venerdì 20 dicembre 2019

ITREC, I MISTERI DEL CENTRO NUCLEARE LUCANO


                                       

 La Trisaia di Rotondella (Foto R. De Rosa - Riproduzione riservata)



A quasi due anni dall’inchiesta della Magistratura di Potenza, con il sequestro di una parte dell’ITREC di Rotondella all’interno della Trisaia, il Centro nucleare sulla costa ionica lucana, entra nel vivo quella che viene definita la fase di decommissioning dell’impianto per il trattamento e il riprocessamento del combustibile nucleare in epoche ormai lontane. 
Il prelievo del sarcofago in cemento armato di circa 130 tonnellate, sepolto a oltre sei metri di profondità, con tecniche ingegneristiche definite di avanguardia, dovrà aprire le porte al “prato verde”, vale a dire a una bonifica totale dell’area da parte di Sogin, la società pubblica incaricata della messa in sicurezza e della gestione dei materiali nucleari in Italia. 
La Trisaia, e l’impianto Itrec in particolare, hanno scritto una pagina di storia da non sottovalutare e, meno che mai, da dimenticare. Una pagina fitta di misteri.
Molti interrogativi rimangono in piedi. La tecnica della cementificazione, sosteneva Nicola Pace a metà degli anni Ottanta Procuratore della Repubblica a Matera e autore di una inchiesta sul centro nucleare, non garantisce affatto dalla possibile contaminazione poiché la durata dei materiali radioattivi va ben oltre quella del cemento armato, soggetto a sgretolarsi e a degradarsi rapidamente. Non solo. Cosa contiene realmente il “monolite” prelevato dal sottosuolo, giacché in Trisaia c’è davvero di tutto, dai materiali ospedalieri ai resti delle centrali italiane dismesse?
La lunga attività del centro Jonico della Basilicata è tuttavia lastricata di mille vicende, di buchi neri e altro ancora.
La questione Rotondella varcò finanche le soglie del Quirinale.    
Considerata l’estrema gravità della situazione, illustrata nei dettagli dal rapporto Zaccaria (il capitano dei carabinieri che aveva diretto un pool di esperti nei primi anni 80) il Procuratore Pace si rivolse direttamente al Presidente della Repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro, e fu ricontattato dal segretario generale della Presidenza, Gaetano Gifuni, che fece da tramite tra Scalfaro e la Procura materana. 
Al capo della Procura di Matera il capitano Zaccaria aveva infatti consegnato un rapporto, per buona parte autografo, in cui l’ufficiale sosteneva che l’impianto Itrec  aveva funzionato in palese contrasto con la legge per lungo tempo, tranne che per un breve periodo, in cui era stato diretto dall’ing. Simonetta Raffaele (sic). 
Dati ed elementi tutt'altro che trascurabili erano contenuti in quella indagine che dovrebbe essere conservata (condizionale quanto mai necessario) nei depositi del Palazzo di Giustizia di Matera. 
Pace aveva fondato fra l’altro la sua indagine sui numerosi incidenti,  verificatisi già all’epoca nel perimetro della Trisaia, sostenendo la necessità di una immediata e radicale bonifica per evitare il rischio di una contaminazione del mare jonio, a pochi passi dalla enorme struttura.  
L’idea del “prato verde” risale a quegli anni, stando alle dichiarazioni di Sogin.
Fitta l’agenda del capitano Antonio Zaccaria, all’epoca dell’inchiesta di Pace comandante  del Reparto operativo del Comando Provinciale dei CC di Matera. Vi si legge: “Sentire Gilio in ordine al riprocessamento presso gli impianti ITREC/EUREX (detto Billy) …..traffico e provenienza  dei rifiuti nucleari (è verosimile che in 12 anni hanno riprocessato solo 20 barre)  e ancora (prof. Ganappini sentirlo con Gilio). 
Ad un tratto l’ufficiale dei carabinieri pone una domanda: “perchè l’Enea è andata avanti con un impianto fuorilegge per ben 20 anni, perseverando nella violazione delle norme?” Un perché senza risposte, almeno finora.
Documenti preziosi e interessantissimi, quelli contenuti nei vari promemoria dell’ufficiale  che rinviano a rapporti internazionali e a una miriade di retroscena legati direttamente o indirettamente alla questione Trisaia, affrontata negli anni scorsi in Basilicata con impegno e molta determinazione dal governo Pittella, bisogna riconoscerlo, l’unico in diversi decenni che si sia posto in modo analitico difronte a una questione di proporzioni davvero ciclopiche. 
Quale connessione con i “traffici di armi e materiali nucleari che vanno a finire sempre a Malta come destinazione finale e con denominazioni varie.” Queste alcune delle conclusioni dell’ufficiale dell’Arma. Ma c’è in quel rapporto ben altro, con riferimenti a persone e vicende internazionali di cui non si hanno notizie da anni, forse da decenni. 
A questo punto sembra legittimo chiedersi quale sia stato, dopo l’inchiesta di Pace, il ruolo della Magistratura per avviare quanto meno a soluzione il problema dei problemi, la reale sicurezza del nucleare di cui si ritorna a parlare oggi, mentre la candidatura di Scanzano a ospitare il centro unico per lo smaltimento delle scorie radioattive non sembra affatto scongiurata.    

giovedì 12 dicembre 2019

SCIENZA E FEDE A VILLA D'AGRI NEL NOME DI PADRE PIO


                       

L'Ospedale di Villa d'Agri (Potenza)


Quanti personaggi della politica, dell’economia, quanti capi di Stato o di Governo hanno ricevuto nella loro vita migliaia e migliaia di lettere da ogni parte del mondo, quante ne ha ricevute Padre Pio? Per giunta racchiuse in un grande armadio dove non c’è più un millimetro di spazio. Interrogativo al quale è possibile rispondere solo riconoscendo che nessuna persona al mondo è stata al centro di tanta attenzione, da parte di gente comune o di illustri rappresentanti delle istituzioni, esattamente come è accaduto all’umile Frate di Pietrelcina.
 Certo la spiegazione risiede nel suo carisma e nella sua santità che lo hanno reso mediatore tra il Cristo risorto e l’umanità del nostro tempo, percorsa dalle guerre e dilaniata spesso da contrasti insanabili.
Un santo che ci appartiene per la sua condotta morale, per la sua grandezza interiore, figlio del Sud e delle campagne del beneventano che oggi lo ricordano con slancio e devozione. 
Risiede proprio in queste ragioni il motivo per cui in tanti hanno deciso di dedicare a San Pio da Pietrelcina l’ospedale di Villa d’Agri, nel potentino, con una cerimonia in programma sabato 14 dicembre con inizio alle ore 10.
Carità e amore, scienza e fede sono i due binomi che hanno reso grande la figura del sacerdote tra i più amati, da credenti e non credenti. Due binomi sui quali occorre riflettere. 
Qual è il senso di una carità autentica, quotidiana, sottratta al rischio di una pura e semplice esteriorità? Il pensiero di Padre Pio è tutto orientato in questa direzione. Lo scopo di Casa Sollievo, l’ospedale di san Giovanni Rotondo, consiste proprio nel tendere la mano a chiunque fosse nel bisogno, senza distinzione alcuna tra personaggi di spicco e uomini o donne privi di risorse, tra ricchi e poveri. 
L’evento di Villa d’Agri contribuisce ad aprire le porte a un’analisi rigorosa della figura del santo Frate ponendo una serie di interrogativi. Uno fra tanti: in che modo è possibile coniugare scienza e fede e in che modo la creazione dell’universo parte proprio dal superamento del nulla, un tema presente negli scritti del Padre. I suoi scritti. Un patrimonio prezioso che scandisce il tempo e dà la dimensione del suo pensiero, umile e dominato dalla fede in Dio. Semplice e grandioso al tempo stesso, nell’invocare l’opera della Divina Provvidenza, come accadde quel lontano 5 maggio 1956 per l’inaugurazione di Casa Sollievo della Sofferenza. In quell’occasione il discorso di Padre Pio fu ispirato semplicemente al dono grandioso del Creatore: non era frutto della benevolenza degli uomini ma dell’opera di Dio.    
Conoscere e riferire al tempo d’oggi la sua spiritualità e il suo pensiero non è certamente impresa facile. Tutt’altro. 
L’intitolazione dell’ospedale di Villa d’Agri al Santo Frate è una dimostrazione di affetto e di fede nei confronti di chi lotta contro il male, di cui la vita dell’uomo è lastricata. Non significa soltanto attribuire un nome all’ospedale ma indicare un percorso di fede e di scienza in cui tutti possano riconoscersi. Ogni giorno.

giovedì 5 dicembre 2019

SETTANT'ANNI FA LE LOTTE PER LA TERRA E IL LAVORO


                         
                                              


7293 anni di carcere. 60319 tra braccianti, contadini e attivisti del movimento per la terra arrestati. 21093 persone condannate. 1614 feriti. 40 morti. Dati che si commentano da soli.


  COSA RIMANE OGGI DELLE LOTTE PER LA TERRA?

Tre Confini è una località poco distante da Montescaglioso, diventata, sul finire degli anni Quaranta, un crocevia in tutti i sensi. Lì si riunivano, nell’autunno del 1949, braccianti e contadini interessati a lavorare le tante terre incolte del latifondo. Cercavano il loro futuro. Ma  lì si concentravano anche i camion carichi di poliziotti di Scelba, tutti in divisa grigioverde, che saltavano dai camion con un balzo velocissimo imbracciando subito il moschetto di cui erano dotati e mettendo mano alla pistola calibro 7,65. Lì arrivavano i mezzi del battaglione mobile di Bari dei carabinieri per fronteggiare l’ondata di braccianti a mani nude, e con i soli attrezzi di lavoro, interessati a dissodare i terreni abbandonati del latifondo materano.
Su uno di quei camion era stata caricata anche una moto dei carabinieri, il 13 dicembre a Bari, che secondo il racconto di Rosario Panebianco (all’epoca appuntato dell’Arma), sarebbe servita per gli spostamenti dei militari, la notte del 14 dicembre a Montescaglioso.
Una notte in cui le strade brulicavano di braccianti, contadini poveri, uomini e donne scesi in piazza per chiedere di liberare gli arrestati, colpevoli di avere dissodato le terre dei latifondisti. 
Dal mitra di Vittorio Conte, vicebrigadiere dei carabinieri originario di Cavallino in provincia di Lecce dove tuttora risiede la sua famiglia, partì un colpo che raggiunse il bracciante Giuseppe Novello ferendolo gravemente. Difficile il suo ricovero in ospedale a Matera dove Novello morirà alcuni giorni dopo. Rocco Scotellaro dedicherà una poesia al bracciante ucciso. 

È caduto Novello sulla strada all’alba,
a quel punto si domina la campagna,
a quell’ora si è padroni del tempo che viene,
il mondo è vicino da Chicago a qui
sulla montagna scagliosa
che pare una prua,
una vecchia prua emersa
che ha lungamente sfaldato le onde…

Da quella tragica notte sono trascorsi settant’anni. I protagonisti delle lotte sono quasi tutti morti, ma la storia non si cancella, anche se di quei tragici eventi non rimane traccia nella memoria collettiva. Eppure i dati ufficiali sembrano essere un bollettino di guerra con morti e feriti, dal Centro Italia alla Sicilia. Fa paura leggerli, giacché danno il senso della repressione, proprio all’indomani del fascismo e nella giovane democrazia nata dalle macerie della guerra. Un segnale allarmante da interpretare nel clima di oggi in cui tutto sembra possibile, a cominciare dai mutamenti repentini e dagli scenari improvvisi che si delineano.
Per ricordare il settantesimo dal dicembre del 1949 la CIA ha organizzato a Montescaglioso una iniziativa che vuole avere il carattere del ritorno sui fatti e della riscoperta di dell’enorme sacrificio di vite umane nel nome della terra. Al centro del dibattito il mio libro Morire di terra, Piero Lacaita editore. L’iniziativa è in programma a partire alle 16 di sabato 14 dicembre.
Protagonista dell’evento la parola d’ordine la terra ai contadini. Quella stessa terra che oggi si ribella e fa pagare all’uomo un prezzo altissimo in termini di sconvolgimenti e di catastrofi naturali. 

Migliaia di contadini impegnati nelle difficili lotte dell’epoca sono un esempio di amore per la natura e per il suo valore. Ma c’è stato chi li ha traditi, illudendoli e forse prendendosi finanche gioco di loro. Orribile constatazione.