venerdì 9 aprile 2021

NULLA DI FATTO PER LA COMUNITA' DEL PARCO





La sede dell'Appennino lucano



Siamo ormai a un caso da manuale: un esempio, senza molti precedenti, di come si possa  mettere in ginocchio una opportunità proclamata a gran voce fino a ieri e considerata un’occasione da non perdere.

Salta anche l’ennesimo tentativo del Vice Presidente della Comunità del parco, Pandolfi, di costruire un’intesa tra i sindaci dei 29 comuni in grado di consentire l’elezione del nuovo Presidente dell’organo democratico, a un anno quasi dalle dimissioni di Cesare Marte. L’assemblea dell’8 aprile è saltata, nè si conosce ancora la data della nuova convocazione. 

Eppure la Comunità è l’essenza dell’area protetta, potremmo dire la sua ragion d’essere per una gestione in linea con l’esigenza di corrispondere all’indirizzo fornito dalla base, appunto i comuni che rientrano nel perimetro del Parco nazionale Appennino lucano, Val d’Agri Lagonegrese. 

Contrasti insanabili tra i sindaci, con la minaccia di Amedeo Cicala, primo cittadino di Viggiano, di uscire dal parco addirittura. Mentre Angelo Lamboglia, sindaco di Lauria, chiede un riconoscimento concreto per l’area Sud, all’interno degli organi rappresentativi, anzitutto il Consiglio direttivo.

Un parco senza pace, un’autentica incongruenza tra le mille crisi di sempre e l’importanza del patrimonio artistico, storico, culturale e paesaggistico dell’area a considerare le tante, incomprensibili vicissitudini occorse sin dall’inizio con la gestione di Mimmo Totaro, primo Commissario e primo Presidente che aveva invocato l’autorevolezza del suo ruolo per consentire all’Appennino di essere elemento di salvaguardia dell’ambiente e garanzia di uno sviluppo compatibile.

Tra mille contrasti, e altrettanti tentativi di composizione delle lotte tra protagonisti, non ci si rende conto della distanza che divide la struttura burocratica e l’intero apparato dell’Appennino dai bisogni reali delle popolazioni. Sviluppo possibile e lavoro soprattutto in tempi di Covid.

Un profondo enigma rimane inoltre il Piano del Parco, commissionato a una società di esperti del Centro Italia e non ancora completato. Ma regolarmente pagato.

Tanto per fare un raffronto. Una realtà come quella dell’Adamello Brenta ha il consenso pieno delle popolazioni, gestisce interessanti progetti di sviluppo per le aree rurali, compie ogni giorno passi da gigante. L’Appennino lucano è avvertito invece come un ostacolo insormontabile, un macigno sullo stomaco e nient’altro. Amara constatazione, purtroppo.

A questo punto inevitabilmente dovranno scendere in campo il nuovo Ministero della Transizione ecologica e la stessa Regione Basilicata per sottrarre l’area protetta tra le più interessanti del Mezzogiorno alle perenni dispute e all’incapacità di operare con determinazione un suo rilancio effettivo nell’interesse del territorio e della gente.

  

   

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