martedì 30 aprile 2019

IL SILENZIO CHE UCCIDE (PIU' DELLE ARMI)



Insultato, aggredito volgarmente, malmenato, picchiato con grande soddisfazione di alcuni bulli, anzi giovani delinquenti finalmente arrestati dalla polizia. Il destino di Antonio, il pensionato di Manduria vittima di diversi ragazzi, è ormai noto a tutti.  
Certo, l’evento suscita rabbia e indignazione. Ma ancor più fa soffrire, creando un disgusto vero e proprio, quel silenzio complice che ha dato carta bianca ai giovanissimi aggressori, giustificati peraltro dal pensiero della madre di uno di loro che vorrebbe considerare quella meschina persecuzione ai danni del pensionato come un “passatempo” indotto dalla mancanza di bar, sale da gioco o altri svaghi nella cittadina pugliese che potessero impegnare i ragazzi, magari allentandoli dalla delinquenza e  dal malaffare.
Contro questi silenzi si leva alta la voce di un avvocato lucano, Ivan Russo, giurista, autore di una edizione del codice penale,  che si è rivolto al vescovo di Manduria chiedendogli conto del perché lo stesso parroco non sia intervenuto informando le forze dell’ordine e, comunque, sollecitando un intervento in tempi rapidissimi, prima che fosse troppo tardi. Ma solo con una lettera alle Autorità, precisa Russo.
La riflessione dell’avvocato non si limita a questo. Russo intende affrontare su una rivista giuridica il rapporto esistente tra la tortura, a danno del povero pensionato, e il silenzio che ha caratterizzato la condotta di molti concittadini dell’uomo, senza escludere il parroco, tiene a chiarire.
Finora, aggiunge Ivan Russo, non è giunta alcuna risposta da parte del vescovo.
Ma lui non demorde: insiste con vigore, coraggio e tanta forza morale ritenendo che se qualcuno avesse avvertito, con la necessaria sollecitudine, le forze dell’ordine, il povero Antonio sarebbe ancora tra noi.
Analoga considerazione da parte del Procuratore della Repubblica che annuncia il prosieguo delle indagini proprio con l’intento di fare piena luce su tanti, inspiegabili silenzi, responsabili del martirio del pensionato e della sua inevitabile morte in condizioni davvero disumane. Non si può morire, ha ragione l’avvocato Russo, perché c’è chi preferisce tacere.   



martedì 23 aprile 2019

RITORNA L'INCUBO PETROLIO



                          
Il Centro olio di Viggiano 



Di nuovo la Basilicata nelle cronache dei Telegiornali nazionali. Anche questa volta per il disastro ambientale, provocato due anni fa, dalla perdita di tonnellate di greggio dai serbatoi del COVA di Viggiano, il Centro olio che convoglia il petrolio alla raffineria di Taranto. 
Ai domiciliari Ruggero Gheller, Andrea Palma ed Enrico Trovato,  mentre altre persone risultano indagate.
Il Procuratore della Repubblica di Potenza, Curcio, sottolinea l’entità del disastro, un dato di tutto rilievo che presumibilmente va ben oltre il fenomeno in sé, che sembra essere stato circoscritto al febbraio 2017. Fonti qualificate parlano non solo della perdita dai serbatoi, ma di ben altro.
In questo quadro, risalta inequivocabilmente il provvedimento che la Regione Basilicata adottò all’epoca disponendo il fermo del Centro olio per novanta giorni. Una decisione presa dal Presidente Marcello Pittella che anche in seguito ha posto in risalto l’importanza di questa scelta senza precedenti in un contesto in cui, ancora oggi, non esistono certezze e meno che mai dati rassicuranti per la popolazione della Valle dell’Agri e della Basilicata. 
Inevitabilmente il discorso si estende infatti alla eventuale contaminazione di falde acquifere e delle tante sorgenti, legata non solo alla perdita di tonnellate di petrolio dal COVA, quanto all’effetto delle perforazioni, tuttora in atto, per la ricerca di idrocarburi a grandi profondità. 
Chi è in grado di tranquillizzare gli abitanti della Valle e non solo, tenuto conto che le trivelle non perforano verticalmente, vale a dire nella sola zona dove sarà estratto il greggio. Ma raggiungono territori sottostanti a migliaia di metri, ubicati in aree lontane. Un dato di cui non si parla molto, anzi non si parla per nulla. 
Considerazioni non certo marginali, alle quali gli esperti non sono stati in grado di dare risposte, a causa della complessità della materia e del riserbo che circonda da anni, ormai, l’attività estrattiva del colosso petrolifero. Praticamente nulla è dato sapere, sicché il memoriale del 2013 dell’ingegnere suicida, Gianluca Griffa, lancia un’ombra terrificante su tutto il complesso della vicenda petrolio in Basilicata, nata sul finire degli anni Ottanta con ingenti finanziamenti da parte di Eni. Il primo progetto di “sviluppo olio” costò infatti, solo nella fase iniziale, la modica somma di  un miliardo, tre milioni e 961 mila euro: il che lasciava prevedere che fiumi di denaro sarebbero stati incassati a compensare la spesa enorme. 
L’arresto del dirigente Eni e le indagini tuttora in corso evocano scenari allarmanti, di danni irreparabili all’ambiente e alla salute, con riferimento a dati e notizie che  non conosceremo mai.  E forse non saprà mai anche chi indaga.  

sabato 20 aprile 2019

PERCHE' RIMPICCIOLIRE LA STORIA?



Per quanto autorevole, scritto magari da una penna famosa, qualunque articolo apparso su un giornale rappresenta in genere l’espressione di un punto di vista, politico, sociale, economico. Spesso nulla più di tanto. E non potrebbe essere altrimenti. Ma il lungo articolo di Carlo Cardia, giurista, docente universitario, dal titolo “La forza degli ideali universali” pubblicato recentemente dal quotidiano Avvenire, ha la forza di una lectio magistralis, un monito ad ascoltare gli ideali universali trascurando meschini calcoli di potere (come ammonisce Papa Francesco) e questioni minute che ci fanno indietreggiare nel lungo e difficile cammino della storia. 
“Avvertiamo istintivamente che stiamo tornando indietro, stiamo regredendo su valori e principi di civiltà, che abbiamo conquistato a fatica tutti insieme, e che ci donavano dignità e speranza.” E ancora: “E’ tutto un tornare indietro, un regresso continuo, addirittura esibito da chi vuole essere “sovrano in casa sua”. 
Il lungo ragionamento di Cardia giunge poi a considerare l’orizzonte culturale e politico, ormai alle spalle,
 in questa fase di totale “revisione” di gran parte delle logiche che hanno ispirato la sfida a ricostruire la democrazia in Europa. Kant, ma anche l’opera di statisti da Churchill a Schumann, da Adenauer a De Gasperi sono i punti di riferimento essenziali per misurare le distanze tra un passato sempre più lontano e un presente spesso indecifrabile se non, par di capire, con l’unica lente di un revisionismo ostinato e crudele fino al punto da mettere in forse “il principio stesso dello stare insieme che ha unito popoli e Paesi per tanto tempo ostili, o nemici.”    
“Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!” Tragica e orribile considerazione come la risposta “alla voce del Papa, oggi la più universale che esista, si risponde che non è realista, che si fonda, essa, su un’illusione. Eppure - prosegue Cardia - le parole più realiste vengono proprio da Francesco, perché ricorda che i flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi.”
E’ questa la stagione dei cambiamenti imprevisti e imprevedibili, in tutti i sensi, a cominciare dalla esperienza di Greta la ragazzina che chiama a raccolta i giovani di tutto il pianeta per difendere il destino dalla nostra casa comune. Un fenomeno di proporzioni gigantesche che indubbiamente lascia ben sperare giacché - conclude Carlo Cardia - “i sogni e gli ideali sono più grandi delle strettoie dell’egoismo e con il tempo hanno sempre prevalso e guidato la storia universale degli uomini.”



mercoledì 17 aprile 2019

GRETA HA MESSO IN MOTO IL MONDO



La mano tesa di Papa Francesco alla ragazza più famosa del mondo sancisce il ruolo di Greta, diventata l’animatrice delle battaglie per l’ambiente, il custode di un bene che altri hanno fino ad oggi sbeffeggiato, ignorato, dimenticato. E finanche calpestato.
La sua presenza è come una sberla ai grandi della terra che hanno ridotto il pianeta ad una pattumiera destinata ad un progressivo e inarrestabile degrado.
L’udienza dal Papa consolida dunque il ruolo di Greta. Francesco autore dell’enciclica Laudato si’ è l’interlocutore giusto per chi intende spendersi davvero per l’ambiente con amore, passione e intelligenza. 
Finanche l’alta finanza si mobilita con una serie di manifestazioni in Inghilterra per dire basta al degrado.     

martedì 16 aprile 2019

ADDIO MARESCIALLO, TI ACCOMPAGNA L'AFFETTO DI TANTI



Oggi è una giornata di lutto, non solo per l’Arma dei carabinieri, quanto per la società nel suo complesso che non si rassegna. L’omicidio  di un uomo mite e onesto non ha una giustificazione, non potrà mai averla.
Un evento che ha scosso tutti indistintamente: la fiaccolata in memoria del maresciallo Di Girolamo è un segnale della coesione e del rispetto di valori intramontabili. Vuol significare che la gente si immedesima, partecipa, è presente nel grave lutto dei familiari e dei carabinieri.
Amato e stimato da tanti, Di Girolamo era molto legato al pensiero e all’esempio di vita di Padre Pio. Lo hanno ricordato in tanti. 
A Casa Sollievo è  ricoverato l’altro militare rimasto ferito. Non è un caso se il sollievo della sofferenza trova in un episodio così drammatico il riferimento diretto. Anche perché Padre Pio ha sempre messo in guardia dal male, che si manifesta in tutte le forme ed è realmente eterno. Indistruttibile.

    

INVITO ALLA PREGHIERA DAL SANTUARIO DI VIGGIANO



“IN SEGNO DI DOLOROSA PARTECIPAZIONE AL DRAMMA CHE HA COLPITO LA FRANCIA E TUTTA L’EUROPA CRISTIANA, IN SEGUITO ALL’INCENDIO DI NOTRE DAME DI PARIGI, OGGI LE LUCI CHE SOLITAMENTE ILLUMINANO LA MADONNA RESTERANNO SPENTE. 
INVITIAMO TUTTI ALLA PREGHIERA”

Questa la nota che il Rettore del Santuario di Viggiano, don Paolo D’Ambrosio, ha diffuso stamane alla stampa per sottolineare il senso di un diretto coinvolgimento della Chiesa lucana nel dramma di Parigi. 
Un segnale importante, legato alla universalità della Chiesa e al riconoscimento del valore inestimabile di Notre Dame, uno dei monumenti della cristianità non solo europea. 
L’invito alla preghiera rappresenta poi un approdo sicuro in un momento così difficile e colmo di angoscia per quanti - milioni di persone - hanno seguito e continuano a seguire in televisione e sul web gli sviluppi del rogo che ha devastato la cattedrale di Parigi.  
C’è da augurarsi che la preghiera possa rappresentare, in questo difficile momento, il segno di una solidarietà tangibile per ricostruire il duomo divorato dalle fiamme.  

mercoledì 10 aprile 2019

IL CASO CUCCHI E' UNA VORAGINE



La lettera autografa del comandante generale dei carabinieri dà alla famiglia Cucchi una briciola di soddisfazione, dopo la tragedia di dieci anni fa e serve, se non altro, a rassicurare che il tempo della solitudine e del distacco dalle istituzioni è superato. Almeno questo.
Nistri si dice pronto a colpire i responsabili applicando le necessarie sanzioni: “inflessibili con chi ha infangato l’uniforme”, e dice di volersi costituire parte civile nei confronti di chi ha sbagliato.
Ma proprio una scelta del genere apre nuovi e inquietanti scenari, anche questi senza precedenti nella storia dell’Arma in cui ha sempre prevalso lo spirito dell’unità del corpo rispetto a responsabilità personali o a scelte individuali, isolate e messe ai margini tempestivamente.
Scende in campo il Capitano Ultimo, l’uomo che arrestò Totò Riina nel 1993, oggi colonnello e presidente del Sim carabinieri, unico sindacato militare, con una presa di posizione durissima: “Piuttosto che pensare di costituirsi parte civile nel caso Cucchi, a questo punto sarebbe stato forse più utile per la dignità dell’Arma dare le dimissioni senza tanti equivoci e come segnale di discontinuità.” 
Il colonnello Sergio De Caprio aggiunge: ”Per dieci anni il vertice dell’Arma ha ignorato e negato il caso Cucchi, ora se ne accorge. Qualcuno dirà meglio tardi che mai, invece no, è troppo tardi. E noi Carabinieri ci sentiamo parte lesa per questo ingiustificabile ritardo”. 
Intorno al caso Cucchi si crea dunque una voragine di dimensioni imprevedibili, che coinvolge anche alti ufficiali dell’Arma, finora indagati, che hanno preferito il silenzio. 
Nelle ultime ore questo silenzio è rotto dalla dichiarazione dell’agente penitenziario accusato di essere lui in prima persona il responsabile della morte del geometra romano, e poi successivamente assolto:”Non perdono i carabinieri di Cucchi, mi hanno mandato al  macello da innocente”. “Tedesco (il vice brigadiere che ora accusa i suoi colleghi n.d.a) ora si scusa, ma è lo stesso militare che venne in aula a testimoniare contro di noi dipingendoci come aguzzini.” 
Drammatiche le conclusioni dell’agente: “Io ora, scoprendo quello che è successo, tutto quello che c’era dietro alla morte di Stefano Cucchi, mi chiedo come mi sono salvato. Come sono riuscito a venire fuori da questa trama di depistaggi, falsi, calunnie. Non parliamo di un carabiniere di periferia, qui ci sono anche pezzi grossi dell’Arma coinvolti”. 

Chi parla è l’assistente capo della polizia penitenziaria Nicola Minichini, imputato insieme ad altri due colleghi nel primo processo Cucchi. Scenari che fanno rabbrividire.

sabato 6 aprile 2019

"NON C'E' GIUSTIZIA, NON C'E' CERTEZZA DELLA PENA"



                         

La rassegnazione dei familiari delle vittime, al corteo per ricordare i dieci anni dal terremoto dell’Aquila, suona come un terribile atto di accusa. Non c’è stata una sola persona che abbia espresso un minimo di fiducia o di speranza nei confronti della magistratura, quella magistratura in grado di indagare, di accertare, di punire i colpevoli ma che non ha fatto praticamente nulla per le gravi carenze riscontrate dagli esperti nelle strutture degli edifici crollati come fuscelli nel sisma del capoluogo abruzzese.
E’ questo oggi il vero problema, il problema dei problemi: mettere i magistrati nella condizione di adempiere fino in fondo ai loro sacrosanti doveri e di dare risposte certe, non elusive o parziali, a chi ha perduto familiari o amici quella notte di dieci anni fa. 
Nessuno può dire, peraltro, che non fosse noto il grado di pericolosità di quelle zone, esposte al rischio sismico continuamente. Allora, ci si chiede, perché la casa dello studente e tanti altri edifici non avevano i necessari requisiti che la scienza e la tecnologia oggi mettono a disposizione? Perchè tanta leggerezza? Quanti interessi hanno determinato il risparmio nell’uso di materiali idonei a garantire una sicurezza vera?
Domande inevitabilmente senza risposta che sono di per sè un’accusa, pesante quanto un macigno.