venerdì 27 aprile 2012

LA BASILICATA, "TERRA DEL CRIMINE", SI RIBELLA

21 delitti irrisolti, scrive Repubblica, in un reportage che non fa bene non solo alla Basilicata, ma al Paese. E il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, non accetta di finire nel calderone con tutti i suoi concittadini e con le migliaia di lucani onesti, lontani mille miglia da quel clima di mafia che pesa come una cappa. Una etichetta certamente ingiusta anche perche' l'altra faccia della medaglia dimostra, dati alla mano, l'impegno, l'intelligenza, la laboriosità e anche il rilievo di tanti lucani nella storia dell'Italia repubblicana, per non andare troppo indietro nel tempo.  
La Basilicata, terra di risorse di valore inestimabile, con la cultura e la storia del suo popolo crolla sotto il peso di una illegalità che fa piazza pulita di tutto. Possibile? 
L'inchiesta di Repubblica parla di  silenzi e complotti, una sorta di esasperato familismo non solo amorale ma piuttosto immorale, che prevale su tutto e tutti. Una fossa di serpenti, Potenza, arroccata su una montagna come un rapace pronto a piombare sulla preda. Ma non va al fondo delle cose. Il giornale, nella sua autorevolezza, non si domanda perché e percome e non cerca di mettere a fuoco quali sono, ad esempio, le responsabilità nel comportamento di una magistratura che finora, fatti salvi alcuni esempi di competenza e di assoluta trasparenza, non ha mai dato risposte di alcun genere. Persone finite in carcere e poi rimesse in libertà. Fiumi di intercettazioni con costi alle stelle. Un ex Procuratore della Repubblica, Pippo Galante, che ha tenuto nel cassetto per circa dieci anni tre fascicoli su un presunto caso di sottrazione di scorie radioattive dalla Trisaia di Rotondella. Una indagine finita nel nulla. Chi mai ha chiesto conto a questo illustre magistrato del suo operato? Non solo. Che bella la magistratura lucana che prima coinvolge un alto ufficiale dell'Arma commissionandogli una inchiesta sul nucleare e poi, per tutta risposta, se ne frega dei risultati gravissimi ai quali e' pervenuto. Altro che Basilicata mafiosa. Qui c'e' da aver paura sul serio  di certi giudici  "liberi  e indipendenti". 
Un'ultima ma importante considerazione: il caso Claps continua ad alimentare fiumi di sospetti e di interrogativi. Perché? Semplice, se i magistrati dell'epoca, e alcuni di oggi, avessero  fatto e facessero  fino in fondo il loro dovere così non sarebbe.  Non servono banali giustificazioni. Non serve attendere  che la bufera passi per dire: non e' stato possibile arrivare a risultati concreti. Ci dispiace davvero! E' immorale.

                                                                      
                                                                Rocco de Rosa
                

sabato 21 aprile 2012

VERITA' LONTANA, FORSE IRRAGGIUNGIBILE

Il dramma di Elisa Claps cade in momento senza precedenti non solo nella storia della Basilicata, ma del Paese e del mondo. 
Conflitti sociali di una violenza inaudita, uomini gli uni contro gli altri, nazioni allo sfascio, mentre in Italia non cessa la paura per il domani e lo spettacolo atroce della devastazione viene riproposto in questi giorni dalle immagini del "sacco" di Roma, ad ottobre 2011.   Una barbarie vera e propria! 
Immagini macabre  come quella dello scheletro di Elisa con le scarpe ancora incollate  alle ossa. Visioni da cancellare dalla mente, orribili e drammatiche. Anzi disumane, inconcepibili. 
Ma perché tutto questo? Perché si solleva dalla Trinità di Potenza un polverone che getta fango e discredito e non da' pace a nessuno? Anzi alimenta inevitabilmente l'odio ed il rancore. La rabbia. Il senso della vendetta. Perché tanti dubbi senza una risposta, per quanto minima? Eppure da quel 12 settembre sono trascorsi tanti anni. Troppi! 
Viene calpestato il diritto di tutti di conoscere la verità. Verita' e giustizia era scritto su uno striscione poco dopo il ritrovamento del corpo di Elisa nel sottotetto della Santissima Trinità. Quella verità e quella giustizia sembrano svanire di giorno in giorno. Sembrano diventare un sogno che alimenta tensioni e paure. Incertezze e dubbi. Anzi la certezza di una giustizia inesistente. 
Perché dunque tutto questo? Legittimo interrogarsi. Stando al racconto di alcuni  inquirenti, lontano da microfoni e telecamere, ci sarebbe stata la volontà di non procedere, di non andare fino in fondo, nei giorni e nelle ore successivi alla scomparsa di Elisa. Tutto questo trova riscontro nei mille ostacoli frapposti ad un'azione incisiva ed efficace della giustizia. Non una ma tante iniziative che hanno frenato, rallentato, reso impossibile ogni soluzione auspicabile. E sullo sfondo la nota diffusa dall'Ansa,  redatta da un inquirente che avrebbe subito scoperto tutto, la sera stessa di quel 12 settembre. Guarda caso, la nota (un rapporto interno riservato) viene diffusa 17 anni dopo, giusto per dire: ho fatto il mio dovere fino in fondo. Gli altri sono colpevoli di non avere agito come avrebbero dovuto. Documento autentico o un'altra finzione scenica? 
Questo inquirente - che ha lasciato la Questura - ha dunque la coscienza a posto. Almeno dice di averla. 
Dopo due anni dal ritrovamento del corpo di Elisa il silenzio e' calato sulle indagini: non ci sono e non ci saranno sviluppi. Non c'è da attendersi nulla. Bando a facili illusioni. La verità e' ancora tanto lontana. Forse  irraggiungibile!  

giovedì 19 aprile 2012

ETTORE BOVE - VINTI E MIGRANTI

Chi sono i vinti, chi sono i migranti? Sono i briganti del Sud che hanno scritto  tante storie di questo Mezzogiorno, ancora non del tutto esplorato fino in fondo, nonostante le numerose inchieste, le dotte analisi, i pronunciamenti da certi pulpiti che spesso mostrano soltanto di saper teorizzare vecchie convinzioni. Luoghi comuni fin troppo radicati nell'immaginario di tanti. Idee di comodo  da spazzare via, in molti casi. E si continua a parlare di una questione meridionale. Eternamente irrisolta, ovvio!
In un libro di assoluto pregio, la ricerca di Ettore Bove (Vinti e migranti, appunto) rappresenta non la solita idea - il bla bla bla collettivo di sempre - ma un contributo originale per capire e conoscere a fondo il nostro passato.  Il volume "L'Unita' d'Italia - la Storia celata"  e' stato presentato al Capo dello Stato  Giorgio Napolitano, che a quanto pare si e' mostrato entusiasta.
Ettore Bove, ordinario di Economia all'università della Basilicata, da' una lettura aderente alla "cronaca" del tempo e al succedersi dei fatti. E non e' poco.
Scavando tra carte e documenti Bove infatti sottolinea a grandi lettere gli effetti umani e sociali di quel clima di fame: "la repressione spietata del brigantaggio post unitario nella montagna potentina spense le speranze di tanti miserabili di accedere alla terra come proprietari." Senza considerare poi la necessità di andare via dal Sud, per trovare lavoro fuori, anche all'estero.
Crocco, noto brigante a tempo pieno e pastore dell'azienda Saraceno, ancora oggi esistente,  poteva contare per questo su di un consenso popolare abbastanza solido. Forse più solido di quanto si potesse prevedere, sostiene l'autore di questa ricerca, giacche' nella montagna potentina e nel Vulture le condizioni di vita delle classi rurali erano a dir poco  disumane. Quindi la solidarietà  tra  i poveri e gli emarginati non veniva  meno. Si spiega.
Mitica figura quella di Carmine Donatello Crocco, uomo che percorreva  le montagne del Vulture in lungo e in largo sul suo cavallo pronto ad affrontare dirupi e burroni, spingendosi anche la' dove il terreno era impervio e il bosco sembrava riservato esclusivamente alle scorribande dei cinghiali. "Un eroe e non certo un brigante" osserva Bove prendendo spunto dal dibattito parlamentare del 1863, quando il Sud viveva davvero quella  condizione di marginalità che ogni storico immagina, ma che nessuno vive sulla propria pelle. Per fortuna, ovviamente.
"Contratti Agrari scannatori", precisa poi l'autore del saggio, cui facevano da sfondo tanta miseria e tanta sopraffazione.  Tanto degrado personale, sociale, collettivo. Che Sud, quello dell'unita' d'Italia! Percorso dai drammi, dalla miseria umana  di tanti. Quanti? Difficile dirlo.
Quel dibattito del 1863 dovette essere una pallida presa di coscienza o uno sforzo contro una realtà insuperabile? Statica. Irremovibile, voluta dal destino, come qualcuno ipotizza. Sarebbe utile conoscere un po' di quella vita parlamentare, proprio oggi, nel tempo in cui il Parlamento e' ben altra cosa rispetto al passato. E i fatti lo dimostrano, qualora ce ne fosse bisogno...


martedì 17 aprile 2012

IL PREMIO PULITZER A UN GIOVANE FOTOGRAFO DI KABUL

Massoud Hossaini, 31 anni. E' il giovane fotografo di Kabul che si e' aggiudicato il premio Poulitzer 2012 con la foto di  una scena di terrore in Afghanistan: un attentato del 6 dicembre 2011 costato la vita a 70 persone. 
La foto di Hossaini mostra un ragazzo di 12 anni che urla la sua disperazione, in piedi, in mezzo a morti e feriti a causa di una bomba assurda come la violenza che ormai da lunghissimo tempo tiene banco in quei territori dove anche gli italiani hanno pagato un prezzo altissimo nel tentativo di riportare la pace. Una pace che non arriverà facilmente, nonostante gli sforzi internazionali. Una convivenza civile ancora tanto lontana.
Il premio Poulitzer 2012 conferisce un meritato riconoscimento al giovane fotografo che lavora per l'Afp. Uno strazio, la scena ripresa da Massoud Hossaini. Il ragazzo si dispera: un misto di paura, rabbia e terrore dominano il suo volto e la sua persona, costretta a crescere in fretta sotto l'incalzare degli eventi. A prendere rapidamente coscienza di ciò che accade in un mondo perennemente insanguinato. 
Una foto non certo "comune" che merita dunque tutto l'apprezzamento per il suo valore e la sua capacita' di mettere sotto gli occhi dell'opinione pubblica  una tragedia senza fine.  Ecco dunque l'importanza della fotografia che in questo caso diventa messaggio rivolto all'umanità per  comunicare al mondo il dramma immane della guerra. 
Hossaini e'  a sua volta protagonista di un evento che solo le immagini possono documentare. Il sangue che scorre  in quelle terre dove  gli uomini, impotenti, assistono a massacri quotidiani.  

La voce di questo fotografo si leva forte e rappresenta una denuncia nei confronti di quanti accettano di considerare "normale" il terrore, l'esplosione delle bombe, finanche la disperazione. Come si può vivere da uomini in quelle terre solcate dalle morti e dagli attentati, dove un cadavere, dieci, cento cadaveri sul ciglio delle strade sono una consuetudine.   L'umanità non può continuare ad assistere impotente e rassegnata ai massacri come se si trattasse di una circostanza inevitabile, legata al nostro tempo. 
In quella parte del pianeta i massacri e le stragi sono all'ordine del giorno. E il mondo evoluto sembra non accorgersi. E forse osserva indifferente quelle scene di distruzione continua.  

martedì 10 aprile 2012

CULTURA, COSTUME, ABITUDINI, TENDENZE E MODI DI ESSERE DELLA LEGA

Prima di tutto la cultura. Bossi, rude ideatore e proprietario della Lega, ostenta il suo sigaro, simbolo di una personalità forgiata tra la gente della Padania e nata da una sorta di sfida al popolo qualunquista e ladrone del resto d'Italia, ivi compresi quegli sfaccendati meridionali, buoni soltanto a nutrire il loro parassitismo, a danno del Nord efficiente ed evoluto.   Umberto ciuccia il sigaro a mo' di sfida, mentre lo tiene stretto tra  i denti con fare minaccioso: "come stritolo il sigaro, così ho voglia di stritolare i nemici della Padania. Gente da nulla che dalla vita non ha appreso quell'arte raffinata di chi  sa davvero imporsi. Di chi sa spendere il denaro conquistato con il sudore del Po e l'attaccamento virtuoso ai luoghi."
Le poche parole che il capo pronuncia con tono terribilmente  rauco non sono il prodotto della sua malattia che lo ha colpito si, ma restando in linea con la dimensione e la natura del personaggio, valorizzando la sua onnipotenza senza soffocare, ovvio, quelle smanie di grandezza che hanno fatto grande un poveruomo, mezzo assonnato nel tono e indecifrabile nelle sue scelte. Umane e politiche, s'intende.  
"La lega ce l'ha duro, che più duro non si può"...umanamente parlando. Se poi andiamo tra gli equini....beh forse, chissà , possono competere con l'Umberto. Ma non e' mica detto, sapete. Anche perché la' dove non arriva la durezza, ci pensa il dito medio brandito con lucida arroganza e sostituito ad altro che non c'è. Forse, anzi certamente!
Durezza a parte,  il grande Umberto, almeno nel nome, mostra la raffinatezza e la signorilità di casa Savoia che richiama alla mente tempi andati, una vita ordinata, soprattutto signorile, quando era un dramma pronunciare la parola membro al cospetto di una signora. Peggio ancora in radio. Lui, invece, per una sorta di modificazione genetica si presenta con il medio disteso, a significare una capacita'  da adulto mai vista. Una evoluzione della specie, all'insegna di un anticonformismo degno di lui. 
Attenzione, anche il lessico risulta radicalmente mutato,  in quel di  Gemonio. L'ottima trota dei torrenti del Sud, a casa di Bossi diventa il Trota. Anche qui una mutazione non solo linguistica.  Il Trota (con tanto di T maiuscola) la dice lunga, anzi lunghissima. Ben pasciuto, un po' pazzo, il ragazzo leghista butta i soldi a destra e a manca. Altro che quei poveri meridionali, abituati a risparmiare anche un centesimo. Hanno trovato chi da'  loro una lezione e spiega come si usa il denaro e la cultura.
Incalzato dal furore leghista, il Trota con un  guizzo ha raggiunto il Pirellone e si e' dimesso nientemeno che da consigliere regionale della Lombardia. Mica dal comune di Carbone o di Scanzorosciate. Dalla regione Lombardia. Altro che! 
E Bossi padre non sa francamente cosa dire. Non parla piu' di federalismo non nomina Roma ladrona, non minaccia più Berlusconi,  non partecipa  nemmeno alla grande festa della Lega con amici e simpatizzanti dotati di scopa. Qualcuno pensa di spazzarlo  via, ma lui e' sicuro di rimanere in sella. E ce la fara'. Vedrete! Che razza di Bossi sarebbe, non vi sembra?

                                                       Rocco de Rosa

domenica 8 aprile 2012

CONFUSIONE DI IDEE E PREDOMINIO DI LADRI

Chi immagina che dopo tutto questo gran polverone la Lega Nord sia destinata a finire o a ridursi a una formazione politica del tutto inconsistente, si sbaglia davvero e non poco. Sbaglia chi pensa che Bossi, leader e fondatore del Carroccio,  padrone a pieno titolo, possa essere travolto definitivamente dalla slavina che finora non ha provocato ne' morti e ne' feriti, ma soltanto qualche tiepida delusione, già metabolizzata per giunta.
Da cosa deriva questa certezza? Non dalla considerazione che la Lega ce l'ha duro e pertanto e' inossidabile e quindi capace di sopravvivere a qualunque bufera. Quanto da un dato semplice e complesso, nello stesso tempo. Anzitutto il rapporto con il popolo Padano che vede in Bossi il simbolo della rivendicazione del primato (immaginario) del Nord sull'intero Paese e non solo sul Sud corrotto e mangione. E nemmeno soltanto su Roma ladrona. Ma sull'Italia e sugli italiani, su quanti si collocano fuori dalle logiche leghiste. Ecco perché destinati, quindi, ad affondare. Loro, non la Lega, sia chiaro che continua a rappresentare un baluardo, una fortezza. Una garanzia per la Padania.
Ma non e' solo la territorialità a costituire un vincolo d'acciaio, quanto il tipo di rappresentanza improntata a un familismo tutto lombardo, a una forte capacita' di interpretare i bisogni delle popolazioni del Po, ma non solo. Anche i sogni e le fantasie, spesso lontani mille miglia dalla realta' e per questo irrealizzabili. A cominciare dal mito della secessione per farla finita una buona volta con i ladroni protetti da Roma.
Espressioni che parlano di svolta storica e di evento memorabile se ne sono gia' sentite in questi giorni da parte di chi finge di ignorare la capacita' della politica di restaurarsi al suo interno e del Carroccio, anzitutto, di ritornare in campo con rinnovata e strabiliante energia. I primi commenti del capo lo dimostrano: tenere unito il movimento e' ora l'obiettivo primario per aver ragione della burrasca forza 8. Il resto viene dopo, a cominciare dalle inchieste giudiziarie che hanno mobilitato tre Procure e sembrano parlare di connivenze con la 'ndrangheta. Figuriamoci!
A voler fare un raffronto con eventi come quello che "spazzo' via" il partito di Craxi, non va sottovalutato il tipo di rapporto con la platea degli elettori affiliati, che nel caso della Lega hanno ben altra configurazione, ben altro humus rispetto a chi si limita a dare un semplice consenso nell'urna. I leghisti sono elettori proprietari del partito, non sono soltanto portatori di un consenso elettorale. Ma parte in causa, direttamente e quotidianamente.
Raffrontando le disavventure della Lega ad altri casi, non certo isolati, di indebita sottrazione di risorse pubbliche per fini privati, la mente va ad una frase di Padre Pio che, nella primavera del 1956, a chi gli chiedeva un giudizio sulla politica di quel tempo, ormai lontanissimo e dimenticato, rispose: "confusione di idee e predominio di ladri."
Una frase che non ha bisogno di commenti, in grado di fotografare in pieno il potere e le sue logiche, il denaro e la sua vocazione a scivolare facilmente nelle tasche di chi lo ha a portata di mano. Se poi si tratta di denaro pubblico o privato, non conta affatto. Pecunia non olet, dice un detto latino. Il denaro non puzza, ripete Umberto Bossi!

lunedì 2 aprile 2012

ESPOSTI ALL'AMIANTO

La Materit e' un'azienda della Val Basento tristemente nota a causa dell'amianto. Nonostante sia chiusa da anni,  diecine di lavoratori pagano ancora oggi le conseguenze con un pesante bilancio di morti e di malati di asbestosi, molti dei quali in gravi condizioni. Un calcolo aggiornato forse non e' possibile. 
La  Materit non e' l'unica realta' industriale lucana in cui le maestranze hanno avuto contatti con l'amianto. Anche l'area  di Tito ha  causato per questo stesso motivo danni alla salute,  in molti casi irreparabili. Purtroppo tutto e' accaduto spesso nel silenzio delle istituzioni, degli inquirenti, della stessa magistratura. Di quegli organi che dovrebbero dare risposte certe e non le danno per pigrizia, per timore di infrangere certe barriere che non vanno neppure sfiorate dal dubbio. 
Lavoratori indifesi, in balia di una scienza tante volte incapace di stabilire un rapporto di causa effetto. Per questo  nasce a Potenza una sede dell'associazione che si propone di porre il problema ai livelli non solo previdenziali, ma anche di salvaguardia di quanti, pur di non rimanere disoccupati, hanno accettato il terribile rischio di vedere seriamente compromessa la loro salute. 
Più che un'associazione si tratta di un movimento. Un movimento di persone e di idee che, in uno dei momenti più bui per il mondo del lavoro lacerato dalla  disoccupazione e dai contrasti tra le forze politiche e sociali, intende  far valere il principio irrinunciabile dell'integrità fisica di chi presta  la propria opera in attività pericolose. E del riconoscimento dovuto del danno subito.
La sede potentina dell'Associazione esposti all'amianto e' guidata d una donna piena di esperienza, non solo a livello  sindacale, quanto personale.  Una donna che ha tentato le mille strade della scienza per aver ragione della malattia incurabile di chi le era accanto. Naturalmente senza successo, giacche' certi mali non danno tregua. Lo sa bene chi governa, ne e' consapevole  il mondo dell'industria. Sono convinti   i medici di INPS e INAIL anche in Basilicata.
L'associazione vuole rappresentare una  presa di coscienza di una malattia dalle conseguenze gravissime, finora conosciuta ma non valutata appieno. Mira a essere un punto fermo nella cultura del lavoro, giuridica, sociale, economica ed a contrapporsi alla responsabilità di tanti che per lungo tempo hanno finto di non accorgersi della portata drammatica del problema di centinaia di persone contaminate dalle polveri di amianto. E cio' anche nella verde Basilicata dove quel che accade vale meno che se si verificasse altrove!  Ironia della sorte. Soltanto questo?