lunedì 2 novembre 2020

L'INARRESTABILE CRISI DELL'APPENNINO LUCANO


           


Il Parco Nazionale Appennino Lucano

 
Capita spesso di chiedersi quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo dei Parchi, sia nazionali che regionali. Aree protette di grande valenza, per la tutela dell’ambiente e degli abitanti, oltre allo sviluppo compatibile.

Nel caso dell’Appennino lucano, anch’esso Parco nazionale a tutti gli effetti, la risposta non esiste. Si, perché da sempre l’area protetta istituita nel 2007, dopo un lungo e tormentato itinerario, non ha fatto nessun passo avanti. E ora è allo stremo.

Da luglio le dimissioni del presidente della Comunità del Parco, l’organo collegiale che segue da vicino e ispira le scelte in materia di salvaguardia e crescita economica , hanno sancito la totale paralisi di qualunque attività proiettata nel futuro. 

Cesare Marte ravvisò, infatti, l’impossibilità di presiedere l’organismo composto dai comuni e dalle realtà presenti sul territorio. Di qui la scelta di gettare la spugna. Decisione non condivisa da molti ma tuttavia in grado di aggiungere paralisi alla paralisi. 

Ora, a distanza di oltre tre mesi dalle dimissioni di Marte, il Vice Presidente, Gaetano Pandolfi, sindaco di Gallicchio, si sforza di trovare un elemento di condivisione che superi la crisi in atto e avvii l’Appennino almeno verso una parvenza di normalità, se non altro.  

Frattanto il parco diventa un deserto. Personale inesistente perché comandato altrove. Contrasti che hanno messo a dura prova le funzioni del direttore, affidate pro tempore all’avvocata Simona Aulicino, con lo scopo di salvaguardare almeno la gestione degli affari correnti. Risultato: la direttrice si è dimessa.

Comuni e sindaci in disaccordo anche sul ruolo di tutela ambientale nei confronti del delicato e rischioso capitolo petrolio. Oltre che sulla rappresentanza nel Direttivo. Un elemento questo in grado di spaccare la stessa Comunità e di privarla di quella forza propulsiva, necessaria per varare decisioni democratiche e concordate.  

Sullo sfondo, anzi in prima linea,  si colloca il Presidente - Commissario straordinario, Giuseppe Priore. Commissario in quanto la nomina del Ministro non è stata ancora ratificata dal Direttivo inesistente allo stato. 

Intanto la Regione Basilicata e il Ministero dell’Ambiente dovrebbero essere interlocutori autorevoli. Probabilmente lo sono ma con quali risultati? Francamente impossibile stabilirlo se si considera il progressivo e inarrestabile degrado in cui versa il Parco sin dall’inizio.

E dire che dell’Appennino (in prima battuta definito  Parco nazionale Val d’Agri) si discute dal 1988, quando la Finanziaria di quell’anno lo propose in alternativa al Delta del Po. Pessima alternativa, a giudicare da ciò che è accaduto fino ad oggi tra guerre interne, contrasti e questioni di potere da tutelare nonostante si dichiarino obiettivi ben diversi. 

Per giunta a tredici anni dalla legge istitutiva il Piano del Parco, importante strumento di governance, redatto da una società di Roma, giace non si sa bene in quali cassetti.   

Si tratta ora di verificare se si riuscirà a trovare un’intesa almeno sulle questioni più urgenti, come annuncia il Vice Presidente della Comunità, Gaetano Pandolfi, con l’intento di evitare al Parco una crisi irrisolvibile, comunque legata a mille fattori e non solo alla vicenda della Comunità. Il lavoro dii Pandolfi prosegue ormai da giorni, ma nessuno è in grado di pronunciarsi sui possibili risultati di una mediazione quanto mai difficile.       

  

 

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