giovedì 31 agosto 2023

PERCHE' MORIRE COSI', SU UN BINARIO?



                               




Il più giovane dei cinque operai uccisi dal treno in Piemonte aveva 22 anni. Era andato dalla Sicilia al Nord per cercare lavoro. Quel lavoro duro, pesante su un binario da sostituire nel cuore della notte,  lontano da casa dove la notizia della morte è arrivata come un ciclone che spazza via tutto.

Cinque operai. Cinque uomini falciati dal convoglio ad altissima   velocità che li ha trascinati per centinaia di metri, come carne da macello, senza riuscire ad avere contezza di quanto stava accadendo. Perché quanto stava accadendo era già irrimediabilmente accaduto.

Un disastro che scuote tutti e lascia il Paese attonito. Com’è potuto succedere, trattandosi peraltro di una linea ferroviaria importante con convogli destinati a collegare centri di tutto rilievo e per giunta ad alta velocità, oltre i 150 chilometri orari.

Di chi sono le responsabilità e, soprattutto, come mai non sono state adottate tutte le misure destinate a garantire idonei livelli di sicurezza alle maestranze impegnate su qualunque tratta ferroviaria, al Nord come al Sud. Sulle linee importanti come su quelle secondarie. Senza distinzione alcuna.

Questa volta la tragedia è davvero immane, senza retorica. Immaginiamo lo schianto, le urla di dolore interrotte in pochi secondi da una morte spietata. A quella morte orribile fa seguito la disperazione dei familiari, piombati nel terrore da un momento all'altro. Come se per ciascuna delle famiglie si ripetesse quello schianto all’infinito. 

I messaggi di cordoglio si susseguono ora, ma non servono a cancellare il dolore dei congiunti, il pianto dei familiari raccolto  dai cronisti accorsi sul posto. La magistratura seguirà il suo corso, domani, dopodomani, quando saranno disponibili tutte le informazioni necessarie. Chissà quando. Ma nessuno riuscirà a lenire le conseguenze di un disastro di proporzioni indescrivibili. Ci sarà anche uno sciopero, ma le vite spezzate non ritornano. 

   


lunedì 28 agosto 2023

PERCHE' OGGI E NON IERI?


                        



I fatti di cronaca di questi ultimi giorni creano non solo smarrimento, bensì un senso di sofferenza, di disorientamento tanto più profondo se legato alla necessità di guardarsi intorno. E di fare un bilancio.
Dopo Palermo Caivano. E dopo Caivano Latina dove una ragazza minorenne, caduta per terra in seguito a un malessere, si è vista “esplorare” le parti intime riprese con un telefonino e mandate in onda sui social. Cosa gravissima perché mette in risalto l’istinto alla condivisione, alla partecipazione collettiva al godimento
Illecito. Non si tratta di sessualità ma di ben altro. L’idea del branco, in questo caso, è tutta lì con tutto ciò che comporta e con la ferocia ad essa collegata, inevitabilmente.
La logica del branco fa un salto di qualità nel momento in cui diventa minaccia a non condannare quel gesto assurdo dello stupro di Caivano. La chiesa semivuota ieri è una terribile conferma del potere della delinquenza di impedire una reazione di massa, largamente condivisa, una sorta di mobilitazione per dire basta.
Il terrore di incorrere nelle ire dei boss è una chiara dimostrazione del potere mafioso. O,meglio, della capacità sociale di certa delinquenza. 
Sicchè il messaggio del parroco risulta un gesto coraggioso che lo espone sicuramente a enormi rischi personali. Incalcolabili.
Il susseguirsi di episodi come questi pongono tuttavia un interrogativo: perché oggi e non ieri? 
Anche in decenni abbastanza recenti non si verificavano stupri, nè soggettivi nè di massa. Rarissimi i femminicidi. Possibile che il livello di complessità della società in cui viviamo determini conseguenze del genere? Una società complessa non può scivolare così in basso: se ciò accade è colpa di ben altri fattori negativi. Anzitutto la “presenza” della famiglia in quella sorta di istigazione a delinquere per rimanere nell’alveo di una tradizione consolidata. Molto spesso camorristi e mafiosi si è per un radicato costume familiare che non può essere cancellato o smentito. Pena la perdita di identità. Purtroppo.



PERCHE' OGGI E NON IERI?

                    





I fatti di cronaca di questi ultimi giorni creano non solo smarrimento, bensì un senso di sofferenza, di disorientamento tanto più profondo se legato alla necessità di guardarsi intorno. E di fare un bilancio.

Dopo Palermo Caivano. E dopo Caivano Latina dove una ragazza minorenne, caduta per terra in seguito a un malessere, si è vista “esplorare” le parti intime riprese con un telefonino e mandate in onda sui social. Cosa gravissima perché mette in risalto l’istinto alla condivisione, alla partecipazione collettiva al godimento illecito. 

Non si tratta di sessualità ma di ben altro. L’idea del branco, in questo caso, è tutta lì con ciò che comporta e con la ferocia ad essa collegata, inevitabilmente.

La logica del branco fa un salto di qualità nel momento in cui diventa minaccia a non condannare quel gesto assurdo dello stupro di Caivano. La chiesa semivuota ieri è una terribile conferma del potere della delinquenza di impedire una reazione di massa, largamente condivisa, una sorta di mobilitazione per dire basta.

Il terrore di incorrere nelle ire dei boss è una chiara dimostrazione del potere mafioso. O,meglio, della capacità sociale di certa delinquenza. 

Sicchè il messaggio del parroco risulta un gesto coraggioso che lo espone sicuramente a enormi rischi personali. Incalcolabili.

Il susseguirsi di episodi come questi pongono tuttavia un interrogativo: perché oggi e non ieri? 

Anche in decenni abbastanza recenti non si verificavano stupri, nè soggettivi nè di massa. Rarissimi i femminicidi. Possibile che il livello di complessità della società in cui viviamo determini conseguenze del genere? Una società complessa non può scivolare così in basso: se ciò accade è colpa di ben altri fattori negativi. Anzitutto la “presenza” della famiglia in quella sorta di istigazione a delinquere per rimanere nell’alveo di una tradizione consolidata. Molto spesso camorristi e mafiosi si è per un radicato costume familiare che non può essere cancellato o smentito. Pena la perdita di identità. Purtroppo.


sabato 19 agosto 2023

POLLINO, COMPIE TRENT'ANNI IL PARCO NAZIONALE



                         

                                     

                                 Pollino, verso la Grande Porta (Aldo Di Fazio)



Trent’anni non sono certamente pochi per un bilancio di ciò che è accaduto o non è accaduto nell’area protetta più grande d’Italia, tra Basilicata e Calabria, con 56 centri abitati nel suo perimetro e quasi 200 mila ettari di estensione.

Il colloquio con Valentina Viola, Presidente f.f. dell’Ente Parco, si sviluppa su diversi fronti: anzitutto il Piano del Parco, ancora in dirittura d’arrivo dopo tre decenni da quel 15 novembre 1993 quando il Corpo Forestale dello Stato mise a disposizione della Rai un elicottero per una sorta di ricognizione delle bellezze del Parco nazionale e una presa d’atto delle maggiori risorse. 

Oggi, ci si chiede, cosa è cambiato? La Presidente si sofferma sul momento attuale, ovviamente, e sottolinea la scadenza del prossimo settembre, mese in cui la Regione Basilicata, dopo la Calabria, dovrà sottoscrivere la proposta di Piano. Un adempimento urgente e necessario per il governo del Parco nazionale. 

Adempimenti a parte, tuttavia, occorre riflettere su questi anni. Sin dalle prime battute (l’idea di Parco nazionale risale alla festa della montagna del 1958, pensate!) il Pollino ha alimentato un vivace dibattito sul che fare, da dove iniziare e con quali obiettivi specifici. Un dibattito affievolitosi di anno in anno, fino a perdere quota oggi, all’insegna dell’indifferenza, se non del rifiuto da parte dei protagonisti. Gli abitanti anzitutto.

Quello sviluppo promesso non c’è, tutto qui, nonostante si sia andata sviluppando in questi anni una particolare attenzione da parte di appassionati della montagna, soprattutto stranieri. Anche per questo Valentina Viola mostra di avere sufficiente fiducia e di riuscire a credere nella svolta possibile. “Il Pollino è patrimonio dell’Unesco” osserva, un Geoparco di rilievo scientifico,  a voler significare l’entità della posta in gioco. Il suo valore intrinseco dal quale dipende tutto. “Questo valore va trasferito alla comunità” aggiunge con orgoglio. I frutti non tarderanno a giungere, sostiene fiduciosa.

La Presidente riconosce, inoltre,  all’Ente Parco un dinamismo da non sottovalutare affatto, grazie al lavoro degli esperti e dei tecnici. Aree valorizzate con impegno, biodiversità posta in risalto in tante circostanze e dai media, prima di tutto. Una risorsa imprescindibile, grandiosa e struggente, che dovrà dare i suoi frutti. Ecco il messaggio del trentennale del Pollino, in questa estate di attesa con mille sagre e mille feste locali.      

venerdì 11 agosto 2023

LA CROCE IL SUO MESSAGGIO


                         Padre Pio giovane sacerdote

La sua spiritualità, soprattutto l’amore per Maria Santissima, la sua umiltà e la sua coerenza. L’essere santo: tutto deriva dalla profonda dedizione alla Croce di Cristo. 

Non è esagerato definire Padre Pio santo sin da bambino, molto prima
dell’età in cui si manifesta uno spiraglio di conoscenza di ciascuno e del mondo. Lui, come dimostrano gli eventi, era già consapevole di tutto.
Indiscussa figura di mediatore tra il Cristo e l’umanità di questo tempo, anzi di tutti i tempi. Sicchè il centenario del testamento è un inno alla devozione alla Croce, in cui la sofferenza agisce sul corpo e sullo spirito, fino a configurare un percorso soprannaturale infinito. Quella sofferenza, non solo delle stigmate ma dei peccati dell'umanità che il Padre offre al Signore, sono testimonianza dell'amore per gli uomini e, al tempo stesso, volontà di salvezza.
Non c’è nulla di terreno nei suoi richiami alla fede e alla devozione a Maria. L’assoluta necessità della recita costante del Rosario, e non solo, rivela esigenze interiori che in lui derivano dall’attaccamento intimo al Sacrificio del Golgota. Una luce che emana da quei poveri legni che ressero il Corpo di Gesù. Una luce intensa, senza paragoni. In vita si cibava pochissimo, aveva una fulgida intelligenza del tutto soprannaturale che gli consentì di parlare a tu per tu con degli scienziati, con quella scienza divina che rafforzava la sua anima e il suo umile corpo.
A questo punto il testamento si spinge ben oltre il dato contingente, per quanto profondo. E anzi si traduce in totale coinvolgimento della carne e dell’anima, insieme. Partecipazione viva all’eternità.
Padre Pio rivela al mondo la creazione e l’assenza di una fine per l’anima universale, quella appunto in cui si manifesta la crocifissione come dato di fatto. Elemento della storia. Inoppugnabile. Incontrovertibile.
Mille prove, mille dimostrazioni, il susseguirsi di eventi inspiegabili e grandiosi nella vita dell’umile Frate fanno del suo testamento un messaggio eterno, diretto a tutti gli uomini, senza distinzione di appartenza, di colore, di razza.

La lettera del 12 agosto 1923, inviata da Padre Pio al sindaco di san Giovanni Rotondo Francesco Morcaldi, è una pietra miliare, una dichiarazione di amore infinito per gli uomini, come è stato fatto notare in questi giorni in cui si annuncia l'esposizione del cuore di San Pio il prossimo settembre, il mese del suo trapasso.    



domenica 6 agosto 2023

L'EMOTIVITA', UN VANTAGGIO O UN RISCHIO?


                    


 Sasso Castalda (Pz) (foto R. De Rosa - Riproduzione riservata)


Se Luigi Spaccarotella, ex poliziotto ed ex detenuto, avesse avuto il pieno controllo della sua sfera emotiva avrebbe sicuramente evitato di metter mano alla calibro 9  di ordinanza per sparare all’impazzata e uccidere un tifoso della Lazio, distante da lui diverse decine di metri che certo non lo minacciava.  

Spaccarotella (basta il cognome per raccontare una vita) agì in preda a un turbine emotivo che gli proibì di riflettere, nonostante le rigide disposizioni che impongono alle Forze dell’ordine di usare le armi solo in caso di legittima difesa o in emergenze gravissime.

L’emotività fa brutti scherzi in alcuni casi. In altri invece diventa elemento di caratterizzazione positiva della personalità dell’adulto e del bambino entrando a pieno titolo nella sfera comportamentale.  

Lunga ma inevitabile premessa per introdurre un progetto sulla “educazione alla emotività” ma non per gli adulti come Spaccarotella quanto per i bambini piccoli, in età addirittura prescolare. 

Un progetto ambizioso orientato non tanto al self-control quanto piuttosto al riconoscimento di quei fattori educativi dai quali dipende appunto la sfera emotiva e tutto ciò che ne consegue. 

Il progetto è del Comune di Sasso di Castalda, una delle porte d’ingresso al Parco nazionale dell’Appennino lucano, d’intesa con la cooperativa Ethos e con la partecipazione di Maddalena Langone, esperta nell’analisi di vicende  familiari e di coppia. Sullo sfondo la figura di Mariele Ventre, educatrice e organizzatrice del coro dell’Antoniano di Bologna, originaria di Sasso, una delle icone che danno lustro al piccolo centro, una sorta di borgo alpino ai piedi delle montagne.

Più che ambizioso il progetto equivale a una impresa ardua: fare in modo che il bambino cominci a disporre della strumentazione idonea per capire anzitutto cosa rappresenta la sua emotività e poi per riuscire a comportarsi di conseguenza nel corso degli anni in cui la consapevolezza sarà cresciuta a tutti i livelli. Almeno questa la previsione.

Sembra poco? Non credo, anzi la posta in gioco è di un rilievo talmente elevato da porre in discussione le basi educative e comportamentali della società in cui viviamo. 

A parte l’originalità, un ingrediente con cui si misurano molti progetti degli enti locali,  ci si chiede se questa iniziativa sia in grado di rappresentare un incentivo a conoscere il Parco nazionale e le sue risorse. Anche questa un’impresa non da poco.

Siamo soltanto all’inizio. Vedremo i risultati .    

giovedì 3 agosto 2023

LA BASILICATA DEL BIOGAS


                              

                     Un allevamento dove si produce biogas

                        


Se la transumanza rappresenta il percorso di sempre di una zootecnia che risale ai decenni scorsi, se non ai secoli scorsi, il rinnovamento dell’agricoltura oggi in Basilicata ha un nome: biogas. Una vera sfida per gli agricoltori, per gli allevatori in particolare come dimostrano alcune esperienze già in atto. Ma anche per l’Eni, con il cane a sei zampe che in Basilicata è presente da tempo con i numerosi progetti di estrazione di greggio, destinati a moltiplicarsi a quanto si apprende.

Si tratta di produrre biometano dagli scarti delle lavorazioni agricole, ma anche utilizzando i reflui degli allevamenti bovini, precisa nella conferenza stampa di presentazione il responsabile dell’agricoltura, Alessandro Galella. 

Un primo bando è stato emanato. Bisognerà capire quale sarà il livello di adesione all’iniziativa. 

Ma la questione di fondo riguarda anche e fondamentalmente l’Eni con gli investimenti da fare in un settore in cui è possibile ravvisare un interesse specifico da parte degli agricoltori se esisteranno le condizioni per costruire un futuro in questo comparto.

In termini di modernizzazione delle attività rurali non vi è dubbio che il biogas rappresenta, non da oggi, un punto di svolta. Una prospettiva. Forse anche un traguardo. Ma le condizioni per una svolta occorre crearle tutte non solo da parte del pubblico, quanto con un intervento massiccio e, aggiungo, rassicurante da parte di chi in Basilicata è presente da vari decenni per estrarre petrolio. 

Ecco la sfida. L’Eni ha potenti mezzi per investire dei capitali importanti nel settore, quanto per svolgere un’opera capillare di divulgazione degli obiettivi dando corpo a scelte credibili.  

D’altro canto le popolazioni lucane, e le stesse istituzioni, hanno il pieno diritto di chiedere al colosso petrolifero un intervento, in questo e in altri campi, non limitato a pochi spiccioli.

    

mercoledì 2 agosto 2023

DUE EUROFIGHTER A CACCIA DI UN ULTRALEGGERO





Qual è il rapporto tra una Ferrari e una bicicletta a pedalata assistita? Praticamente impossibile da stabilire, dato l’enorme divario che esiste tra le due realtà.

Così è accaduto tra due Eurofighter e un ultraleggero che per errore aveva violato una vasta zona destinata a esercitazione dei caccia, zona compresa tra l’alto Jonio e il Parco nazionale del Pollino, frequentatissima ogni giorno da mezzi militari (italiani ma non solo)  con sorvoli a quote medio alte nelle ore del giorno e della notte.

Il bello della vicenda non è solo questo, quanto la mobilitazione di strutture internazionali incaricate di vigilare sulla sicurezza dei cieli italiani che hanno dato l’allarme, informa una nota della base aerea di Gioia del Colle, addirittura a partire dal CAOC (Combined Air Operation Centre) di Torrejon, una struttura della Nato in Spagna, un potentissimo Radar di avvistamento che opera avvalendosi di personale di alta qualificazione in campo militare. I controllori di Gioia non sono da meno anche per l’assitenza al volo civile, è bene precisarlo in ogni caso.  

Alle apparecchiature di Torrejon il piccolo ultraleggero, di stanza a Pantano di Pignola impegnato nell’avvistamento degli incendi boschivi lungo la costa ionica calabro lucana, è apparso subito come una traccia sullo schermo del radar. Di qui l’ordine immediato di decollo per i due eurofighter dalle piste di Gioia che in pochi minuti hanno intercettato il piccolo velivolo. 

Non è tutto. I piloti alla guida dei caccia hanno intimato all’ultraleggero, via radio, di abbandonare immediatamente la zona di esercitazione e di far rientro alla base di Pignola. I caccia dispongono di apparecchiature radio sofisticate. E’ probabile che la modesta radio di bordo dell’ultraleggero non abbia captato immediatamente il segnale, per cui è stato scortato fino a Pantano di Pignola. 

Quanto onore, per un fuscello monomotore, essere accompagnato fino all’avio superficie da due potentissimi caccia. Eppure è accaduto. Una pagina di storia aeronautica per l’ing. Luigi Mancino titolare del centro Icaro di Pantano.