lunedì 27 dicembre 2021

UN ANNO FA


                               

                              



Attesa mista a speranza, ma entrambe dominate da una grande incertezza per il futuro di tutti. Nessuno escluso. Era il clima di un anno fa, quando avevamo negli occhi e nella mente le immagini orribili dei camion militari carichi di bare, in una Bergamo tristissima e sconsolata. Sembravano un macabro traguardo invincibile e insuperabile.

Oggi ben 50 milioni di italiani sono vaccinati e il ritmo delle vaccinazioni cresce di giorno in giorno ma la novità degli ultimi due mesi consiste nell’aumento, senza precedenti, dei contagi. Lo vediamo ogni giorno seguendo tv e giornali.

La variante omicron sembrava essere meno aggressiva, quasi in omaggio al significato della lettera greca che significa appunto o piccolo. Poi c’è voluta la risolutezza di Antonella Viola che ha smentito ogni illusione ottimistica, affermando che omicron non ha nulla da invidiare ad altre varianti del Covid.

Matteo Bassetti, infettivologo, da qualche giorno tuona con gelido realismo in linea con la sua immagine fisica: andando avanti così il Paese rischia la chiusura con la possibile soglia di centomila contagiati nel giro di un paio di settimane. Sarebbe un dramma peggiore di tutti i precedenti drammi che hanno afflitto i due anni di pandemia. Significherebbe chiudere i cuori a qualunque speranza, sotto il peso di una realtà destabilizzante a quel punto sfuggita di mano all’umanità intera e agli stessi scienziati. Un pericolo da non correre.

Si affaccia intanto sulla scena la pillola rossa per combattere la malattia, mentre giunge l’eco di alcune nuove possibilità per contrastare il Covid. Ma nel gran polverone dell’aumento dei contagi si parla quasi per nulla di tutto questo. Solo pochi riferimenti, oltretutto assai scarni e marginali. Che non aggiungono e non tolgono niente agli scenari in atto e meno che mai modificano la prospettiva.

Sicchè sembra ovvio e legittimo chiedersi qual è il ruolo della comunità scientifica internazionale, quali sono le forme di interazione al suo interno con riferimento anzitutto all’Italia. E qual è oggi il rapporto della scienza con l’opinione pubblica, inteso in senso costruttivo e non di semplice chiacchiericcio da bar. 

Il mondo scientifico, non dimentichiamolo, ha compiti e finalità ben precisi, senza escludere evidentemente l’aspetto divulgativo dei risultati cui si perviene, ma anche delle difficoltà incontrate nel giorno per giorno. 

 

mercoledì 22 dicembre 2021

ASSOLTO MARCELLO PITTELLA


                                          

Anche in questa circostanza tornano nella mia mente le parole di Giuseppe Lo Sardo, oggi magistrato di Cassazione, fino a ieri giudice civile presso il Tribunale di Potenza. 

“La verità processuale non sempre coincide con la realtà” mi disse Lo Sardo in occasione di un veloce incontro, del tutto casuale, in un bar. Uno di quegli incontri che consentono di parlare con un magistrato quando questi non indossa la toga ed è in fin dei conti un cittadino come tanti altri. Come tutti.

L’assoluzione di Marcello Pittella, già Presidente della Basilicata e oggi Consigliere regionale del PD, mi fa riflettere sulle parole di Lo Sardo. Soprattutto mi costringe a chiedermi quanto ci sia da fidarsi di questa magistratura che mandò il Governatore lucano ai domiciliari facendogli vivere giorni e mesi terribili. Umiliandolo, mettendolo in croce, sbattendolo sulle pagine dei giornali come un mostro qualunque che non merita rispetto nè considerazione.

Quasi a metà percorso il pronunciamento della Cassazione che ha ritenuto del tutto immotivata la decisione dei giudici lucani di arrestare Marcello Pittella. Parole molto dure quelle dei giudici romani. Inimmaginabili. Fuori da ogni consuetudine al punto da chiedersi cosa realmente abbia determinato nel 2018 il grave provvedimento.

Ora Pittella riprende il cammino: tante le attestazioni di stima e di fiducia espresse a vari livelli per la sua assoluzione. 

Farebbero bene a riflettere in tanti e soprattutto l’infallibile Marco Travaglio che aveva sbattuto il mostro sulle pagine del suo giornale.


 

      

lunedì 20 dicembre 2021

LA GRU SPEZZATA COME LE VITE UMANE



                               

                        La gru crollata che ha ucciso i tre operai


Un ragazzo meraviglioso Filippo Falotico, lucano di origini, morto a Torino insieme ai suoi colleghi, nel drammatico incidente della gru caduta. 

Raccapricciante e senza una spiegazione plausibile, almeno per ora,  questo ennesimo infortunio: il mancato ricorso a tutte, tutte le norme di sicurezza. Una disattenzione. Una sottovalutazione. Fattori meteorologici. Certo che di lavoro si continua a morire. Mille le vittime dall’inizio del 2021. Inammissibile. 

E ciò accade di pari passo con i ripetuti inviti alla sicurezza e con i vari tentativi di adeguare la legislazione corrente. Evidentemente tutto questo non basta. Numeri senza precedenti e intere famiglie finite le baratro. I rispettivi paesi delle vittime affogano nel dolore. 

Quella gru spezzata in vari tronconi è e sarà sempre un simbolo. Un invito pressante a non trascurare nessuno degli accorgimenti in grado di salvare delle vite umane.

I cantieri sono il principale teatro di questi lutti infiniti e strazianti, al punto che sembra finanche inutile commentare, analizzare, cercare di approfondire giacche la sfiducia s’impossessa di ognuno. Scenari lugubri fanno da sfondo a tutto questo  mentre ormai è diventato un ritornello la definizione del reato: omicidio colposo plurimo.

Cosa faranno i tanti ispettori del lavoro, da assumere nell’immediato? Controlleranno, verificheranno, metteranno un punto fermo sulle situazioni spesso non in linea con le leggi. Ma si riuscirà a bloccare questa strage ormai inarrestabile?

Difficile prevederlo. Anzi impossibile, mentre la sfiducia davanti a un quadro così fosco si impossessa di tutti, parlamentari chiamati a legiferare, tecnici ed esperti.

Dovremo sentirci disarmati e incapaci di fronteggiare la terribile emergenza? Certamente no.

sabato 11 dicembre 2021

"NON POSSO DIMENTICARE QUEL 14 DICEMBRE"




                         


Le occupazioni delle terre



Un bambino di poco più di tre anni, nel dicembre del 1949, oggi è un uomo in età avanzata ma con un ricordo abbastanza lucido di quella tragica notte del 14 dicembre di settantadue anni fa quando fu ucciso a Montescaglioso il padre, il bracciante Giuseppe Novello, nel corso degli scontri con i carabinieri nell’ambito del movimento per la riforma agraria. 

Quel bambino di ieri è Filippo Novello, un uomo capace di mettere al loro posto ciascuno dei tasselli che compongono il puzzle degli anni terribili delle lotte per la terra ai contadini. Da anni ormai in Piemonte, Filippo è un testimone di quell’epoca e del tempo che seguì.  


Cosa ricordi di quella notte e del tempo che seguì?


“Ho soltanto il ricordo di un fuggi fuggi generale e di tante urla di disperazione. Era andata via finanche la luce. I carabinieri del battaglione Mobile di Bari erano venuti con l’intento di arrestare i contadini protagonisti delle occupazioni delle terre incolte o mal coltivate, nel latifondo di  Montescaglioso. Ero bambino e vidi i miei genitori correre e fuggire in preda al panico. Altro non ricordo.”


Quell’evento, l’uccisione di tuo padre, ha cambiato non solo la tua vita da allora. 


“Certamente nei giorni e nei mesi che seguirono ero oggetto di tante attenzioni e di tanta solidarietà da parte di amici e conoscenti. Oltre che di compagni di lavoro dei miei genitori che mi riempivano di affetto e cercavano di sopperire con la loro solidarietà alla perdita di mio padre. Questa solidarietà è rimasta impressa nel mio cuore. 

Io riportai una sorta di choc nervoso, ebbi gli effetti di una terribile paura sentendo urlare tutti a casa. Fui colto successivamente da un deperimento organico terribile, sicché il sindaco di Modena, a conoscenza dei fatti di Montescaglioso oggetto di dibattito parlamentare e di una vasta campagna di stampa, chiese a mia madre se volesse affidarmi temporaneamente a persone della sua città per farmi rimettere in sesto. La cosa fu caldeggiata dallo stesso Di Vittorio e da numerosi parlamentari. 

Fui ospitato da una famiglia con la quale sono ancora in contatto. 

La solidarietà la toccai con mano. Nel corso degli anni andai prendendo coscienza di quanto era accaduto. Feci dei corsi, cominciai a lavorare nel sindacato. Una vita movimentata fin tanto che sono riuscito a entrare nella polizia locale in Piemonte con la qualifica di comandante. Ma non ho mai trascurato nè dimenticato gli insegnamenti e il peso di quella tragica vicenda del 14 dicembre.”   


Perché non si è mai celebrato un processo a carico di chi aveva la responsabilità di avere ucciso tuo padre? 


“Perchè il Ministro dell’Interno, che all’epoca era Mario Scelba, aveva la facoltà di autorizzare o meno la celebrazione di un procedimento penale a carico di uomini delle forze dell'ordine. E Scelba oppose un secco no ad un eventuale processo. Tutto qui, con la famosa frase: “Non doversi procedere”. Ricordo, perché me lo riferiva mia madre, che l’autorità giudiziaria prevedeva addirittura di mandare mio padre sul banco degli imputati. Cosa che non accadde data la sua morte.”


A tua madre, Vincenza Castria, sarà intitolata anche una piazza a Montescaglioso. Eppure c’è chi sostiene che quelle vicende siano state ampiamente sviscerate e non sia il caso di riprendere l’argomento ancora oggi.


“Mi sembra molto strano. Per giunta in occasione del Settantesimo, due anni fa, nelle scuole di Montescaglioso 

i ragazzi fecero delle ricerche per mettere a fuoco appunto il significato di quella dura stagione di lotte contadine e bracciantili. 

Visto che della storia dell’antica Roma o della Grecia si è tanto parlato, oggi l’argomento sarebbe chiuso, ma così non è. Davvero sorprendente questa posizione.”


Qual è il significato oggi di quel grande movimento che interessò il Centro Sud d’Italia. Un movimento senza precedenti, nella storia. 


“Fino a quando nelle stesse scuole non verranno approfonditi e divulgati adeguatamente questi eventi non si potrà avere un riscontro positivo in termini di conoscenza. E poi senza dubbio va preso in considerazione il ruolo dei social che diffondono ben altri contenuti, accreditando un mondo spesso virtuale o, peggio, inesistente.”


Oggi, a settantadue anni dalle lotte contadine,  è legittimo chiedersi chi vinse? 


“Io ritengo che quei movimenti hanno contribuito a costruire una coscienza democratica. Anzitutto. La consapevolezza di una presenza sociale molto forte e legittimata dagli obiettivi: in primis la terra ai contadini. Altra cosa è invece l’esito della riforma con mille complicazioni, anche di natura spesso clientelare.”


Infatti non si può dire che la Riforma agraria oggi sia stata pienamente completata anche dal punto di vista dell’assegnazione dei terreni. Gli epicentri e i capisaldi dell’avvenuta riforma oggi sono in una situazione di sfascio totale. 


“Certo l’esodo dal Sud, che si è verificato dagli anni Cinquanta affonda le radici anche in questo fenomeno. 

Manca tuttavia un’analisi storica compiuta per mettere a fuoco il peso e l’importanza della fuga delle braccia dal Mezzogiorno, per le tante ragioni che l’hanno caratterizzata. Sta di fatto, in ogni caso, che la presa di coscienza di larghe masse ha rappresentato un capitale enorme per la crescita civile e sociale di ampi strati di popolazione e del Paese. E’ un dato incontrovertibile.”


 

   



 


giovedì 9 dicembre 2021

PERCHE' MORIRE DI TERRA?



                             

Le occupazioni delle terre in Sicilia


Si avvicina a grandi passi una data che ha lasciato il segno nella storia. Il 14 dicembre del 1949 le lotte per la terra e la rinascita del Sud, ma non solo, raggiunsero il culmine con l’eccidio di Montescaglioso: fu ucciso Giuseppe Novello da una raffica di mitra partita dall’arma di Vittorio Conte, vice brigadiere dei carabinieri che quella notte era su una moto guidata dall’appuntato Rosario Panebianco, entrambi del battaglione mobile di Bari. 

Il paese era in rivolta per una serie di arresti. Migliaia tra braccianti, contadini, donne e uomini senza distinzione, si erano riversati nelle vie e nelle piazze della cittadina del Materano per la liberazione dei loro compagni di lavoro. Un fermento indicibile per rivendicare condizioni di vita più umane.  Montescaglioso rappresentò il culmine di tante vicende che indicavano la condizione di degrado sociale ed economico in cui nel secondo dopoguerra si trovavano migliaia di lavoratori. Volevano rivendicare il possesso della terra, nella speranza di poter cambiare radicalmente una vita insostenibile. 

Già a novembre di quello stesso anno c’erano stati dei morti. Melissa e Torremaggiore gli altri epicentri dei moti. Emilio Colombo si recò di persona a Crotone, il due novembre, per trattare la cessazione delle lotte e dare una risposta alle richieste della gente dei campi. 

I dati ufficiali sono a dir poco raccapriccianti. Ci furono nel Mezzogiorno 60319 arresti con 21093 condanne. 1614 i feriti. 40 i morti. Fatti purtroppo dimenticati tra mille, colpevoli disattenzioni.  

Da tempo ormai su quella stagione è calato il sipario. Il comune di Montescaglioso prevede di intitolare a Vincenza Castria una piazza. Vincenza era la vedova di Novello: una donna intelligente e fiera, interprete di quei fatti di settantadue anni fa considerati il prodotto di un tempo memorabile della politica e delle rivendicazioni popolari. 

L’annuncio della decisione è stato dato da Francesca Fortunato, assessore alla cultura del comune del centro materano. Sarà un’occasione per un dibattito a tutto campo sul movimento contadino e bracciantile, non certo un noioso ritornare sulle vicende di un tempo. Almeno c’è da augurarsi che sia questo il percorso.

Bisogna guardare avanti e non al passato, dicono alcuni. Lo sostiene la stessa Fortunato che considera l’argomento “ormai pienamente sviscerato in lungo e in largo.” Eppure la storia preme, soprattutto la storia del nostro tempo quella che assiste a trasformazioni incredibili, nel sociale e nell’economia. Nella ricerca soprattutto. 

Matera, per citare un esempio, non è soltanto la città dei Sassi, ma una realtà capace di far toccare con mano il progresso della scienza e della tecnologia. Un progresso in grado di rappresentare davvero un nuovo umanesimo della cultura .

Così questo settantaduesimo anniversario, in un momento difficilissimo, ha il senso di una rivisitazione degli eventi, in chiave di stretta, pressante attualità, senza dubbio.          

domenica 5 dicembre 2021

"CHE MOSTRI, CI HANNO TOLTO ANCHE L'ARIA"


                      
                     

L'ex ILVA di Taranto

     
Una frase tremenda, il segno della disperazione di alcuni abitanti del rione Tamburi di Taranto che rispecchia una terribile realtà, tuttora in atto: quella dell’ex Ilva, l’immensa acciaieria per la quale sono stati condannati a 300 anni di carcere i responsabili dell’azienda e vari esponenti delle istituzioni, compreso l’ex Presidente della Regione Puglia, Niki Vendola. Miseria o malattie, non ci sono alternative, sottolinea Sigfrido Ranucci, nel corso della puntata di Report riferendosi al disastro dell’acciaieria che ha seminato distruzione e drammi umani in cambio del lavoro. Si in cambio di un diritto garantito alla Costituzione di cui ci si riempie la bocca. 
Fondali marini stracolmi di polveri cancerogene, una città bellissima con tradizioni antiche che risalgono alla Magna Grecia resa invivibile. Nessuno nel rione Tamburi, emblema di tumori ormai, riesce a vendere la propria casa per scappare via, lontano mille miglia. Case e beni  sono resi inservibili dai funi della grande acciaieria. Anche il porto un anello della catena di distruzione. Una puntata di Report, replicata sabato 4 dicembre su Rai Tre, che fa rabbrividire. 
Taranto è una realtà macroscopica, in cui si tocca con mano quanto costa un posto di lavoro, in termini di danni alla salute e all'ambiente. Vivere e fare i conti con il cancro o rimanere disoccupati per migliaia di persone. Non ci sono alternative finora: nè la scienza, nè i vari governi di qualunque colore hanno affrontato questo terribile nodo. Nessuna risposta finora per quanto siano stanziati fiumi di denaro per la bonifica e addirittura per la riconversione dell'acciaieria. 
Il Sud è pieno di situazioni in cui la difesa dell’ambiente e della salute sono un miraggio, una favola come quella di Biancaneve senza alcun nesso con il quotidiano. Il caso di san Sago, una mega discarica in prossimità del fiume Noce ai confini con la Basilicata in territorio di Tortora, non fa dormire sonni tranquilli agli amministratori e alle popolazioni dell’alto Tirreno Cosentino e della bellissima Maratea. Un mostro anche questo destinato ad alimentare mille preoccupazioni poiché nella discarica sono finite in passato tonnellate di rifiuti speciali sottratti a qualunque controllo. La Procura di Paola l’ha posta sotto sequestro, ma non si conoscono gli sviluppi per il futuro. Una marcia di sindaci, ambientalisti e cittadini dell’area prenderà il via da Tortora venerdì 10 dicembre con lo scopo di fare avvertire la volontà delle popolazioni contro il ripristino della discarica.

sabato 27 novembre 2021

SAN SAGO, UN'ALTRA BOMBA ECOLOGICA




                                                           

                                                             Il depuratore di san Sago 




Il depuratore fa paura. San Sago, una mina vagante situata in territorio di Tortora (Cs), minaccia ogni giorno non solo il fiume Noce, habitat di grande interesse naturalistico, quanto il mare Tirreno in cui il corso d’acqua si riversa e la stessa Maratea oltre a numerose località costiere.  

Legambiente d’intesa con i centri dell’alto Tirreno cosentino e della Basilicata, aveva organizzato per il 26 novembre una grande manifestazione di protesta rinviata a causa dell’allerta meteo diramata dalla Protezione civile locale e ripresa dalle due Regioni, Basilicata e Calabria. Bisognerà dunque scegliere un’altra data. 

San Sago è in ogni caso un mostro dalle proporzioni sconosciute, per molti versi. Un mistero ancora tutto da chiarire. Raccoglie liquami e sostanze chimiche provenienti da tutta Italia, dal Nord come dal Sud. Per questo la Procura di Paola l’ha posto sotto sequestro per indagare a fondo sulla sua vera natura, sulle responsabilità ancora tutte da mettere a fuoco.

C’è nelle popolazioni e negli operatori turistici comprensibile allarme. Un passa parola che ha il carattere di un impegno di grandi proporzioni: San Sago ed il Noce sono due realtà davvero a conoscenza di tutti, autorità e Regioni in prima linea. Biagio Salerno, Presidente del Consorzio degli operatori turistici  di Maratea, sottolinea un aspetto inquietante. Il fiume Noce non è un minuscolo corso d’acqua, ma fa sentire la sua presenza in un’area vastissima dal Golfo di Policastro fino a Scalea, in territorio calabro. Salerno fa notare l’impegno nel tempo di Legambiente Maratea, un presidio utilissimo per combattere il rischio di contaminazioni di aree molto vaste.

C’è attesa per l’incontro, previsto per il 6 dicembre a  Potenza tra sindaci, operatori turistici, organizzazioni ambientaliste con i vertici della Regione Basilicata, per scongiurare una gravissima ricaduta degli effetti del depuratore su un territorio di grande valore ambientale e paesaggistico. L’incontro è uno dei punti cardine nella difesa del Tirreno e di aree costiere in cui va crescendo la domanda di sviluppo compatibile con un turismo capace di rappresentare una risorsa da tutelare ad ogni costo. Anche a prezzo di una seconda Scanzano.    

  

lunedì 22 novembre 2021

23 NOVEMBRE E COVID: TERREMOTI A CONFRONTO



                         


Auto schiacciata dalle macerie a Potenza (foto R. De Rosa-riproduzione riservata)



Quarantuno anni fa quella tragica sera che segnò uno spartiacque nella vita di tutti. La terra tremò violentemente, ci sentimmo più fragili e indifesi. Le forze della natura ebbero il sopravvento. Macerie ovunque, mentre dalla Prefettura di Potenza il centralinista, verso l’una di notte, cercava ancora di rintracciare a Roma l’eccellenza Bianco, lo sentii ripetere senza sosta a lungo. Era il Prefetto con incarico per i disastri, giacché non esisteva ancora la Protezione civile. E poi Balvano, Pescopagano, Conza ecc. con le urla dei sepolti vivi. 

Lo sguardo di ciascuno, quella sera stessa o nei giorni successivi, si proiettò verso la ricostruzione, che apparve inevitabilmente come l’unica ancora di salvezza. Scattò subito una incredibile solidarietà,  da Nord a Sud, che riempì il cuore di gioia, nonostante le mille tragedie, personali e collettive, con al centro migliaia di persone impegnate a estrarre morti e feriti dalle macerie.

Quattro decenni sono trascorsi e un altro terremoto ha sconvolto l’umanità intera, questa volta. Il Covid, feroce più di una belva, continua a mietere vittime mentre ci si sente esposti a ogni sorta di rischio.

Frattanto in Europa montano le proteste contro il green pass, contro le vaccinazioni uniche armi di difesa di cui disponiamo per domare questa belva sempre in agguato da due anni ormai. 

Fa pena vedere tanta gente nelle piazze e nelle strade pronta a distruggere, a devastare: al primo colpo d’occhio si è portati a ritenere che chiedono lavoro e sicurezza. Poi, ascoltando bene TV e radio, si capisce che protestano contro ben altro. Incredibile, da non prendere pace.

Questo terremoto e più forte di quello del 23 novembre. Davanti agli occhi corrono le immagini dei camion militari carichi di bare e di tanta gente andata via senza il saluto e l’addio dei propri cari con le terapie intensive considerate inevitabilmente come luogo di morte, eppure sono anche quelle una mano tesa verso chi soffre senza molte speranze. 

Immagini terribili di un tempo presente.


                                              

sabato 20 novembre 2021

NON PIU' A DORSO DI MULO


               


Una galleria della variante di Brienza (foto R. De Rosa - riproduzione riservata)

             

Sembrano lontani anni luce i tempi in cui la Basilicata veniva raffigurata con l’immagine dei muli lungo le stradine impervie dei paesi piccoli o grandi e con quella delle donne eternamente vestite di nero. Molto è cambiato anche se questa terra del Sud, dalle mille risorse, stenta a competere con i colossi del centro e del nord. Un ostacolo insormontabile, ma non è detto. 

Intanto avanzano a passo veloce i lavori per la variante di Brienza, in provincia di Potenza, un’opera di dimensioni gigantesche, il senso del cambiamento in atto: consentirà un collegamento più veloce con la Salerno Reggio Calabria, l’autostrada del Mediterraneo, per merci e viaggiatori. Una mano tesa al turismo e all’economia del Sud. Fa ben sperare. Costo dell’opera intorno a cento milioni.

Il cantiere è enorme: per visitarlo almeno nei punti di maggiore interesse occorre del tempo. Nelle gallerie le maestranze si muovono con disinvoltura anche là dove il rischio non è impercettibile e la mente va al ruspista che ha perso la vita a marzo in una operazione di movimento terra. 

A quanto si sa ci sarà a breve anche il cambio della guardia nella direzione dei lavori: il testimone passa dalle mani di Francesca Marranchelli a quelle di Pasquale Stella Brienza, due ingegneri targati Anas. Gli chiedo quale sarà il suo compito. Vigilare per la piena attuazione del progetto esecutivo, mi risponde.

Insomma un cantiere simile a una città in cui ciascuno si adopera per portare a compimento i suoi incarichi con attenzione e serietà. Disinvoltura nel lavoro delle maestranze ma anche consapevolezza per tenere lontano qualunque errore, piccolo o grande che sia. 

Mentre la grande opera sembra essere lì lì per decollare, mi viene in mente il titolo del libro di Carlo Levi. Cristo si è fermato a Eboli. Un tempo tutto da cancellare? Assolutamente no. Soltanto l’invito per Regione e Governo a considerare i grandi del passato come gli artefici del futuro in atto. E’ fatto giorno di Rocco Scotellaro sicuramente un monito per tutti, il senso di una rinascita che nel secondo dopoguerra sembrava addirittura impossibile. 

  

                                  

  

                   Un viadotto sulla variante (foto De Rosa - riproduzione riservata)

mercoledì 10 novembre 2021

IN RICORDO DEI CADUTI



                                   

                                                          I Caduti di Kindu 


Sono trascorsi sessant’anni  da quel terribile pomeriggio quando a Kindu, nell’ex Congo Belga, furono trucidati i tredici avieri della 46esima brigata aerea di Pisa. Tra questi il potentino Nicola Stigliani.

Secondo una ricostruzione ufficiale dei fatti, i militari italiani, appena usciti dalla mensa dove avevano pranzato, furono scambiati per alleati degli oppressori, catturati da una folla inferocita di ribelli e portati in una località vicina al fiume Lualaba dove furono massacrati. Purtroppo non avevano con sé l’armamento previsto che era stato già sistemato tra i bagagli per l’imminente rientro in Italia.

L’uccisione dei tredici uomini suscitò vasta eco a livello internazionale: non è possibile morire quando si va in soccorso delle popolazioni, ha commentato il Gen. Latorre, comandante fino ad alcuni fa della base aerea di Pisa. 

Con una Santa Messa sarà ricordato oggi, 11 novembre,  il sacrificio degli aviatori italiani, alla presenza di autorità e dei familiari delle vittime. 

Ringrazio l’amico Nicola Catalano, già capo dell’Ufficio comando della base aerea di Pisa San Giusto, per avere ricordato quel tragico evento pubblicando una mia intervista televisiva al compianto Generale Latorre.

   


domenica 7 novembre 2021

NOVEMBRE, TEMPO DI CONVEGNI




Si discute di tutto e su tutto. Questo novembre alimenta il dibattito sui temi più diversi: Covid e No green pass sembrano essere all’ordine del giorno, ma anche il Quirinale diventa già questione di confronto politico animato che, presumibilmente, salirà di tono quando saremo in prossimità della successione a Mattarella. Dibattiti e convegni dominano la scena di radio e TV, non è un dato secondario.  

La UIL promuove in Basilicata una giornata di riflessione in piazza, a Potenza, il 10 novembre mercoledì, dal mattino fino al pomeriggio inoltrato dal titolo inconsueto: Uil tour 2021. Lo scopo è di ridisegnare l’Italia facendo partecipare la gente. E ciò in un momento in cui per un verso crescono a dismisura i punti di crisi e la povertà, e dall’altro la gente nell’ultima tornata elettorale ha mostrato disinteresse in crescita in rapporto alla politica in senso lato.

Frattanto, di grandi temi da affrontare nelle sedi giuste, in questa piccola regione del Sud ma dal peso straordinario, ce ne sono a bizzeffe. Aziende del potentino che hanno chiuso, Val Basento da rivitalizzare, ma come e con quali priorità? Questione giovani in attesa di risposte vere e poi, non ultima, la vicenda Stellantis che tiene con il fiato sospeso centinaia di famiglie, senza dire poi dell’eterna questione del deposito delle scorie nucleari in ordine alla quale si dovrà conoscere prima o poi la decisione del Governo.  

Molta carne in pentola, in effetti. Qualcuno obietterà che lo scopo del gran parlare e della convegnista è quello di ascoltare il punto di vista della gente per aiutare il sindacato a rappresentare gli interessi dei lavoratori nelle varie sedi.

D’accordo su tutto. Immaginiamo che la UIL o i sindacati, in generale, avessero voluto portare in piazza i lavoratori Stellantis per un grande momento di confronto sulla Fiat con riferimento agli obblighi della multinazionale verso la Basilicata. Pura ipotesi, ovvio. Credo che l’interesse della gente, giovani in prima linea, sarebbe stato molto forte, giustificato anche dal peso della posta in gioco. Non parliamo se si fosse trattato poi di scongiurare la minaccia del deposito di scorie. 

Bisogna convincersi che uno degli effetti della pandemia, non ancora alle spalle, è quello di far crescere a dismisura miriadi di elementi di discussione su tutto, quasi a rendere la società e le istituzioni protagoniste di uno sforzo tendente a capire ciò che accade e a fronteggiare l’irreparabile. A suggerire delle soluzioni.

Solo così si giustificano fiumi di parole e tante iniziative che in altri tempi non sarebbero balenate per la mente probabilmente a nessuno.  

giovedì 4 novembre 2021

RISCOPRIAMO IL VALORE DEI BOSCHI E DEI MONTI



                                


Il massiccio del Sirino 



Giornate difficili ma colme di attese, quelle che vanno dal G20 di Roma fino a Glasgow, e segnano inevitabilmente il nostro tempo, una stagione dominata da serissime preoccupazioni per il clima, per l’ambiente, per la vita. Tutto rinviato al 2050, forse, ma non ci si rende conto che un cambiamento di rotta appare indispensabile a partire da subito: Che ogni istante è prezioso mentre la Cina per tutta risposta incentiva l'estrazione del carbone.

Mi capita di rileggere un articolo di Angelo Nolè, oggi docente di Scienze forestali e ambientali all’Università della Basilicata, in cui risaltano mille aspetti legati al valore delle  montagne e dei boschi, anzitutto l’Appennino lucano ormai da tempo Parco nazionale. Ma non solo. 

L’articolo risale a diversi anni addietro e fu scritto per la Rivista Online del Parco che all’epoca era riuscita a raccogliere intorno alle sue proposte un interesse qualificato, non solo al Sud. 

“La vetta del Monte Papa merita una lunga sosta per ammirare la vastità del panorama a 360°, con uno sguardo su buona parte dell’Appennino meridionale, non solo Lucano, ma anche Campano e Calabro. Uno sguardo che abbraccia tre Parchi Nazionali (Parco dell’Appennino Lucano, del Cilento e del Pollino) e finisce nelle acque del Golfo di Policastro e del Mar Tirreno.” 

E’ il Sirino, il gigante del Sud, con le sue meraviglie, ma anche con la sua esposizione che consente un innevamento straordinario d’inverno quando le vette si vestono di bianco, quasi a volere esprimere il meglio di sé con un invito rivolto a escursionisti, appassionati dello sci alpinismo, a frequentare quei luoghi di una bellezza ineguagliabile dove la natura dà tutta sé stessa chiedendo all’uomo in cambio soltanto una briciola di rispetto per la sua fragilità.       

“La conca morenica più profonda che arriva a quota 1525 m ospita il lago Laudemio uno dei laghi di origine glaciale più a sud d’Europa. In quest’area i prati d’alta quota ospitano delle vere e proprie rarità botaniche rappresentate da specie endemiche come la Vicia serinica che vegeta a quote comprese tra i 1500 e i 1800 m e l’Astragalus sirinicus che si caratterizza per la capacità di colonizzare gli anfratti rocciosi calcarei a quote maggiori fino ai 2000 m. Il lago Laudemio ospita specie vegetali ripariali come il Potamogeton natane (lingua d’acqua) e la cannuccia palustre (Phragnities comunis) e specie anfibie come il Tritone italiano, il Tritone crestato, la Rana verde e la Rana dalmatica.” 

Un'offerta natura davvero preziosa, sottolinea Nolè, con dati, cifre, elementi che caratterizzano il suo ragionamento scientifico. Un articolo destinato a fare storia per quell’approccio legato all’interesse per la biodiversità dominante, alla alte quote delle montagne come lungo le valli. 

A proposito delle valli, che dire della Valle del Frido nel Parco nazionale del Pollino, dove i boschi d’alto fusto sembrano essere un vero baluardo innalzato dalla natura per difendere l’uomo dagli attacchi selvaggi di una modernizzazione senza limiti. 

Il senso della "scoperta" del prof. Nolè consiste appunto nell'essere riuscito ad additare alcune fondamentali risorse come un bene irrinunciabile, dal quale nessun popolo potrà mai prescindere. Un bene sul quale bisognerà richiamare l'attenzione di tutti, se si vuole una svolta davvero possibile dopo il G20 di Roma e dopo Glasgow.


                                   

                         

                                Pascoli d'alta quota

                                  


martedì 2 novembre 2021

GIUSTIZIA DA RIFORMARE, PERCHE'?



                            


Il Procuratore Francesco Curcio


“Se le leggi sono spesso incomprensibili, la Magistratura cosa può fare?” 

Il  capo della Procura di Potenza, Francesco Curcio, non ha dubbi: se il responso dei giudici a volte non è in linea con la logica delle sentenze o di alcune sentenze, spesso  dipende dalle leggi. 

In una intervista esclusiva al blog La collina dei ciliegi il Procuratore mette a nudo criticità e situazioni non facili per giungere finalmente alla riforma della Giustizia, da tempo sbandierata, considerata anzi un passaggio obbligato e una tappa da non mancare, dai vari governi che si sono succeduti in questi anni. Ma con risultati non esaltanti, in molti casi. 

Che dire poi della Cassazione che ha usato toni perentori (un eufemismo) per dire che il responso del primo e secondo grado di un giudizio a carico di un politico era assolutamente fuori luogo? La sentenza della suprema Corte suona anzi come un richiamo vigoroso, una sorta di reprimenda addirittura. Chi ha ragione? E soprattutto a chi prestare fede?

Dottor Curcio, perché ciclicamente ritorna il tema della Giustizia da riformare quasi come un debito della politica nei confronti dell’opinione pubblica? 


“La questione giustizia, purtroppo, è stata per anni, anzi per decenni, sempre sottovalutata dalla nostra classe politica. Lo dimostrano le risorse per l’apparato della Giustizia molto  spesso lesinate. Questo disinteresse viene meno nel momento in cui la Magistratura si occupa lei della politica nel momento in cui viene a scoprire una serie di illeciti, conosciuti come Tangentopoli, ascrivibili a soggetti politici che per finanziare la loro attività politica, o per mero interesse personale, ottenevano illeciti finanziamenti anche a scopo personale. A questo punto la questione Giustizia diventa d’interesse anche per la politica.”


C’è a suo giudizio un motivo ben preciso, una ragione che spinge a porre il tema della Giustizia in primo piano?


“Certo si ha la sensazione che la risposta politica sia stata per larga parte determinata dal fatto che la Magistratura andava a incidere sulle attività politiche e soprattutto sul profilo mediatico legato alle attività politiche.”   


Intanto è logico capire cosa ci sarebbe anzitutto da riformare. Le sembra?


“Assicurare una Giustizia garantista, ma soprattutto efficiente. Questo dovrebbe essere lo scopo. Si ha purtroppo la sensazione che la classe politica per certi periodi, secondo le circostanze, diventa supergarantista, a volte compromettendo l’efficienza della macchina giudiziaria. E’ chiaro che le garanzie debbono essere quelle necessarie a che l’imputato, l’indagato e le parti offese possano esplicare i loro diritti nel processo, ma complicare poi eccessivamente l’iter dei processi con tanti adempimenti incide sul processo stesso. 

Quando poi certa criminalità occupa le prime pagine dei giornali allora si interviene con proposte che vogliono essere particolarmente rigorose: questo è il ciclo tipico degli ultimi decenni che ha caratterizzato le riforme in materia giudiziaria.”


C’è poi l’ormai nota affermazione del Presidente Mattarella il quale il 15 ottobre, innun suo intervento, ha detto senza mezzi termini che alla Magistratura serve una rigenerazione etica e culturale.


“Questo è un monito del Presidente della Repubblica che mi trova assolutamente d’accordo. L’immagine della Magistratura può essere compromessa da alcuni casi eclatanti che hanno rilievo suoi mezzi d’informazione. Questo determina un appannamento dell’immagine. 

Poi c’è un problema complessivo che riguarda il modo con cui i magistrati hanno gestito l’autogoverno. Un modo che negli ultimi anni è stato sicuramente caratterizzato da degenerazioni nell’autogoverno, che è sacrosanto per garantire l’indipendenza  della Magistratura con i dovuti controlli, ovvio, come prevede la Costituzione. Certo le correnti hanno avuto un peso esasperato in decisioni che dovrebbero essere assolutamente tecniche e meritocratiche e mi riferisco in particolare allo sviluppo della carriera dei magistrati. Mattarella ha, dunque, perfettamente ragione.”


Nell’intervento del Capo dello Stato si fa strada un altro argomento, del tutto inusuale: la comprensibilità dell’azione giudiziaria. Qual è il significato di questa affermazione?


“La comprensibilità dell’azione giudiziaria è il prodotto delle leggi, leggi chiare o leggi non chiare. Leggi che attribuiscono eccessiva discrezionalità ai magistrati o leggi che ne attribuiscono troppo poca. E’ dunque necessario che le leggi siano poche e chiare, il che consentirebbe alla Magistratura di essere più compresnsibile. Se le leggi non sono chiare la Magistratura cosa può fare se non applicarle. Ovvio che il riferimento è all’opinione pubblica. Ci sono beninteso anche dei casi in cui il magistrato fa un cattivo uso della norma, il che può essere superato attraverso giudizi successivi di impugnazioni, di appelli, di ricorsi che consentono di correggere il tiro, per così dire.”


Perché, a suo parere, c’è differenza tra la verità processuale e la verità reale, come sostiene Giuseppe Losardo, oggi magistrato di Cassazione,


“E’ un’affermazione assolutamente condivisibile. La verità processuale deve tendere ad accertare la verità reale. Il processo serve ad accertare come sono andati i fatti, se non servisse a questo sarebbe meglio abolirlo. 

Questa è in concreto la funzione del processo. Poi ci sono dei casi in cui questa corrispondenza tra accadimenti reali e verità processuale non si realizza. Questi rientrano tra i sistemi di garanzia previsti dal procedimento.

Sono infinite, ad esempio le ragioni per cui una intercettazione, realizzata per avere delle prove, può essere dichiarata nulla.”


Mi consenta, una intercettazione può essere dichiarata nulla solo per seri e gravi motivi tecnici. Una incertezzazione è disposta dalla magistratura ed eseguita da organi abilitati a questo compito. Come si fa a dichiararla nulla? Non è certamente frutto di una banale improvvisazione da parte di sprovveduti. Le sembra?


“Se viene meno quella intercettazione per motivi tecnici e processuali la conseguenza sarà che la persona accusata, in base a questa intercettazione, sarà assolta. Ma l’assoluzione in questo caso non rispecchia la realtà.”


Non le sembra che in casi del genere ci si trova difronte a un paradosso?


“E’ un paradosso ma ha una sua funzione: poiché le intercettazioni sono un sistema intrusivo nella vita privata delle persone la legge richiede che siano fatte in certo modo e attraverso determinate procedure. Può succedere che per un fatto formale una intercettazione non sia utilizzabile. E quindi viene meno un pezzo di realtà. In certi casi c’è stato un intervento della Cassazione che ha rilevato la inadeguatezza delle motivazione, ad esempio, alla base di quella intercettazione. E’ un prezzo che va pagato, ci troviamo di fronte a delle garanzie che tendono a evitare un abuso di determinati strumenti investigativi.”

   


    


     

lunedì 1 novembre 2021

MILLE MILIARDI DI ALBERI PER SALVARE IL PIANETA


                               


 

Basteranno? Chissà! Un impegno mai visto prima d’ora, quello di piantare mille miliardi di alberi per evitare la tremenda catastrofe ambientale già annunciata anche in Italia, con l’alluvione in Sicilia dei giorni scorsi. 

Mille miliardi di alberi, ma in quanto tempo, nonostante le distruzioni in atto destinate a ripetersi ciclicamente. Un impegno straordinario che lascia positivamente allibiti, a patto che si realizzi. 

Hanno lasciato Roma i potenti della Terra, quelli che assistono come milioni di semplici cittadini ai disastri ambientali provocati dal surriscaldamento del pianeta per le tonnellate di CO2 immesse in atmosfera. 

Ora gli sguardi dell’umanità sono orientati sull’assemblea  di Glasgow dove Boris Johnson aprendo la Cop 26 pronuncia una frase lapidaria: “Sul clima bisogna agire adesso”. Si rendano conto i Paesi asiatici, la grande Cina, l’India e la Russia che stentano ad accettare la data del 2050 come tetto ultimo per attuare l’accordo sulla soglia di 1,5 gradi per quanto attiene al clima.

Sarebbe certo un grande sforzo se si cominciasse a piantare gli alberi già da domani, ma le speranze debbono avere un fondamento di concretezza altrimenti sono destinate a rivelarsi mere illusioni. Frasi buttate giù.

“Il grido della Terra e dei poveri” il monito di Papa Francesco che dà senso a queste giornate in cui il Pianeta si aggrappa alla speranza di un giorno migliore. 

Viviamo intanto già nell’incubo di un nuovo ciclone che si avvicina all’Italia, dopo l’uragano Apollo. La vita cambia, mentre il terrore dei grandi sconvolgimenti dimostra che la natura è in grado di reagire anche brutalmente e con il vigore  necessario. Ecco perché occorre agire adesso: il 2050 è lontanissimo.