuali, agli stili di vita. Parlerei piuttosto di un vero terremoto dalle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Un terremoto dagli effetti non previsti.

I cannibali di Mao, di Marco Lupis, inviato in Cina durante il periodo della Sars: un volume che stabilisce quindi un raffronto quanto mai realistico tra i due momenti, il mondo di prima e quello di oggi.”


Tutto questo fa parte di una sorta di esplorazione del regno dell’imprevedibile, che forse fa paura più di quanto si veda e si tocchi con mano.


“L’imprevedibilità ha sempre fatto parte dell’orizzonte umano. Ora siamo in presenza di un elemento che sconvolge la quotidianità. Che fa piazza pulita di tutto quanto è estraneo, perché non appartiene all'oggi.”


Qual è il nesso, o anche la relazione tra questa letteratura, volta a una conoscenza su larghe basi, e la pubblicistica prettamente scientifica che ha come interlocutori solo ed esclsivamentegli uomini di scienza?


“Stiamo uscendo con un manuale di un infettivologo che lavora a Catanzaro  e che è un testo di cure assistenziali per i medici di famiglia e per quanti seguono questo comparto.

Il rapporto che c’è tra i due momenti rivela il carattere di stretta complementarietà dell’uno rispetto all’altro. C’è un bisogno di lenti interpretative, di momenti esplicativi destinati a incidere sulla conoscenza, a qualunque livello. E’ cambiato tra l’altro l’approccio alla conoscenza, non dimentichiamo.”


La Rubbettino ha pubblicato anche un lavoro sullo smart working, se non sbaglio, anche questo un segno dei tempi.


“Esattamente. Affronta dei temi che fino a ieri sembravano fantascienza e che oggi invece sono di stretta attualità. Non vi è dubbio. Un monito per tutti perché si comprenda l’entità di certi cambiamenti e li si collochi nella vita reale del tempo in cui viviamo.”


Come sarà il mondo che verrà dopo la pandemia? Un interrogativo inevitabile e non da poco.  Definirlo migliore è un azzardo. Definirlo assolutamente diverso mi sembra una ipotesi assolutamente realistica. Bisognerà vedere quanto cambierà la vita di ciascuno, non solo in Italia o in Europa, nel dopo virus.

 




 


 


lunedì 12 ottobre 2020

SETTANT'ANNI FA LA RIFORMA AGRARIA

                              


Siamo ormai alla vigilia del 21 ottobre, una data storica che settant’anni fa segnò l’avvio della Riforma Agraria, il grande passo per il superamento del latifondo con l’intento di dare la terra ai contadini, migliaia tra braccianti e contadini poveri del Centro Sud che avevano pagato con il sangue le lotte per la terra e la rinascita, questa la definizione del grande movimento degli anni Quaranta - Cinquanta .

Un traguardo che costò, secondo dati ufficiali, ben 40 morti negli scontri con la polizia. 60319 gli arresti e 21093 persone condannate per avere occupato  le terre incolte o abbandonate del latifondo. 

Cosa rimane di quel 21 ottobre del 1950? Praticamente nulla. Anzi, rimane lo squallore di borgo Taccone, in provincia di Matera, celebrato a metà degli anni Settanta come il fiore all’occhiello di una Riforma che avrebbe dato un futuro a migliaia di braccianti, di lavoratori della terra, che poi furono costretti ad abbandonare il Sud verso le industrie del Nord. Una vera e propria emorragia di braccia. La storia è nota, sperando che lo sia…

L’Alsia in Basilicata è l’erede dell’Ente Riforma di quegli anni ormai lontanissimi. Ad oggi non è dato sapere come e in che modo il prof. Aniello Crescenzi, direttore generale dell’Ente nonché docente universitario,  ritenga di ricordare quella data che ha avuto un peso enorme nella storia d’Italia e della Basilicata in primo luogo. Non solo. A dimostrare quanto valga il ricordo del 21 ottobre di settant’anni fa, sul finire dell’estate alcuni professionisti con dei giovani universitari della valle del Melandro, nel potentino, avevano pensato addirittura di invitare a una sorta di convegno la Ministra delle politiche agricole Teresa  Bellanova. Idea svanita nel nulla, anche questa. 

Certo, la ricorrenza non è a livello di chiacchiere da bar. Meno che mai di passerella. Ma è piuttosto la dimostrazione di quanto la storia, tanto più pesante e colma di contenuti, venga ignorata per amore di un presente spesso in balìa del susseguirsi degli eventi.

    

martedì 6 ottobre 2020

MINISTRO COSTA FACCIA APPELLO AI SINDACI, ALLE REGIONI E AL GOVERNO


Morti che galleggiano sulle spiagge della Liguria, fiumi di fango, edifici resi irriconoscibili dalla furia delle acque: il bilancio dell’ondata di maltempo dei giorni scorsi è pesantissimo. Come se non bastasse monta la polemica tra il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e i sondaci colpevoli di non avere saputo spendere i soldi a disposizione. Un problema che si aggiunge ad altri mille problemi, tuttora irrisolti. La fragilità del territorio mai considerata nei modi giusti e in relazione al peso che ha o dovrebbe avere. Basta un Consiglio dei Ministri a semplificare, rendere efficienti le procedure che dovranno affrontare nodi di una portata enorme? A compensare ritardi che si sono sommati nel corso di decenni? Certo se non si comincia a rimboccarsi le maniche non si giungerà mai a un risultato positivo. Sarno è una lezione per tutti. Dopo l’alluvione del 1998 i problemi sono ancora lì e di nuovo fango e detriti. Ma soprattutto la grande paura della gente che vede nella montagna un nemico sempre in agguato, pronto a colpire. 
Ministro Costa, faccia appello a sindaci, amministratori locali e al governo perché si diffonda una cultura dell’ambiente al passo con i tempi che viviamo. Perché il dissesto idrogeologico e i disastri ambientali compromettono la vita di ciascuno. Anche la sua, ministro!

sabato 3 ottobre 2020

IL SINDACATO SCRIVE AL PARCO

 Il Segretario generale della UIL Basilicata, Vincenzo Tortorelli, ha inviato al Presidente del Parco nazionale Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese, Giuseppe Priore, la lettera aperta che pubblico di seguito. Lo scopo della missiva è di aprire un dialogo non occasionale con la realtà delle aree protette per favorire lo sviluppo e costruire le premesse per una crescita economica del territorio in linea con le attese delle popolazioni.



Egregio Presidente,

la UIL di Basilicata guarda da sempre con attenzione alle potenzialità inespresse del nostro territorio, in primis quelle legate al patrimonio “verde” rivendicando con forza un Piano di forestazione produttiva in termini di occupazione, sinergia e nuovo sviluppo.

Siamo convinti che esista una stretta relazione tra beni comuni, identità e futuro della nostra regione. Una relazione che tuttavia deve essere intessuta, architettata perché non è un dato naturale: serve un Piano di sviluppo economico e sociale partecipato, serve concertazione tra mondo istituzionale, associativo, imprenditoriale, anche interregionale, in grado di dare ascolto e fornire risposte ai bisogni dei territori, ancor più in questo momento di crisi generato dalla pandemia.

Ci vogliono le basi di un nuovo costruire nella direzione di una transizione sostenibile ed ecologica: ambiente, foreste, energia, acqua, borghi e medie città vivibili, come moltiplicatori di opportunità per il lavoro, l’impresa e le famiglie.

Dobbiamo pensare a nuove domande che rispondano a un’altra idea di crescita basata su nuovi stili di vita e un’idea più ricca di benessere.

Per farlo occorre produrre una nuova offerta, ma prima di tutto occorre una discontinuità di carattere culturale superando logiche meramente manutentive ed assistenziali, superando interessi consortili che per troppo tempo hanno inficiato la capacità dell’Ente Parco Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese di promuovere sviluppo e crescita economica.

Il tema dei parchi rappresenta un richiamo formidabile per la messa in moto dell’economia, grazie a un turismo di qualità e ad altri interessi. I parchi non sono aree recintate: un esempio è il Parco nazionale dell’Adamello Brenta che nei giorni scorsi ha dotato gli allevatori del luogo di sistemi GPS per migliorare il pascolamento del bestiame e andare a incidere sulla qualità dei prodotti lattiero caseari. Una scelta innovativa e di grande interesse, da prendere a esempio. La Basilicata, grazie ai Parchi, può diventare ancora di più regione d’Europa e del mondo. Matera del resto lo dimostra.

Lavorare sulle foreste, come lavorare sull’acqua, sull’assetto del territorio, è cosa che riguarda l’identità della regione.

Si tratta di favorire processi che non possono più attendere, processi in cui le generazioni possano riconoscersi e trovare opportunità, consegnando un’identità alla Basilicata da sfruttare e che sarebbe giusto (e ora) che sfruttasse. Quale momento migliore se non quello attuale approfittando dell’impronta green della New generation Eu.

Sicuro della comunanza di intenti per il ruolo di soggetti partecipi di sviluppo e manifestando la disponibilità della UIL di Basilicata a una discussione sui temi esposti, porgo i miei più cordiali saluti

Il Segretario Generale UIL Basilicata Vincenzo Tortorelli


giovedì 1 ottobre 2020

TORTORELLI (UIL): FAR RIPARTIRE LA BASILICATA

                          

                 Vincenzo Tortorelli Segr. UIL Basilicata




Vincenzo Tortorelli, segretario generale della UIL Basilicata dalle settimane che hanno preceduto la pandemia, non ha dubbi: occorre un forte dinamismo e una capacità progettuale davvero straordinari per rimettere in moto la macchina dello sviluppo in una terra ricca di risorse e dalle enormi potenzialità, ma sempre in attesa di un domani che non arriva. 

Il Covid è una tempesta che si è abbattuta sul fragile apparato produttivo lucano con il risultato di destabilizzarlo e di metterlo a volte in ginocchio nonostante la locomotiva Fiat non abbia smesso di trainare la crescita e la Ferrero oggi rappresenti un punto di forza autentico.

“Purtroppo il danno attuale deriva da politiche sbagliate che si sono protratte per alcuni decenni. C’è tuttavia da mettere in evidenza che Melfi ha visto nel 2015 l’ingresso di ben 1800 giovani (moltii i lucani). Ma tutto questo, sotto l’incalzare dell’epidemia, evidentemente non basta. Un intero sistema, compreso quello sanitario, è andato in crisi con conseguenze assai rilevanti.”


Cresce a dismisura intanto la Cassa integrazione. In Italia sono stati autorizzati addirittura tre miliardi di ore. Un fenomeno drammatico, senza precedenti.


“ Ad agosto abbiamo avuto un milione e mezzo di ore di Cassa Integrazione in Basilicata. Non si era mai verificato un dato del genere dal dopoguerra a oggi. Tutto questo ci fa capire il bisogno  inderogabile di investimenti che debbono andare nella direzione del manifatturiero e dei settori di punta dell’economia locale e nazionale. 

Non si tratta evidentemente di Cig congiunturale. Ma di un dato strutturale, il che ci allarma non poco. Tra l’altro nessuno può scongiurare un alto numero di licenziamenti, ad esempio allo scadere del 31 dicembre 2020.”


La Regione quali risposte ha fornito finora? Come si sta muovendo, soprattutto.


“Ha messo in campo  investimenti per la Cassa integrazione in deroga, per tutte quelle aziende che non hanno diritto al provvedimento ordinario. E’ certo una prima risposta importante nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Ma tutto questo non basta, in ogni caso, per la ripresa netta e significativa dell’economia. Non bastano un po’ di aiuti qua e là. Occorre dare impulso a vari ambiti per rilanciare l’economia e assicurare salari adeguati ai lavoratori, un sicuro elemento di spinta verso i consumi e la normalizzazione, il che servirebbe a mettere in sesto la nostra economia.

A metà settembre abbiamo dato vita in tutta Italia a una iniziativa Ripartire dal lavoro per lanciare un messaggio significativo al governo nazionale e ai governi regionali. Solo se si investirà nel lavoro e nelle nuove generazioni si potrà uscire dal tunnel in tempi non lunghissimi. 

Stiamo cercando un confronto con la Regione Basilicata per affrontare questi nodi, un confronto non dico permanente ma da sviluppare in tempi più lunghi di una settimana o di un solo giorno, con lo scopo di mettere a fuoco un quadro ben definito degli interventi.”


Ci sono delle sofferenze, si sente dire da più parti. Il sindacato propone alla Regione Basilicata di chiedere alle compagnie petrolifere un’anticipazione di duecento milioni di euro sulle royalties per lavoro e occupazione, in modo da dare ossigeno ai settori più colpiti dal disastro del Covid.  


“Abbiamo ribadito la nostra richiesta per creare un buon bacino e decidere insieme come utilizzare queste risorse, in direzione di alcuni settori in particolare, ma subito. Senza perdere tempo. Il rischio è uno solo: nei prossimi mesi possono andare perduti tutti i risultati ottenuti nei decenni scorsi. Il rischio c’è, eccome. Questo sarebbe un vero segnale di cambiamento. 

Purtroppo abbiamo netta la sensazione che ci sia, per giunta, a vari livelli uno svuotamento di competenze. La macchina amministrativa è importante. Vogliamo una governance innovativa, in grado di dare risposte nei tempi necessari. Non dimentichiamo, inoltre, che lo spopolamento di questa terra non ci aiuta. Un fenomeno gravissimo da arginare, pena la perdita di peso dell’intera Basilicata. Una debacle vera e propria.”


A proposito della disponibilità di risorse: c’è il tema dei parchi che rappresenta un richiamo formidabile per la messa in moto dell’economia, grazie a un turismo di qualità e ad altri interessi. Che fare anche in questo campo?


“ I parchi non sono aree recintate. Un esempio: il Parco nazionale dell’Adamello Brenta, nei giorni scorsi, ha dotato gli allevatori del luogo di sistemi gps per migliorare il pascolamento del bestiame e andare a incidere sulla qualità dei prodotti lattiero caseari. Una scelta innovativa e di grande interesse, da prendere a esempio. 

Se pensiamo che la crisi del Parco nazionale Appennino lucano Val d’Agri lagonegrese dipende da un mancato accordo per la rappresentanza delle varie aree nel direttivo del Parco ci rendiamo conto della gravità della paralisi, ormai consolidata da tempo.

E’ un problema culturale, poiché si è creduto poco, molto poco in questo investimento, soprattutto al Sud. La Basilicata, grazie ai Parchi, può diventare ancora di più regione d’Europa e del mondo. Matera del resto lo dimostra.”