domenica 26 febbraio 2012

LICENZIATI DALLA FIAT NON SALITE A BORDO, C.!


Il fotografo Tony Vece segue dai cancelli della Fiat la vertenza dei tre licenziati. foto R.De Rosa

Come finirà la vicenda dei tre licenziati dalla Fiat di Melfi che la fabbrica non intende riassumere, nonostante la sentenza della Corte di Appello di Potenza? Due le ipotesi: la casa torinese riuscira' con il ricorso in Cassazione a riformare la sentenza, magari per un vizio di forma o un cavillo giuridico, giacche' in via di fatto ormai le cose non sono in discussione. O piuttosto i tre operai, nel caso di un esito favorevole , saranno stipendiati a vita e costretti a rimanere a casa. Ipotesi inquietanti entrambe, che certo non hanno molti precedenti nella storia della Fiat e nelle casistiche delle norme relative all'applicazione  dell'ormai noto articolo 18 che si tenta di abolire per favorire investimenti e nuova occupazione dice il governo. 
In un caso o nell'altro la Fiat, che reca ancora impresso il marchio della famiglia Agnelli, non esce bene da questo braccio di ferro e non ha certo molto da guadagnare dal punto di vista dell'immagine e di una pubblicita' molto negativa. Potra' guadagnare soltanto grazie ad una sorta di altola' ai lavoratori per evitare in futuro una conflittualità esasperata o eccessiva. Ma questo conta molto poco. 
E' stato osservato che la sentenza per i tre di Melfi cade proprio nel bel mezzo del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro, di cui la vicenda rischia di diventare una specie di dimostrazione assai negativa sia per l'opinione pubblica, sia per chi dovra' rimuovere dalla legge 20 maggio 70 n. 300 (lo Statuto dei Lavoratori) proprio l'ingombrante articolo 18. Difatti si parla sempre piu' di una riforma in senso generale e sempre meno dell'abolizione di quell'articolo  che mira a evitare, tra l'altro, licenziamenti discriminatori nel caso di imprese con piu' di quindici dipendenti. 
All'epoca della approvazione in Parlamento questa legge divenne il fiore all'occhiello per un Paese civile ed evoluto, rispettoso della dignità dei lavoratori, capace di introdurre nuove regole per evitare il caos dovuto a licenziamenti a catena che si erano verificati nelle aziende dal dopoguerra fino alla fine degli anni Sessanta, spesso provocati da motivazioni di carattere politico. Uno spartiacque di civiltà, insomma, un segno inequivocabile di una ratio politica in cui il Paese (e non solo i sindacati) potessero riconoscersi. Ecco cosa voleva significare le legge 300, che oggi (vi siete accorti?)  non si nomina piu' quasi per esorcizzarla ed evitare che possa provocare un moto di ribellione nell'animo della gente sentendo parlare di abolizione totale o parziale. 
Ora si cambia registro. I tempi sono mutati. La Marcegaglia da' ai sindacati l'appellativo di difensori di ladri e fannulloni e nessuno, nemmeno la Camusso, pensa di querelarla per diffamazione  piu' che gratuita. Incredibile! Vorrei chiedere alla Marcegaglia chi ha difeso tanti imprenditori disonesti giunti nel Mezzogiorno prevalentemente dal Nord, che  hanno rubato i finanziamenti dell'art. 32 della legge 219, la legge per la ricostruzione nelle aree colpite dal disastroso sisma del 1980 della Basilicata e dell'Irpinia. Disonesta' diffusa e dilagante, ma alla quale non si fa neppure cenno.
Certo, questa e' parentesi chiusa. Ora per i licenziati di Melfi si prepara nuova carta bollata, si scrivono i ricorsi da presentare. Si rimette in moto la macchina legale in attesa del pronunciamento della Suprema Corte. Cosa accadra'? Difficile dirlo. Il Presidente Napolitano invito'  la Fiat a  ottemperare alla sentenza di primo grado che reintegrava i tre licenziati nello stabilimento di Melfi. Un dovere nei confronti della legge, davanti alla quale siamo tutti uguali, imprenditori e non. Speriamo che quel monito non cada nel nulla. Almeno questo! Intanto i tre operai sono stati invitati a non salire a bordo. Per loro non c'è posto. Altro che!

sabato 18 febbraio 2012

PER UNA FARFALLINA IN PIU'...



Lo spacco alla gonna di Belen mette il Festival di San Remo a soqquadro. O, meglio, mette la critica a soqquadro con un mucchio di moralisti e perbenisti pronti a vendicare certi sgarbi fatti da Celentano, e attributi magari a Morandi. Se non proprio al festival. O a chissa' chi?. 
Con una lettera aperta al conduttore di San Remo  il blog 27esima ora dice che il Festival 2012 per questo e' indietro rispetto al Paese, accusando la kermesse di avere un impianto vecchio, non attuale, di essere volgare (e 'scritto tra le righe, anche se non vien detto esplicitamente). Insomma una specie di fallimento programmato. 
Possibile che ci si scandalizzi a tal punto? E per così poco? La farfallina dipinta o vera crea insomma scompiglio. Eccome. 
La volgarità certo non può essere approvata. Le cose di cattivo gusto non vanno sostenute non certo per amore di moralismo, quanto per decenza. Il sostantivo decenza proviene infatti dal verbo latino decet, vale a dire si addice. E' idoneo. E' adatto e via discorrendo. 
Il festival e' in ogni caso una competizione tra artisti, tra gente che si proclama libera, non certo per sbeffeggiare la morale corrente, quanto per non essere conformista. Non allineato. Una battuta , d'accordo, sara' anche frizzante ma non esageriamo. Anche i bambini sanno che si dice farfallina amorevolmente, delicatamente. Senza turpiloquio che e' cosa diversa. 
Se il festival e' caduto nella volgarita' anche Rocco Papaleo e' da considerarsi volgare per aver detto merda  e minchiate con vera disinvoltura. Come si dice pane e vino. Giorno e notte! Insomma semplicemente, con un atteggiamento del tutto normale. 
Strano, ci si scandalizza per una farfallina o per le "aperture" di Belen. Ma quanti sono disponibili a scandalizzarsi per molto e molto altro? Ad esempio: per quel mare di corruzione dilagante che proprio nei giorni del Festival la Corte dei Conti ha denunciato e non certo a denti stretti, ma a gran voce, in questa Italia che spesso naviga a vista! L'Italia di Mani pulite, quella di venti anni fa e quella di oggi.  Bene, allora direi scandalizziamoci  tutti per questo. Ma davvero tutti....

domenica 12 febbraio 2012

LA "SCIENZA UFFICIALE" FRENA LA RICERCA: IL CASO DELLA SCLEROSI MULTIPLA

2,7 milioni di euro per finanziare la sperimentazione su un intervento di angioplastica che finora, a detta di molti pazienti, ha contribuito a migliorare nettamente la condizione di tante persone affette da sclerosi multipla. 
Protagonista di uno sforzo, davvero senza molti precedenti,  la Regione Emilia Romagna che ha messo a disposizione la somma di tutto rilievo, anche per altre regioni italiane, con l'intento di valorizzare la scoperta di un gruppo di studiosi. Di cosa si tratta? Questi medici basandosi sui risultati finora conseguiti, ritengono che un intervento di angioplastica sulla giugulare stia facendo migliorare in maniera sensibile la situazione di un numero rilevante di pazienti affetti dalla malattia. I risultati non sono da sottovalutare, informa un articolo scientifico pubblicato dal Corriere.it che ha messo in onda anche una serie di interviste a chi è affetto dalla patologia per sottolineare che non si tratta di una burla, di un inganno per fare soldi e meno che mai di una presa in giro da parte di un gruppo di operatori sanitari in cerca di notorieta'. Secondo il quotidiano on line la scoperta e' nata dalla constatazione di una serie di malformazioni alle arterie nei malati di sclerosi multipla.
Come era prevedibile, si oppongono a questa iniziativa i soliti ambienti ufficiali, detentori della scienza, gli unici titolati a dire si o no a quello che si fa in campo medico sulla pelle dei malati. 

Dal punto di vista etico questa opposizione netta e tracotante non ha molto senso. Una volta accertato che i ricercatori non sono dei cialtroni o dei venditori di fumo, ma persone che operano in strutture pubbliche nell'esclusivo interesse dei malati, e' il caso di assecondare questo sforzo che sta aprendo orizzonti imprevedibili al trattamento di una malattia con pesanti conseguenze sociali. Certo qualcuno vede vacillare la propria poltrona, il senso del primato in campo medico. Vede messa in forse quella "maesta' scientifica" spesso legata a mucchi di interessi e a scelte utilitaristiche. E di precedenti in tal senso ce ne sono fin troppi. 
La regione Emilia Romagna sta dando prova di una straordinaria sensibilità. Assecondare questo sforzo è un dovere, se non altro in ossequio a tante persone che  testimoniano la validità dell'intervento di angioplastica mettendo in prima linea la loro personale esperienza. Un dovere per la società e non solo per chi ha in casa un ammalato destinato a peggiorare giorno dopo giorno. Un esempio di solidarietà che non può venir meno, se si vuole evitare peraltro che ci siano un centro e una periferia della scienza e della ricerca, soprattutto.
Verrebbe da proporre che anche la Basilicata, con i fondi del petrolio e altre risorse, possa collaborare a questo progetto che libera oltretutto la ricerca da lacci e laccioli imposti dall'autorita costituita. Costituita entro certi limiti, poiché davanti ai risultati  nessuno puo' opporsi. Nessuno può frenare. Nessuno ha il diritto di far prevalere logiche baronali sul dinamismo  della medicina e sulla sua capacita' di sfondare finanche barriere che sembravano insormontabili. Sia chiaro: ferma restando la possibilità di accertare fino in fondo la qualità dell' impegno  oltre ad una verifica degli obiettivi di chi lavora in questo delicato settore.
Non dimentichiamo, in ogni caso, la scelta di tanti giovani medici italiani costretti ad emigrare all'estero per non accettare veti incrociati e dictat di ambienti ufficiali e di baroni ostinati a non vedersi superare da chi studia con competenza e dedizione. Un problema antico, questo, destinato a ripresentarsi ogni volta che si discute di scienza e di progresso. Un campo minato,  difficile da sottrarre al monopolio di chi non rinuncia alla sua personale autorità. E di precedenti ce ne sono davvero tanti.

                                                      Rocco de Rosa

lunedì 6 febbraio 2012

A SCUOLA DI COMUNICAZIONE DALL'ENI

Il centro olio di Viggiano (Pz) Foto Rocco de Rosa
Non solo petrolio. Non solo gas. L'ENI conferma la sua vocazione a rappresentare un punto cardine di riferimento nel quadro delle relazioni  internazionali e dei rapporti con stati e governi di tutto il mondo. Oltre che con regioni, comuni e varie realtà presenti sul territorio italiano. 
"Niente di piu' facile, niente di piu' difficile" e' il titolo di un volume in questi giorni in libreria. Due gli autori: Gianni Di Giovanni, capo ufficio stampa a San Donato Milanese (il quartier generale dell'ENI) e Stefano Lucchini direttore della comunicazione.
Un libro che si presenta come un vademecum per chi vuole comunicare. In realtà si tratta di  una finestra aperta sull'universo ENI, sul modo di fare comunicazione, e sui criteri alla base di un dialogo che dura da decenni con interlocutori facili e difficili. Con personaggi dell' alta finanza e delle banche, con gli Stati  Esteri, spesso un ostacolo non semplice da affrontare per l'instabilità politica e le frange di terrorismo che impongono non di rado regole ferree e situazioni problematiche a chi ha a che fare con il petrolio. 
Per capire questo libro bisogna sapersi orientare nel labirinto di San Donato, dove la causa del petrolio dispone di uomini e intelligenze pronti a dare il meglio di se' stessi pur di conquistare obiettivi aziendali considerati irrinunciabili. Uomini e donne che lavorano anche dodici ore al giorno e forse piu'. Personaggi spesso sconosciuti ma che si sacrificano con disponibilità e slancio senza mai invocare regole sindacali o norme a tutela di questo o quel diritto. Un mondo ricco e tutto da scoprire, per quanto non sia facile sapere e conoscere a certi livelli. 
Quanto agli autori, Gianni Di Giovanni, ottimo collega con lo sguardo rivolto h24 ai compiti dell'ufficio che dirige, alle relazioni con la stampa e la Tv, al buon nome del cane a sei zampe, mi riporta alla mente il mio professore, suo omonimo, di Filosofia Morale ai tempi dell'università, e al corso su Herbert Marcuse "Ragione e rivoluzione" . In fondo, se vogliamo, anche l'ENI e' ragione e rivoluzione: ragione nello sfruttamento del sottosuolo. Rivoluzione per i profondi cambiamenti sociali che il petrolio determina, in tutto il mondo. 
Ma la vera mente pensante, anzi il Deus ex machina, e' Stefano Lucchini, braccio destro di Paolo Scaroni nelle scelte dell'ENI in uno scacchiere internazionale. Uomo di profonda cultura finanziaria, approdato a ENI da Banca Intesa, un altro colosso, con collegamenti con varie realtà economiche e culturali e molti apprezzamenti in ambienti cattolici di altissimo livello. In Vaticano non c'è porporato che non lo conosca, se non personalmente almeno di nome e di fama. Per non parlare del suo interminabile curriculum vitae che gli consentirebbe (qualora fosse disoccupato, ipotesi a dir poco lunare...) di entrare in ogni luogo senza neppure interpellare il dg o il capo del personale. E meno che mai il Presidente del CdA. 
Lucchini e' di quei personaggi che non finiscono di sorprendere: avere la fortuna di varcare le soglie del suo studio e' un privilegio per pochi. 
Ma il dato di fondo, considerata la portata degli autori del libro, rimane il carattere politico della comunicazione ENI nella sua proiezione verso mondi e realtà di un peso  che sfugge a chi non abita a San Donato milanese. Cosa rappresenta il petrolio a livello planetario, quali interessi mette insieme e quali scelte riesce a scongiurare. A esorcizzare. A neutralizzare. Ecco la questione che il libro pone, direttamente o indirettamente. Sarebbe utile, anzi necessaria pertanto, una seconda edizione che possa affrontare argomenti  di questo genere in un'ottica di confronto esplicito con l'opinione pubblica e la politica. Con quella che viene definita (con un termine superato ormai) la società civile abilitata a sapere e ad essere soprattutto informata. 

Per ora gli autori dovranno ritenersi soddisfatti per aver pensato a un'opera del genere, ai tempi di Leonardo Sinisgalli assolutamente fuori da ogni programma industriale e da ogni logica di società del livello di ENI.
                                                  Rocco de Rosa