venerdì 20 novembre 2020

QUELL'ORRIBILE 23 NOVEMBRE


                              


     Un pacco di giornali per terra (foto R. De Rosa- riproduzione riservata)


Niente più di questa foto, e del titolone in prima pagina del Corriere della Sera, fa riflettere su una tragedia senza paragoni: quel 23 novembre di quarant’anni fa, ormai passato alla storia. 

Non servono commemorazioni e meno che mai passerelle rassicuranti per dire di stare tranquilli, tanto c’è chi vigila su ciascuno di noi. Occorre sapere e riflettere, appunto, su una delle catastrofi piombate addosso a questo  Sud eternamente in ginocchio. 

Il terremoto di magnitudo quasi sette fece sollevare enormi colonne di acqua  dai laghi di Monticchio, i primi a risentire dello scivolamento della faglia sotterranea che era proprio lì sul confine tra Basilicata e Irpinia. Un fenomeno mai registrato a memoria d’uomo.

Case distrutte, macerie ovunque, e poi la disperazione della gente ed il pianto di chi aveva perduto familiari, amici, parenti. Scene che non cancellerò mai dalla mente e che si susseguirono per mesi e mesi, esattamente come le scosse diventate quasi una consuetudine. 

Negli studi Rai di via della Pineta, a Potenza, spesso il pavimento cominciava a tremare  proprio mentre si andava in onda o mentre s’intervistava un ospite in tv. Eppure nessuno di noi scappava via, completamente presi dall’esigenza di informare. O, meglio, di testimoniare al Paese quella realtà sotto gli occhi di ciascuno. 

Oltre ai vari TG, sulla scena della cronaca era sempre presente il Giornale Radio Rai con Salvatore Dagata direttore del GR1 e Alberto Severi suo vice. Oltre a Gregorio Donato e Aldo Bello in redazione. 

Oggi, mentre si susseguono le locandine per annunciare eventi a distanza, causa Covid, è opportuno ricordare la ricerca dell’Università di Napoli, pubblicata da Einaudi qualche mese dopo all’incirca, in cui si valutavano non solo i danni del sisma e la prospettiva della ricostruzione, quanto l’esigenza del consolidamento degli abitati, unanimemente riconosciuta da studiosi e geologi come l’unica risposta valida in grado di dare garanzie per il futuro. 

Quella ricerca è oggi finita nel nulla. Ben pochi mostrano di ricordarla; in tanti la ignorano. Eppure rappresentava uno sforzo concreto per fornire le linee guida di una progettualità destinata a essere l’asse portante di tutto il discorso della ricostruzione del dopo terremoto. 

Il disastro, a cominciare dal crollo della chiesa di Balvano, fu provocato in larga misura dal tessuto urbano del tutto fatiscente. 

Un interrogativo si fa pressante in questi giorni della “ricorrenza”. Cosa è accaduto in questi quarant’anni proprio nelle località in cui la forza distruttrice del sisma aveva spazzato via tutto o quasi tutto oltre alle tante vite umane alle quali va il pensiero e la preghiera di ciascuno. 

Tutto quanto è accaduto, nel bene o nel male, non serve a ripagarci degli effetti devastanti di una tragedia di quelle proporzioni, ormai scolpita nella mente di chi la visse e ha continuato per lungo tempo a viverla.   

                                                                


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