venerdì 24 febbraio 2023

ORRORE, SCHIFO, GUERRA



                           




Non esiste modo migliore per dipingere il quadro della sciagura che investe l’umanità da oltre un anno.

Fa bene il Mulino a usare questi due termini per illustrare il terzo, appunto la guerra.

Nell’attacco forsennato all’Ucraina, iniziato un anno fa e destinato a non concludersi, si cela un paradosso (forse più di uno) assolutamente inspiegabile. Mai accaduto. Il mondo intero, se si esclude l’atteggiamento tiepido della Cina, condanna con toni forti la strategia del dittatore Putin il quale si avvale di  un proselitismo strisciante, pena ritorsioni severe, nei confronti di quei cittadini che all’interno della Russia volessero liberamente manifestare la loro contrarietà all’operazione militare organizzata e portata avanti dal capo del Cremlino.

L’opinione pubblica mondiale è dunque assolutamente contraria alla guerra. E, nonostante tutto, la guerra continua. L’orrore e lo schifo continuano senza sosta, anzi con un rilancio assai rischioso dello spettro nucleare.

Ci chiediamo perché ciò accade. Per impotenza di chi non riesce a ingranare la marcia della opposizione alla guerra in termini di concretezza assoluta, o per un eccesso di determinazione di Putin, il quale tra l’altro sembra non avere problema alcuno a proseguire sine die il suo attacco all’Ucraina, a potenziarlo e rilanciarlo facendosi scudo dei cosiddetti diritti della Russia.

Chi foraggia la guerra e promette di farlo in qualunque condizione e a qualunque costo oggi e sempre? Uno dei problemi di fondo.

L’ombra della Cina prende corpo frattanto di giorno in giorno. Mentre in tutto l’intero arco di quest’anno non c’è mai stato un richiamo forte all’esigenza di cessare il fuoco e di avviare il percorso diplomatico da parte di Xi o del suo staff. Eppure a denti stretti qualche volta la Cina non ha rinunciato a  pronunciare a voce bassa la parola pace.

Una pace intesa secondo interessi condivisi con lo stratega Putin, nonostante i disastri del giorno per giorno. Sicchè la parola pace appare sempre più come un contentino all’umanità attonita e delusa. Ma assolutamente impotente.   


mercoledì 22 febbraio 2023

IL CARNEFICE, UN ANNO DOPO


                           

                           

                                  Vladimir Putin



24 febbraio 2022: sembrava una guerra lampo, appena iniziata e destinata a cessare nel giro di pochissimo. Una prova di forza da parte di Putin e nient’altro. Così non è stato e non è. La prova di forza continua all’infinito, senza alcuno spiraglio, nè la benché minima possibilità di avviare un confronto per non chiudere le porte a un ipotetico cessate il fuoco.  

Il Presidente americano dice a gran voce la Nato è forte, mentre il conflitto si inasprisce terribilmente sull’onda di un attaccamento morboso al disastro, alla distruzione senza limiti da parte del carnefice disposto a tutto e pronto a inculcare odio atroce nei russi contro Zelensky e tutto il martoriato popolo ucraino. La guerra è diventata, per volere del tiranno, una guerra delle coscienze contro altre coscienze fino a voler stritolare qualunque lembo di quella terra martoriata e calpestata senza limiti.

Armamenti su armamenti per aiutare l’Ucraina a non soccombere. La storia dirà se queste armi sono servite o serviranno a dare un apporto alla risoluzione del conflitto, mentre la pace è lontanissima. Addirittura impossibile, alla luce di quanto accade. Un dato certo e inconfutabile, purtroppo.

Oggi, a un anno da quell’alba livida del 24 febbraio 2022, la guerra è la vera ragion d’essere di un folle capace di godere del disastro immane. Capace di alimentarsi alla violenza assassina, alla miriade di atrocità sfociate nello spargimento di sangue.

Si sente dire di tanto in tanto che Putin sarà chiamato a rispondere dei crimini di guerra, da decifrare e denunciare ad un tribunale internazionale. Tutta la guerra contro l’Ucraina è un crimine di per sé, dal primo momento. 

Dove è finito il diritto internazionale che dovrebbe garantire ai popoli libertà e autodeterminazione? E anzitutto chi riesce a farlo rispettare in un clima d’incertezza e d’ impotenza?

   

domenica 19 febbraio 2023

Intervista a Piergiorgio Quarto



       PER UN’AGRICOLTURA COMPATIBILE NEI PARCHI


                                            

                                                              Agricoltura nel Pollino


Si ritorna a parlare di parchi e di aree protette in Basilicata: il Pollino, il più grande Parco nazionale d’Italia, attende la nomina della nuova governance. Stesso problema per il Vulture, area di valenza regionale ma di tutto rilievo, quanto alle peculiarità dell’ambiente e del suo territorio.

C’è intanto un aspetto da non sottovalutare, che riguarda il tema dello sviluppo di un’agricoltura di qualità, comune sia all’Appennino lucano che ad altre realtà. 

Produzioni di nicchia, destinate ad avere un peso sotto il profilo economico ma anche dell’occupazione, si vanno affermando. Notevole la ricaduta a vari livelli. Il Vulture per le produzioni vitivinicole e di un olio di qualità ha conquistato ottime posizioni a livello nazionale e non solo. Verona con il suo Vinitaly è autorevole conferma. Altre produzioni hanno fatto significativi passi avanti anche nelle realtà rurali del Pollino dove si ritorna all’agricoltura in maniera significativa. 

L’argomento è dunque da non sottovalutare. Piergiorgio Quarto, Consigliere regionale in Basilicata ed esperto nel settore, considera positivamente gli scenari futuri in questo ambito. Non si può parlare di aree protette se non si fa esplicito riferimento alla biodiversità per un’agricoltura destinata  a rivestire un ruolo assolutamente centrale nei parchi. 

“Il nesso con l’agricoltura è essenziale anche là dove esso appare forse di scarso rilievo, ma così non è.”

C’è una proposta da parte degli organi del Consiglio regionale e delle organizzazioni del mondo rurale, finalizzata in tal senso?

“Si avverte l’esigenza di modificare assetti tradizionali e vecchie logiche, alla base delle strutture esistenti in molte aree protette. Mi spiego: nei consigli direttivi di parchi nazionali e regionali bisogna riconoscere il ruolo della presenza degli agricoltori, sia ai fini della tutela dell’ambiente ma soprattutto per dare sostanza a una diversa produttività. 

I parchi non sono semplicemente zone recintate e, meno che mai, destinate a incrementare comunque  flussi di visitatori, badando soltanto a un aumento delle  presenze. Sono realtà economiche, anelli di uno sviluppo compatibile di cui si avverte un grande bisogno anche ai fini del rilancio delle aree interne, spesso dimenticate se non a lungo abbandonate al proprio destino."        

      

venerdì 10 febbraio 2023

10 FEBBRAIO, IL GIORNO DELLE FOIBE




Vito Lorusso, un giovane di Avigliano, classe 1923, fu fatto prigioniero dagli uomini del maresciallo Tito e condannato a morte soltanto perché italiano, considerato fascista e quindi meritevole di essere giustiziato con un processo farsa celebrato il 10 maggio del 1945. Subito dopo fu ucciso e gettato nelle foibe come un residuo qualunque che non meritava alcun riguardo e nemmeno la minima comprensione e men che mai il rispetto dovuto a una persona. 

Diecimila se non di più gli uomini e le donne uccisi con questo stesso pretesto. Essere italiani.

Tutto questo rappresenta uno dei tanti esempi di quell’odio, alimentato dall’ideologia comunista, quanto mai viva nella ex Jugoslavia e nei partigiani di Tito, che ha portato a profonde lacerazioni tra italiani, sostenendo una ingiustificata e assurda contrapposizione tra due popoli. Due popoli, in fin dei conti, della stessa terra.

Lorusso, una delle tante vittime di una ferocia inaudita che non faceva distinzione alcuna tra gli uomini, trattandosi appunto di italiani. Quindi avversari da battere con tutti i mezzi.

 Altro che odio razziale. Una forma di avversione da parte dei partigiani jugoslavi accecati dall’odio fratricida al punto da  non consentire alcun confronto nè sul piano ideologico, nè politico.

Le foibe sono un’atrocità da condannare assolutamente, nate da una brutalità cieca e immotivata. Considerare gli italiani colpevoli, tutti indistintamente, è mera follia. 

Di qui l’istituzione con legge 30 marzo 2004 n. 92 del giorno del ricordo con l’intento di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.”

Il confine orientale dell’Italia, appunto. Una questione non da poco, fin troppo ignorata e finanche dimenticata.


                           


                                                        

   

mercoledì 8 febbraio 2023

UN INNO ALLA COSTITUZIONE

                      


Roberto Benigni a Sanremo


In un mondo lacerato da mille tragedie che insanguinano l’umanità, Roberto Benigni dal palcoscenico dell'Ariston lancia il suo inno alla Costituzione repubblicana, la Carta di tutti gli italiani.Sanremo decolla, smette ipanni di una semplice passerella della canzone italiana e indossa la veste di un evento che giustifica in pieno la presenza del Presidente della Repubblica. Mattarella figlio della Costituzione: il monologo del grande comico assume i toni di una riflessione a voce alta sull’articolo 21 e sulla libertà conquistata a prezzo di sacrifici enormi, dopo la lunga parentesi del fascismo.La libertà di pensiero. Benigni si esalta, declama la gioia degli italiani di ieri e di oggi, riscuote l’applauso non solo del pubblico dell’Ariston. Unmonologo ricco di spunti edi riferimenti, un capolavoro di cultura e conoscenza, un’opera d’arte insomma.Anche Morandi non è più soltanto il cantante delle simpatiche canzoni del passato (fatti mandare dallamamma a prendere il latte...) che pure hanno conquistato la passione degli italiani, ma diventa il portavoce della consapevolezza di essere figli di quella libertà, altrove tuttora negata e calpestata dalla barbarie di chi teme la democrazia.E dire che l’articolo 21 induce a pensare al binario 21. Due estremi, due mondi contrapposti nella storia di un Paese in grado di guardare comunque a un mondo migliore.