domenica 27 settembre 2020

LA GUERRA DEI VACCINI E' ALLE PORTE


                        




Il prof. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, non esita a parlare di una “guerra dei vaccini” ormai alle porte che presumibilmente, anzi realisticamente, dominerà la scena non appena la ricerca sarà in grado di renderli disponibili e di poterli considerare un antidoto per prevenire questa terribile pandemia che ha raggiunto e superato i 32 milioni di casi nel mondo.

Per ora i vaccini sono 350 complessivamente: soltanto sei o sette in fase clinica.  

Una guerra  nei confronti della quale siamo e saremo tutti disarmati se la comunità scientifica internazionale non assumerà una linea di condotta univoca e unitaria, nell’interesse non di una nazione ma degli abitanti del pianeta. Tutti, nessuno escluso.

Mai come ora, dunque, gli scienziati si accingono ad assumersi una tremenda responsabilità che consiste nel dover fornire garanzie all’opinione pubblica mondiale, superando mille ostacoli derivanti non solo dalla natura e qualità dei farmaci quanto piuttosto dagli scenari di mercato e politici che si andranno delineando a partire dai prossimi mesi.

Mi chiedo: chi si preoccuperà davvero, in tutti i sensi, della tutela dei cittadini chiamati a sperimentare sulla loro pelle la bontà del vaccino o dei vaccini? Quale sarà il ruolo specifico e di garanzia della politica? Domande alle quali inevitabilmente dovrà essere data una risposta. Sottolineo inevitabilmente.

Frattanto esce un libro che reca un titolo quanto mai autentico e veritiero: Cosa sarà, senza punto interrogativo, però. Autore lo stesso prof. Ippolito che delinea possibili scenari e fa perno sullo stato dell’arte della ricerca. Ecco, proprio questo il pregio del lavoro. Avere scelto la strada della divulgazione degli esiti degli studi di tanti scienziati e averli sintetizzati in un libro, alla portata di tutti. La scienza non più torre d’avorio, fortino in cui si chiudono ermeticamente gli addetti ai lavori. Ma una operazione di conoscenza e di apprendimento perché l’opinione pubblica possa davvero giudicare. Non è poco, se questo è l’intento.

     

mercoledì 23 settembre 2020

LANORTE (LEGAMBIENTE): LE COMPAGNIE PETROLIFERE FACCIANO UNA INVERSIONE A "U"


                              

                            

                         
                            La ciminiera dell'Eni a Viggiano (Pz)



Quale peso ha avuto e sta avendo il Coronavirus sul dibattito che riguarda le tematiche ambientali, su vasta scala ma anche con riferimento a situazioni locali? 

 Francamente un peso abbastanza irrisorio. La gente mostra serie preoccupazioni, il virus fa paura. L’arrivo dell’autunno crea molta apprensione. Inevitabilmente. Eppure manca un confronto serrato sulla questione inquinamenti e danni ambientali, una delle cause possibili alla base della pandemia, un aspetto che  Spillover, il libro di David Quammen,                 ha affrontato egregiamente e con grande cognizione di causa prima ancora che si arrivasse al disastro di febbraio scorso.

Con l’incalzare delle trivelle la Basilicata ha cambiato la sua tradizionale vocazione agro - silvo - pastorale, oltre che paesaggistica, ed è divenuta terra di petrolio, serbatoio che fronteggia non meno del dieci per cento del fabbisogno nazionale. 

Peraltro dovremmo essere alle battute conclusive del processo Petrolgate che dovrebbe concludersi a Potenza entro l’anno.

Ma in che modo è possibile salvaguardare ambiente e territorio in un’ottica di utilizzo delle risorse in modo assolutamente corretto e rispettoso delle leggi, peraltro.

Qal è, si chiedono in molti, il ruolo autentico, concreto, di prima linea del movimento ambientalista, visto che oltretutto Legambiente lancia anche quest’anno il suo slogan con la campagna Puliamo il Mondo. Domande che la gente si pone sentendosi impotente di fronte all’aumento di malattie neoplastiche e delle vie respiratorie inevitabilmente collegate alle consistenti emissioni in atmosfera. 

Antonio Lanorte presidente di Legambiente Basilicata lancia un’idea: chiedere alle compagnie petrolifere di fare una inversione a U in modo da diventare, esse per prime, sostenitrici delle fonti rinnovabili, dell’energia pulita. 

Possibile certamente chiederlo, ma quanto ai risultati non credo possano essere di alcun rilievo. Tutt’altro. Anzi mi sembra finanche ingenuo pensare alla svolta auspicata da Antonio Lanorte, stando così le cose, con interessi miliardari delle compagnie petrolifere che non conoscono ostacoli di sorta. 

In definitiva l’intero movimento ambientalista cosa fa per tutelare la salute dei cittadini, l’integrità ambientale, le caratteristiche del paesaggio? Per riportare la Basilicata alla sua naturale dimensione, non dico un ritorno all’età della pietra ma a tempi ben più recenti. Pretendere troppo? Non credo. 

Risposta: abbiamo fatto tanto in passato e siamo stati sconfitti. Oggi seguiamo gli eventi, con l’occhio rivolto a ciò che accade.

“Il petrolio è un’attività industriale e pertanto altamente impattante.

Vogliamo un futuro senza il petrolio che, paradossalmente, non si può realizzare senza la partecipazione delle compagnie petrolifere che in qualche maniera debbono investire nelle energie pulite.” 

C’è una crisi vera e propria del sistema energetico legato al petrolio, ma questo dato non ha un peso determinante. Forse non ha alcun peso, purtroppo.


“I cambiamenti climatici sono una questione tale da essere addirittura imprescindibile. Noi chiediamo che entro un lasso di tempo ragionevole si possa vedere in Val d’Agri, ad esempio, ma non solo, qualcosa di completamente diverso dalla presenza delle trivelle. Qualcosa che preveda una riconversione economica verso modelli sostenibili.”


 

sabato 19 settembre 2020

QUALI SFORZI IMPONE LA CRISI DELL' APPENNINO



In molti tentano di riuscire a trovare una spiegazione  plausibile al profondo degrado in cui versa il parco nazionale Appennino lucano Val d’Agri Lagonegrese.  Con lo scopo di dare una risposta ai mille interrogativi ancora irrisolti.

Le ragioni di quella che va definita una vera e propria debacle risiedono nella distanza incolmabile tra gli obiettivi del parco (ammesso che ne abbia) e il modo con cui le popolazioni percepiscono la presenza dell’area protetta nel quotidiano. 

Ragioni da ricercare in anni di politiche non proprio pertinenti, con alla base una corsa sfrenata alle clientele e all’acquisizione di potere fine a sé stesso, il tutto in una situazione di contrasti politici e personali da non sottovalutare affatto con mille contraddizioni sullo sfondo, per giunta. 

Un parco nazionale, della portata dell’Appennino lucano, ha bisogno di ben altro. Non può accontentarsi della rissa e del tutti contro tutti giacché è chiamato a dare risposte a mille problemi, a cominciare dallo sviluppo possibile da costruire d’intesa con le realtà presenti sul territorio fino ai temi della salvaguardia e del rilancio dell’area.  

Andiamo indietro nel tempo. Gli inizi della presidenza Totaro furono contrassegnati da un minaccioso fuoco di fila contro il neo commissario prima e poi del presidente. Una situazione insostenibile che andava risolta con una prova di efficienza e di adeguatezza nel governo dell’area. Occorreva una vasta opera di marketing in campo nazionale, con una progettualità di alto profilo da mettere in rete badando al valore della ricerca archeologica e alla qualità del bene natura, senza escludere le alte quote, nell’ottica di un discorso sul petrolio che impone misure straordinarie per contenere il rischio distruzione delle risorse. 

Tutto questo, e altro ancora, è un fardello che pesa sulle spalle di Giuseppe Priore, uomo legato al Ministro Costa e a tutto il bagaglio di esperienza e attitudine che derivano dalla presenza di Costa nelle file dell’ex (purtroppo) Corpo forestale dello Stato.

Basta un curriculum del genere per dare risposte alla gente, alle popolazioni e a chi deve vedere nel Parco una opportunità reale?

Riuscirà la Comunità, organo di tutto rilievo, a trovare una intesa non solo sulle nomine nel direttivo quanto sulle strategie da porre in essere? Quale sarà la posizione di Priore, del Ministro e della Regione Basilicata? Interrogativi che pesano e attendono risposte adeguate in tempi certi,  giacché il rischio è un degrado senza ritorno spinto sino alle estreme conseguenze.     


giovedì 17 settembre 2020

APPENNINO LUCANO, NECESSARIA UNA SVOLTA


                            

                           IL PARCO IN PRIMAVERA              


Nessuno avrebbe immaginato che a 13 anni dalla sua istituzione il Parco nazionale Appennino lucano Val d’Agri Lagonegrese potesse attraversare una crisi così profonda, capace di mettere in forse la sua stessa sopravvivenza. Eppure è accaduto e finora non si riesce a scorgere alcun segnale di svolta. 

Le dimissioni del Presidente della Comunità del Parco, Cesare Marte, hanno segnato l’accentuarsi di lotte interne, di contrasti e di profonde contraddizioni dalle quali difficilmente l’Ente Parco potrà riprendersi in termini di reale funzionamento e di piena efficienza.

Cosa c’è alla base di tutto? Questioni di rappresentatività delle diverse aree (lagonegrese in prima fila) in modo da garantire presenze bilanciate. 

Il nodo da sciogliere rimane il direttivo del Parco, all’interno del quale le presenze dovranno essere garantite non solo per pure ragioni politiche quanto in base a criteri di competenza. Per ora bocce ferme, in attesa delle ormai imminenti elezioni ma il principio sancito dalla 394, la legge quadro del 91, va tenuto in considerazione, lo ha accennato anche la direttrice dell’Appennino ff l’avv. Simona Aulicino. Per ora circola soltanto un nome che sarebbe proposto dal Ministero delle Politiche agricole.

Molti, frattanto, gli impegni che attendono l’Appennino. Anzitutto una efficace tutela del territorio dalle trivelle del petrolio e poi il grande tema di uno sviluppo possibile e compatibile. Atteso ormai da tantissimo tempo. Per non dire poi dell'esigenza di promuovere il territorio con un turismo di qualità, nei suoi vari aspetti e nelle diverse espressioni. Posta in gioco da non sottovalutare affatto. Anzi da rilanciare con il massimo impegno.

Sembrerà strano ma la questione cinghiali non è secondaria. Sono un agguato alla sicurezza, ovunque. Ma soprattutto là dove non si spara, appunto nei parchi. 

Su questo tema s’innesta una polemica abbastanza sterile: sì alle gabbie, no all’abbattimento con la carabina. Questione da nulla, finanche banale se si pensa agli incidenti che questi ungulati continuano a provocare. I gestori delle strade, dal canto loro, si tutelano con i cartelli che recano il disegno di un capriolo e la scritta: lungo tutto il percorso. Così nessuno paga nel caso di incidenti provocati dalle bestiole selvatiche. 

  

domenica 13 settembre 2020

L'ESPERIENZA DI UN GIOVANE COLTIVATORE NEL CUORE DEL POLLINO



                                

                           

                Fabio nelle sue coltivazioni a Mezzana (San Severino lucano)


Settant’anni fa la Riforma agraria che l’Alsia in Basilicata si appresta a rievocare con alcune manifestazioni. Lo slogan era: la terra ai contadini. Per consentire loro di vivere. Tanti decenni sono trascorsi, e la storia non sempre ha dato ragione a chi volle quella riforma, costata decine di vittime e sacrifici enormi. 

Oggi le cose sono totalmente e, anzi, radicalmente cambiate. Non basta la terra: occorre ben altro, imprenditorialità e capacità di stare sul mercato. Di vivere un’agricoltura in linea con l’ambiente, cogliendo varie opportunità per un lavoro che sia anche redditizio e apra delle prospettive reali.

Lo dimostra il caso di un giovane di Mezzana Torre, frazione di San Severino lucano, ai piedi della imponente catena del Pollino.

Fabio La Provitera, ventisei anni, impegnato da tempo in una scommessa che si sta rivelando particolarmente intelligente e fruttuosa. Vale a dire la coltivazione di particolari erbe officinali nei suoi terreni e inserite in un circuito che partendo dal basso arriva alle case farmaceutiche e ai mercati, non solo italiani. Del resto, l’idea di Fabio parte dalla constatazione che queste erbe sono una delle risorse più importanti del Parco nazionale del Pollino, il Parco storico del Sud, tra Basilicata e Calabria. Una miniera di occasioni di crescita economica e di sviluppo, forse spesso ignorate.

Diecimila piante di melissa sono soltanto uno dei riferimenti che dimostrano quante opportunità offre la natura. 

Per giunta, da alcuni anni l’impegno di Fabio è andato crescendo con una serie di aggiornamenti per aprire nuovi sbocchi a un lavoro, nuovo e interessante che, beninteso, si avvale di esperienze, di attrezzature e di scelte commerciali di livello.

Eppure agli inizi della grande avventura del Parco, il Pollino si era spopolato facendo registrare addirittura un calo del 4 - 5 per cento della sua popolazione. Un segnale allarmante. Poi per gradi la ripresa si è andata definendo anche, e soprattutto, grazie all’iniziativa di chi fa scelte sensate in linea con i tempi, anche nella stagione del Covid 19 che, nel caso del lavoro di questo giovane, sembra non avere prodotto conseguenze disastrose, come è accaduto per molti altri settori.  

 


martedì 8 settembre 2020

TURISTI DI SATRIANO, PORTATORI DI NUOVE IDEE



                           

                            

              Gabriel Zuchtriegel Direttore area archeologica di Paestum e Velia


La recente visita a Paestum di un gruppo di Satriano di Lucania (la cittadina del Melandro)  ha aperto un varco nella questione di un rapporto proficuo tra due realtà molto vicine, non solo dal punto di vista geografico, vale a dire il Cilento e la Basilicata occidentale, terra dell’antica Lucania. 

Interessanti le ricadute, evidentemente, sul piano turistico, paesaggistico, là dove ambiente, natura e archeologia rappresentano un’unica, formidabile offerta.

L’iniziativa del gruppo di visitatori è un richiamo ai sindaci della zona e alle due regioni a rendere praticabile la possibilità di una concreta integrazione. Lavoro e sviluppo si costruiscono così, del resto, soprattutto in tempi difficili come l’attuale, dominato dal disastro del Covid. 

Su questo tema convergono autorevoli voci del mondo delle istituzioni e della cultura, a cominciare dalla Consigliera regionale della Campania, Maria Ricchiuti, al prof. Ettore Bove dell’Università della Basilicata, senza escludere un nome di spicco del mondo dell’archeologia, il prof. Gabriel Zuchtriegel, direttore dell’area archeologica di Paestum e di Velia. 

Prof. Zuchtriegel è il caso di ritenere che l’area archeologica di Paestum rappresenti un elemento cerniera tra la Campania e la Basilicata di oggi. Oltretutto i Lucani ebbero nell’antichità un ruolo non marginale, in veste di conquistatori. Cosa emerge a questo proposito, a livello di scavi, di ricerche e di studi?


“Emerge una situazione molto complessa, come spesso è il caso nell'archeologia. Vediamo a Paestum, da un lato, i Lucani come conquistatori che a partire dalla seconda metà del V sec. a.C. si stabiliscono nell'antica colonia greca, prima forse in veste di mercenari chiamati dagli stessi Greci di Paestum, poi come ceto dominante. Dall'altro lato vediamo come i Lucani di Paestum subiscono un processo di ibridazione  culturale, che li porta a vivere in una realtà che non è né greca né lucana nel senso stretto della parola. Emblematico per questo processo sono le tombe dipinte di Paestum: l'iconografia e l'ideologia alla base delle immagini sono tipicamente italiche, con l'esaltazione della figura del guerriero con il cosiddetto cinturone sannitico. D'altronde, la usanza di dipingere le tombe e lo stile delle pitture sono un patrimonio greco che è radicato a Paestum e che non trova riscontro nella Lucania interna.”



L’archeologia con i suoi reperti,  e gli scenari che delineano, è  motore di crescita dell’economia. Paestum, ma non solo, oggi può essere tutto questo, per giunta all’interno del Parco nazionale del Cilento ? 


“Abbiamo visto una crescita continua negli ultimi decenni del turismo culturale. Luoghi come Paestum e Velia giocando un ruolo importante per il territorio e per lo sviluppo turistico. Ma credo che possiamo fare ancore di più, anche al di là del rilancio al quale cerchiamo di contribuire in questo momento di pandemia. Il patrimonio archeologico dell'antica Lucania, che arrivava fino al fiume Sele a Nord di Paestum, è estremamente ricco e diffuso. Penso a siti come Roccagloriosa, Torre di Satriano, Tricarico, Pisticci, Timmari, Montescaglioso, Monte Coppolo nel Comune di Valsinni e tanti altri. Un insieme di storia e paesaggio che possono diventare meta di un turismo lento, sostenibile e portare sviluppo ai territori di una regione unica nel Mediterraneo. 

Nella stessa ottica collaboriamo con il Parco Nazionale del Cilento. L'obiettivo è di creare maggiori sinergie tra paesaggio e archeologia, natura e cultura. In più, abbiamo il Mare, la costa tirrenica e quella ionica. Ci sono dunque le condizioni per sviluppare maggiormente il settore turistico, e ciò sarebbe anche importante per dare delle opportunità ai giovani che hanno bisogno di un lavoro e di una prospettiva per poter restare nella loro terra.”