domenica 24 gennaio 2021

POLLINO, LA LIBERTA' CHE LA MONTAGNA CI OFFRE

  

                               

                            La Serra del Prete al disgelo



Ritorna una domanda, ora in particolare: quale ruolo hanno i parchi e le aree protette nella interminabile vicenda della pandemia. 

Il tema è assolutamente di primo piano e non certo secondario, considerata la voglia di vita libera che il virus sembra negarci ogni giorno. 

La scorsa estate il Pollino ha fatto registrare un sensibile incremento di visitatori rispetto agli anni precedenti,  per la sua spiccata valenza ambientale e storica. Ma prima di tutto  per la crescente domanda di spazi qualificati, in cui la natura si mostra capace di dare agli uomini il meglio di sé.

In questa ottica il Presidente Domenico Pappaterra progetta una fruibilità diversa per il parco nazionale più esteso d’Europa, a cominciare dalle infrastrutture che incidono sull’accoglienza, senza escludere le dotazioni per la montagna avendo alla base il rapporto con i protagonisti: ristoratori, albergatori, naturalmente le guide dalle quali dipende per buona parte quel turismo di qualità, più volte esaltato e anzi considerato come un punto di partenza necessario per aprire al massiccio calabro lucano nuovi orizzonti. 

Una sentieristica completa, esauriente è alla base di tutto per favorire la presenza degli escursionisti ma anche dei visitatori occasionali. 

Presidente Pappaterra, quale sarà il ruolo delle alte quote, destinate a essere una risorsa per gli appassionati della montagna, i cultori dello sci alpinismo d’inverno. Delle camminate con le ciaspole sulla neve.


“Intendiamo dare al Parco nuove e significative opportunità, accompagnando il visitatore nei mille luoghi da favola che la montagna ha, sia d’estate ma soprattutto d’inverno quando la neve conferisce al paesaggio un tocco magico, lo trasforma, lo rende a misura dei sogni di tante persone in cerca di momenti insostituibili di una vita autentica, lontano dal chiasso e dalla confusione delle città.”


C’è poi la storia della montagna, dei suoi luoghi supremi: la Grande Porta, la Serra delle Ciavole, il Colle Gaudolino  con la sorgente Spezzavummola, per fare soltanto qualche esempio. 

Lì approdò nel 1807 un ufficiale francese, Duret de Tavel, che fece del Pollino una creatura “a sua immagine”, esaltando la bellezza dei luoghi e il fascino struggente delle valli, dei pendii. 

La società tedesca Rueping disegnò negli anni Quaranta nuovi scenari con i grandi disboscamenti. Ma questo è un altro capitolo.


“Certo, un patrimonio da non disperdere. Anzi da mettere a frutto sia ora, con l’incalzare della pandemia, sia in tempi più sereni quando andremo a riflettere su ciò che il virus ha irrimediabilmente compromesso e su ciò che ci rimane ancora da valorizzare, avendo ben presente il rapporto con le popolazioni locali delle due regioni Basilicata e Calabria, protagoniste in questi anni della svolta.

Sarà quello il momento della verità, con una esplosione di natura paragonabile in tutto e per tutto al riappropriarci di certi valori. Tra questi la libertà che la montagna sa offrirci. Sempre.” 

All’interno delle aree protette, non solo nel Mezzogiorno, il Pollino ha una funzione guida. In questo ambito il ruolo delle due regioni, Basilicata e Calabria, è imprescindibile, e costituisce un vero punto di forza nel rapporto del territorio con la realtà nazionale. Un obiettivo, quest’ultimo, da considerare strategico a tutti gli effetti. 


     


venerdì 22 gennaio 2021

RITORNO A PAESTUM


                           
                   
             Le torri dell'antica Elea (foto R. De Rosa riproduzione riservata)


L’abito lungo con i colori dell’estate, dal giallo vivo a un rosso quasi porpora, che la “mascotte” del gruppo dei satrianesi alla scoperta dei tesori di Paestum indossava quel 23 agosto dello scorso anno, voleva essere il presagio di una svolta per l’intera area risorta ad un nuovo splendore nonostante la pandemia. Così é stato, infatti. 
L’abito lungo di sicuro effetto (non era quello di Lady Gaga il giorno dell’insediamento di Biden) ebbe comunque un bel significato e ne parlarono tutti, non solo nel paesello del Melandro, Satriano di Lucania. Una scelta estetica per esaltare le peculiarità dell'ambiente.
In questi giorni il direttore del parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha annunciato la netta ripresa dei capisaldi dell’archeogia e della ricerca con una serie di novità di sicuro interesse scientifico riguardanti appunto i due territori della Magna Grecia, Paestum e Velia dove gli esperti continuano a indagare sul passato e sulle caratteristiche di un’epoca davvero straordinaria. 
Per giunta sono state consegnate al Museo oltre duecento monete antichissime che un ignoto cultore aveva trafugato e soltanto ora le ha consegnate al prete in confessione. Un ladro pentito, buon segno. E in concomitanza con la restituzione delle preziose monete si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione per fare avanzare i progetti di crescita di Paestum e Velia. 
I colori dell’abito, semplice ma austero, della signora “mascotte” hanno fatto tuttavia da contraltare ad un’altra presenza significativa nel viaggio a Paestum. Si tratta di Niko, romeno ma lucano d’adozione, fuggito dalla Romania del dittatore Ceausescu, giustiziato con la moglie trent’anni fa. Una presenza da non sottovalutare tra le testimonianze del passato che parlano di storia e di cultura. Ma anche del presente. Ecco perché sembra inevitabile un ritorno a Paestum del gruppo di Satriano, il centro della Basilicata conosciuto per i murales, anche questa una vera espressione artistica. Una voglia di rinascere e far vivere quella inevitabile volontà di ripresa in uno dei momenti peggiori della storia. 



Inviato da iPhone

mercoledì 6 gennaio 2021

NOI AL SERVIZIO DI ELK RIVER


                            




La pubblicazione della mappa dei siti candidati a ricevere il deposito nazionale di scorie radioattive è soltanto una tappa nell’interminabile cammino del nucleare italiano, punteggiato di mille incertezze e di altrettante operazioni condotte in gran segreto per decenni da chi è preposto all’opera ciclopica di decommissioning che costerà al Paese la modica somma di 900 milioni di euro oltre alla spesa degli anni scorsi. Così come Scanzano nel 2003 fu un altro dei tanti punti di arrivo e di partenza nella vicenda della “sistemazione” delle scorie che cova da tempo.  

Rimane in piedi tuttavia un dato sconcertante, a dir poco: i potenziali siti nell’area lucana e pugliese sono situati tutte in zone a elevato rischio sismico, a cominciare da quelle del potentino per finire alla Murgia materano pugliese, e non solo. Non è una novità.

Il nucleare nel Mezzogiorno ha radici antiche, tutte immerse nel mistero più fitto. A tratti squarciato da qualche timida rivelazione, pronunciata a denti stretti, da chi aveva e ha tuttora le mani in pasta. 

Ricordo nei primi anni Ottanta le mie visite sporadiche in Trisaia, a Rotondella sulla costa lucana dello Jonio,  alla ricerca di uno straccio di notizia e di qualche informazione che potesse in certo modo far luce nel buio pesto dei mille silenzi. Fin tanto che a svelare alcune verità fu un libro strabiliante, edito da Einaudi, con un titolo altrettanto forte e sconvolgente: Il costo della menzogna, Italia nucleare 1945 - 68  di Mario Silvestri. 

In quel libro è raccontata tra l’altro la storia della nascita della Trisaia e dell’impianto Itrec, una sigla fino a ieri praticamente sconosciuta ai più: l’Itrec è l’impianto per il trattamento e il riprocessamento del combustibile nucleare esausto che con una procedura chimico fisica riattiva le barre di combustibile. La potente struttura è stata poi al centro di una inchiesta avviata negli anni Ottanta dal Procuratore della Repubblica di Matera dell’epoca, Nicola Maria Pace, in cui sono inserite le conclusioni di un pool di esperti, guidati dall’allora capitano dei carabinieri Zaccaria, che definì l’impianto Itrec un illecito, per il modo con cui era stato gestito, tranne che per qualche mese - fu precisato - sotto la guida dell’ing. Simonetta Raffaele. 

Da dove prese il via l’idea di questo santuario del nucleare a due passi dal mare? Il tutto nacque da una offerta del Governo italiano dell’epoca agli States di inviare le navi sulla costa del Pacifico per prelevare le barre esauste nella centrale di Elk River nel Minnesota, trasportarle a Taranto e di lì a Rotondella. Percorso inverso per riportarle negli Usa. 

Tragitto pericolosissimo. Cosa sarebbe accaduto se le navi  con quel carico di morte e distruzione fossero affondate o avessero avuto un incidente nel percorso?   

Questa è storia di ieri, sempre attuale ovvio. Oggi ritorna l’incubo del deposito nazionale di scorie radioattive in Basilicata, con la netta opposizione della Regione, mentre l’onda lunga della condanna per il NO scorie circola in alcune trasmissioni, a cominciare da Tra poco in edicola, su Rai Radio Uno, dove i lucani insorti nel 2003 contro la scelta del deposito a Terzo Cavone, sullo ionio, sono stati considerati degli irresponsabili o, meglio, degli insensati fuori dal mondo. La critica di alcuni personaggi altolocati si abbatte anche sui titoli dei giornali e sui politici contrari al deposito in questa regione del Mezzogiorno, il più grande serbatoio di greggio in terra ferma in Europa. Questo sfugge a lor signori. La Basilicata ha per giunta due zone ad altissimo tasso di inquinamento inserite nella mappa nazionale dei siti da bonificare. Quando?

Una regione, fiore all’occhiello per le sue risorse ambientali, per la sua storia, capitale europea della cultura per il 2019 rischia di diventare una pattumiera nazionale con la perdita di tutte le sue peculiarità e del suo futuro. Sarebbe una rinuncia all’identità di una terra, una pericolosa e ignobile manipolazione. 

 

  

  

sabato 2 gennaio 2021

ROHANA, LA SUA LOTTA CONTRO IL VIRUS


                      

                                                


                  

“Aspettando la sera” per vedere tramontare questa terribile pandemia. Non solo la poesia, schierata  per combattere il virus, ma anche la musica con la sua intensità e il suo linguaggio: la voce di una cantante lucana che lancia un appello per uscire dal tunnel buio di una crisi senza precedenti.

“Dare serenità e pace partendo dallo spirito” scrive Pasquale Menchise, direttore d’orchestra che vive questo momento raccordandosi ai grandi eventi della musica internazionale. E’ l’obiettivo di Rohana impegnata a rilanciare il suo Aspettando la sera un lavoro che punta a sconfiggere le tenebre del Covid per aprire nuovi orizzonti, forse inesplorati, ma pieni di una vitalità in grado di far sperare e far credere nel domani, operazione possibile, anzi necessaria per Rohana impegnata a capire quali scelte compiere per rendere possibile la lotta al virus, partendo appunto dal suo canto. Che non è semplice distrazione da una quotidianità difficile e dura. Ma rappresenta ben altro. Davvero un impegno.

Non è un caso se il primo dei brani ha un titolo perfettamente in linea con gli orizzonti del recupero di una normalità, graduale ma piena, per lasciare alle spalle la notte del virus. Il primo motivo del suo album è infatti Un raggio di sole eseguito con la sua voce inconfondibile, piena di ritmo. Forte come il tam tam che ci spinge a credere in un domani diverso e ci impone di farlo.

Ecco dunque il ruolo della musica in un frangente delicato e difficile, come quello disegnato dall’anno ormai concluso. La forza degli artisti è essenziale. Rappresenta una spinta della quale non possiamo privarci, per battere il virus anzitutto nelle coscienze. Dentro ciascuno di noi. Ed è quello cui mira Rosanna Pecoraro, in arte appunto Rohana.