mercoledì 25 novembre 2020

PAESTUM, DALLA FESTA NASCE UN PROGETTO

                                 

                          Turisti di Satriano a Paestum



La grande festa d’estate del  23 agosto scorso con il viaggio a Paestum di un folto gruppo di abitanti di Satriano, il piccolo centro del Melandro, sembra voglia sortire più di un effetto positivo: non si è trattato di una semplice gita fuori porta  ma di un appello, per quanto involontario forse, a mettere insieme le due realtà - Cilento e Appennino lucano - con i rispettivi parchi nazionali e le grandi potenzialità finora per buona parte non espresse.

Del resto l’austerità di chi, nonostante la giornata di caldo estivo, ha voluto indossare in quella circostanza  l’abito lungo delle grandi occasioni sta a sottolineare l’importanza dell’iniziativa. Un invito a fare della Basilicata occidentale l’elemento cardine di una maggiore saldatura con la provincia di Salerno che ha radici profonde. Vale a dire l’antica Lucania e la Magna Grecia di cui i lucani di ieri e di oggi sono parte integrante.

La circostanza del viaggio a Paestum, la visita  alla zona archeologica e l’interesse più o meno manifesto per le ricerche in atto in un vasto territorio hanno riscosso finora molti consensi, a cominciare dal punto di vista del Direttore dell’area di Paestum e Velia, Gabriel Zuchtriegel, che ha avuto modo di esprimersi positivamente sulla possibilità di un legame più stretto con la Basilicata del nostro tempo.

Non solo, sull’argomento interviene anche Franco Bruno, saggista e studioso trapiantato a Milano con il fratello Giancarlo, ingegnere ed esperto di grandi competizioni internazionali come la Formula Uno. Bruno sottolinea l’importanza di questo evento per parlare di un turismo culturale, non di élite, non per pochi. Ma fatto di contenuti e di messaggi alle due regioni, Basilicata e Campania, perché si crei un concetto diverso di quello sviluppo possibile, a lungo atteso e fortemente auspicato.

Dal canto suo, il sindaco di Satriano, Umberto Vita, parla di una possibilità di rafforzare il legame tra le due aree protette e di consolidare gli sforzi per porre l’Appennino allo stesso livello del più fortunato Cilento. Un obiettivo da non mancare se si pensa che la crisi del Parco nazionale dell’Appennino lucano, Val d’Agri Lagonegrese sta diventando insopportabile e deleteria, con la Comunità del parco allo sbando e le popolazioni del tutto disorientate, per giunta in un delicato momento di pandemia da Covid. 

Che fare dunque? La Basilicata deve puntare a inserirsi in questo filone, appunto un turismo di qualità, che metta insieme e non divida. Non introduca distingui ma spenda più di uno sforzo per sentirsi parte attiva in questa operazione rivolta al futuro delle due realtà. 

venerdì 20 novembre 2020

QUELL'ORRIBILE 23 NOVEMBRE


                              


     Un pacco di giornali per terra (foto R. De Rosa- riproduzione riservata)


Niente più di questa foto, e del titolone in prima pagina del Corriere della Sera, fa riflettere su una tragedia senza paragoni: quel 23 novembre di quarant’anni fa, ormai passato alla storia. 

Non servono commemorazioni e meno che mai passerelle rassicuranti per dire di stare tranquilli, tanto c’è chi vigila su ciascuno di noi. Occorre sapere e riflettere, appunto, su una delle catastrofi piombate addosso a questo  Sud eternamente in ginocchio. 

Il terremoto di magnitudo quasi sette fece sollevare enormi colonne di acqua  dai laghi di Monticchio, i primi a risentire dello scivolamento della faglia sotterranea che era proprio lì sul confine tra Basilicata e Irpinia. Un fenomeno mai registrato a memoria d’uomo.

Case distrutte, macerie ovunque, e poi la disperazione della gente ed il pianto di chi aveva perduto familiari, amici, parenti. Scene che non cancellerò mai dalla mente e che si susseguirono per mesi e mesi, esattamente come le scosse diventate quasi una consuetudine. 

Negli studi Rai di via della Pineta, a Potenza, spesso il pavimento cominciava a tremare  proprio mentre si andava in onda o mentre s’intervistava un ospite in tv. Eppure nessuno di noi scappava via, completamente presi dall’esigenza di informare. O, meglio, di testimoniare al Paese quella realtà sotto gli occhi di ciascuno. 

Oltre ai vari TG, sulla scena della cronaca era sempre presente il Giornale Radio Rai con Salvatore Dagata direttore del GR1 e Alberto Severi suo vice. Oltre a Gregorio Donato e Aldo Bello in redazione. 

Oggi, mentre si susseguono le locandine per annunciare eventi a distanza, causa Covid, è opportuno ricordare la ricerca dell’Università di Napoli, pubblicata da Einaudi qualche mese dopo all’incirca, in cui si valutavano non solo i danni del sisma e la prospettiva della ricostruzione, quanto l’esigenza del consolidamento degli abitati, unanimemente riconosciuta da studiosi e geologi come l’unica risposta valida in grado di dare garanzie per il futuro. 

Quella ricerca è oggi finita nel nulla. Ben pochi mostrano di ricordarla; in tanti la ignorano. Eppure rappresentava uno sforzo concreto per fornire le linee guida di una progettualità destinata a essere l’asse portante di tutto il discorso della ricostruzione del dopo terremoto. 

Il disastro, a cominciare dal crollo della chiesa di Balvano, fu provocato in larga misura dal tessuto urbano del tutto fatiscente. 

Un interrogativo si fa pressante in questi giorni della “ricorrenza”. Cosa è accaduto in questi quarant’anni proprio nelle località in cui la forza distruttrice del sisma aveva spazzato via tutto o quasi tutto oltre alle tante vite umane alle quali va il pensiero e la preghiera di ciascuno. 

Tutto quanto è accaduto, nel bene o nel male, non serve a ripagarci degli effetti devastanti di una tragedia di quelle proporzioni, ormai scolpita nella mente di chi la visse e ha continuato per lungo tempo a viverla.   

                                                                


mercoledì 18 novembre 2020

L'OROLOGIO HA RICOMINCIATO A SCANDIRE IL TEMPO


                        




L’orologio della Prefettura di Potenza è rimasto a lungo bloccato con le lancette su quell’ora tragica, le 19,34 di domenica 23 novembre 1980. Poi ha ripreso a funzionare di nuovo, a scandire le ore e i giorni  esattamente come la gente, decisa a voltare pagina, a rimettersi in moto. Ieri come oggi.

Il Covid oggi, per un verso, e dall’altro il terremoto di quarant’anni fa che gettò nel baratro Basilicata e Campania: due eventi, l’uno speculare all’altro sebbene diversi per dimensioni.

C’è da dire tuttavia che il sisma del 23 novembre 80 rimane, come la pandemia, un punto di svolta e non soltanto per le aree direttamente colpite.

Un elemento che ha fatto cambiare vita nel giro di pochissimo tempo alle popolazioni di un Mezzogiorno continuamente alle prese con problemi di crescita e di sviluppo.

Tra le tante domande, una sembra destinata a essere inevitabile. Qual è stato e qual è oggi il ruolo di una città come Potenza, capoluogo della Basilicata messa a dura prova ieri dal sisma e oggi dal virus, in questo dopo 2019 testimone della dimensione europea di Matera capitale della cultura. 

La cultura appunto, un dato di fatto destinato a investire i metodi di governo e non solo il modo di essere della gente, i suoi orientamenti, le scelte individuali e collettive. 

La ripresa è un dato di fatto fisico, ma al tempo stesso  psicologico, morale, culturale appunto. Per questo appare ancor più complessa.

A sentire Stefania d’Ottavio, assessore alle attività produttive, al centro storico e alla cultura di Potenza si percepisce il senso di un voler fare che nasce dall’idea di base legata al ruolo che la città non può non assumere, oggi, quarant’anni dopo la tragedia, a voler misurare le distanze tra passato e presente.

“Potenza si è fatta trovare impreparata,” osserva con il piglio di chi intende mettersi all’opera e costruire assolutamente qualcosa di vero. Poi parla di un associazionismo che dovrebbe convogliare energie alla città per una svolta, intendendo un obiettivo del genere come un momento inevitabile. Un passaggio in grado di dare autorevolezza, anzitutto all’intero contesto sociale. 

Di qui l’idea di un progetto triennale per la cultura a Potenza. Sullo sfondo la città estesa, come la definisce.

In questa vigilia della scadenza del 23 novembre Stefania D’Ottavio preferisce parlare di tutto quanto non è cambiato perché “non sono cambiate cose che invece dovevano realmente mutare in tutti i sensi” sostiene l’assessore alla cultura che considera il ricordo della tragedia un elemento dotato di una forza intrinseca. Non la semplice rievocazione di una data, quanto un gesto doveroso per il suo significato, nella prospettiva concreta del domani. 

domenica 15 novembre 2020

SCIENZA E INNOVAZIONE PER MATERA DEL DOPO 2019


                            

                   Il Centro di Geodesia Spaziale a Matera


Nella tempesta della pandemia Matera scorge una concreta possibilità di ripresa, simile alla luce in fondo al tunnel. Questa prospettiva riguarda molti settori, quelli maggiormente trainanti rappresentati dal turismo di qualità, dal patrimonio artistico e culturale. Ma anzitutto dalla scienza che pone la città in una posizione d’avanguardia nel campo della ricerca spaziale e della osservazione dell’universo. Aspetto poco affrontato nel corso dell’anno “magico” ormai alle spalle. 

Francamente non è poco se si pensa che il 2019, l’anno della città capitale europea della cultura, ha riscosso una gran mole di consensi che oggi sembrano orientarsi verso nuovi approdi e nuove capacità di lettura dell’esistente.

Città all’avanguardia, dunque. Rimane in piedi tuttavia un rischio: se certi primati in vari campi non vengono alimentati da un sostegno quotidiano, fatto non solo di investimenti ma di un marketing di alto profilo in campo italiano e internazionale, potrebbe verificarsi una perdita di interesse da parte di chi punta tutto ormai sulla scommessa : Matera città del futuro, capace di competere con le varie realtà e di guadagnare nuovi primati.

In questa ottica s’impongono altre categorie di analisi al di là di quelle utilizzate finora. Sicuramente il senso della svolta sta tutto nel temperamento dei materani stessi, nella loro vocazione a fare imprenditoria in certi settori. Nella capacità di essere lucani e proiettati verso un futuro  innovativo. Il futuro della sfida a tutto campo, in effetti. 

Roberto Cifarelli, materano e consigliere regionale oltre a essere un osservatore privilegiato di questo dopo 2019, parla di una insufficienza del governo regionale che “manca di dare sostegni alla Fondazione. Insufficienza - sostiene - tale da precludere ulteriori sviluppi e la stessa prosecuzione di un’attività di grande respiro storico, culturale artistico svolta sin dagli anni che hanno preceduto l’epoca di Matera capitale europea della cultura.”


Il ruolo trainante della scienza, che ha, se non sovvertito, sicuramente rimodulato la fisionomia della città ha trovato poco spazio nel 2019. Eppure si tratta di un aspetto decisivo che caratterizza Matera dei nostri giorni. Non di una questione di secondo piano.


“Andrebbe definito un piano strategico regionale, ma purtroppo in regione non c’è idea. Bisognerebbe capire come ci si vuole muovere. Certo dei ritardi si registrano anche da parte di Matera. L’esperienza di Telespazio e del Centro di geodesia spaziale sulla Murgia materana va messa in primo piano. Quando ho fatto parte della compagine regionale di governo abbiamo finanziato le opportunità di ricerca, compresa quella del Centro di geodesia. Queste cose purtroppo non sono all’interno di una strategia complessiva di sviluppo.”


Quale sarà in un prossimo futuro il destino di Matera?


“La strada è stata tracciata, a cominciare dagli anni Cinquanta. Basti ricordare tutto l’iter seguito dalla legge sui Sassi, dalla 771 del 1986, compreso il parco della Murgia Materana. Credo che  il percorso è stato indicato in maniera chiara e indelebile. Ma per proseguire in questo itinerario occorrono persone in grado di volerlo fare. 

Matera 2019 ha segnato molto i materani, nel senso che la rassegnazione non è più di casa. I giovani sanno che si possono intraprendere nuove attività, lo sanno anche i loro genitori. Andare avanti dipende da scelte politiche ben precise, fondamentalmente, non vi è alcun dubbio.”    





mercoledì 11 novembre 2020

PARCO DEL VULTURE, APPELLO DEL SINDACO DI MELFI VALVANO



                      

Le cime del Vulture (Foto R. De Rosa - riproduzione riservata)


Il Consiglio regionale della Basilicata ha bocciato la decisione di cinque sindaci del Vulture che avevano avanzato ciascuno la propria candidatura a Presidente del parco regionale. Non sarebbero state osservate le necessarie prescrizioni perché le proposte potessero essere considerate valide e seguire quindi il normale iter.

Un altro ostacolo per il decollo dell’area, dopo mille vicissitudini che da trent’anni ostacolano la valorizzazione di uno tra i territori di maggiore interesse paesaggistico, storico, ambientale e scientifico dell’intero Meridione e non della sola Basilicata.

Livio Valvano, primo cittadino di Melfi, lancia un appello ai suoi colleghi e alle forze politiche perché si attivi un percorso che porti alla scelta di un Presidente e degli organi del parco, fondata esclusivamente su criteri di competenza e di attitudine al governo dell’area protetta.

Nove i centri all’interno del perimetro. Un enorme bagaglio di biodiversità e un patrimonio storico che racchiude testimonianze importanti. 

“Il Vulture al centro dell’Appennino: la via Appia lo attraversa. I regi tratturi e la via Herculia - precisa Valvano -  sono elementi di grande spicco. Presenze come quelle dei Longobardi, dei Bizantini che edificarono la città fortificata di Melfi rappresentano un dato di rilievo. Ecco dunque la valenza della zona e la conseguente decisione di istituire un parco che dia slancio a un patrimonio da non sottovalutare.” 

A condividere questa impostazione anche l’ex sindaco di Rionero, già parlamentare, Antonio Placido. Bisognerebbe azzerare tutto e partire da zero. Questa la sua opinione.     

Partire da zero, appunto. Il Vulture ha bisogno di decisioni efficaci evitando rinvii e lungaggini politico burocratiche. Il parco non è un carrozzone da mettere in piedi. Ma un obiettivo all’interno del quale esistono sollecitazioni e tanti interessi. Si parla di oltre mille posti di lavoro nel turismo, considerando che Monticchio è davvero un unicum da rilanciare con determinazione, spazzando via la baraccopoli di bar e ristoranti spesso abusivi e tutta la zavorra che appesantisce una realtà in questi anni largamente sottovalutata. Se non addirittura emarginata, nonostante rappresenti il fiore all’occhiello di una Basilicata dalle mille risorse.           

lunedì 2 novembre 2020

L'INARRESTABILE CRISI DELL'APPENNINO LUCANO


           


Il Parco Nazionale Appennino Lucano

 
Capita spesso di chiedersi quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo dei Parchi, sia nazionali che regionali. Aree protette di grande valenza, per la tutela dell’ambiente e degli abitanti, oltre allo sviluppo compatibile.

Nel caso dell’Appennino lucano, anch’esso Parco nazionale a tutti gli effetti, la risposta non esiste. Si, perché da sempre l’area protetta istituita nel 2007, dopo un lungo e tormentato itinerario, non ha fatto nessun passo avanti. E ora è allo stremo.

Da luglio le dimissioni del presidente della Comunità del Parco, l’organo collegiale che segue da vicino e ispira le scelte in materia di salvaguardia e crescita economica , hanno sancito la totale paralisi di qualunque attività proiettata nel futuro. 

Cesare Marte ravvisò, infatti, l’impossibilità di presiedere l’organismo composto dai comuni e dalle realtà presenti sul territorio. Di qui la scelta di gettare la spugna. Decisione non condivisa da molti ma tuttavia in grado di aggiungere paralisi alla paralisi. 

Ora, a distanza di oltre tre mesi dalle dimissioni di Marte, il Vice Presidente, Gaetano Pandolfi, sindaco di Gallicchio, si sforza di trovare un elemento di condivisione che superi la crisi in atto e avvii l’Appennino almeno verso una parvenza di normalità, se non altro.  

Frattanto il parco diventa un deserto. Personale inesistente perché comandato altrove. Contrasti che hanno messo a dura prova le funzioni del direttore, affidate pro tempore all’avvocata Simona Aulicino, con lo scopo di salvaguardare almeno la gestione degli affari correnti. Risultato: la direttrice si è dimessa.

Comuni e sindaci in disaccordo anche sul ruolo di tutela ambientale nei confronti del delicato e rischioso capitolo petrolio. Oltre che sulla rappresentanza nel Direttivo. Un elemento questo in grado di spaccare la stessa Comunità e di privarla di quella forza propulsiva, necessaria per varare decisioni democratiche e concordate.  

Sullo sfondo, anzi in prima linea,  si colloca il Presidente - Commissario straordinario, Giuseppe Priore. Commissario in quanto la nomina del Ministro non è stata ancora ratificata dal Direttivo inesistente allo stato. 

Intanto la Regione Basilicata e il Ministero dell’Ambiente dovrebbero essere interlocutori autorevoli. Probabilmente lo sono ma con quali risultati? Francamente impossibile stabilirlo se si considera il progressivo e inarrestabile degrado in cui versa il Parco sin dall’inizio.

E dire che dell’Appennino (in prima battuta definito  Parco nazionale Val d’Agri) si discute dal 1988, quando la Finanziaria di quell’anno lo propose in alternativa al Delta del Po. Pessima alternativa, a giudicare da ciò che è accaduto fino ad oggi tra guerre interne, contrasti e questioni di potere da tutelare nonostante si dichiarino obiettivi ben diversi. 

Per giunta a tredici anni dalla legge istitutiva il Piano del Parco, importante strumento di governance, redatto da una società di Roma, giace non si sa bene in quali cassetti.   

Si tratta ora di verificare se si riuscirà a trovare un’intesa almeno sulle questioni più urgenti, come annuncia il Vice Presidente della Comunità, Gaetano Pandolfi, con l’intento di evitare al Parco una crisi irrisolvibile, comunque legata a mille fattori e non solo alla vicenda della Comunità. Il lavoro dii Pandolfi prosegue ormai da giorni, ma nessuno è in grado di pronunciarsi sui possibili risultati di una mediazione quanto mai difficile.