martedì 13 gennaio 2015

CARABINIERI E MAGISTRATURA ALLA SORGENTE LA ROSSA DI MONTEMURRO





             La sorgente la Rossa a Montemurro (Potenza)  foto R.De Rosa

   Sono trascorsi quattro anni dai primi allarmi lanciati dagli allevatori e dai contadini di Montemurro, un centro della Val d'Agri in provincia di Potenza, per il grave inquinamento delle sorgenti in zona di estrazione del petrolio, e solo ora comincia a muoversi la macchina degli accertamenti e dei controlli, per quanto l'Arpab abbia detto di avere eseguito in passato dei prelievi di acque con risultati negativi.
   In questi giorni i carabinieri del Noe, coordinati dal magistrato Francesco Basentini, stanno compiendo dei sopralluoghi nella zona in modo da definire l'entità del grave fenomeno che ha reso inutilizzabile la sorgente La Rossa a qualche chilometro dal centro abitato. Acque maleodoranti,  di colore grigio ferro, palesemente contaminate da sostanze contenenti idrocarburi che emettono il tipico odore nauseabondo del greggio appena estratto e non ancora raffinato. Per giunta se si entra in contatto con queste acque si avvertono varie reazioni a livello di cute. Inoltre in questi anni una serie di foto e di riprese documentano il ripercuotersi del danno ambientale sulla salute del bestiame e sulle nascite di agnelli e capretti con serie malformazioni, addirittura privi di testa o con il corpo mutilato. Cosa mai accaduta in zona dove le acque della sorgente sono state, fino a qualche anno fa, perfettamente potabili in un ambiente integro. 
   Dopo la recente campagna di stampa sulla gravità dell'inquinamento delle sorgenti, in territorio di Montemurro, un allevatore è stato ricevuto dal responsabile delle politiche agricole della Basilicata, Michele Ottati, che ha assicurato il suo personale interessamento per combattere il verificarsi di episodi del genere. Sviluppi sono attesi in questi giorni, anche in seguito alle indagini del Noe.
   Gridare allo scandalo è fin troppo semplice. Il problema di fondo riguarda non tanto e non solo il proliferare delle trivelle in territorio lucano, già perforato oltre ogni ragionevole limite, quanto l'impossibilità di tenere realmente sotto controllo il territorio e la salute del bestiame e degli abitanti. 
   La Basilicata non può trasformarsi in una fabbrica di veleni in cambio del denaro delle royalties. Denaro che certo non ha modificato, neppure minimamente, le condizioni di vita non dico dei lucani ma degli abitanti della Val d'Agri, l'area direttamente interessata alla ricerca e all'estrazione del petrolio ormai dai primi anni novanta.
   L'osservatorio ambientale, nel cuore del Parco nazionale dell'Appennino lucano, l'Asp e altre strutture della sanità  hanno compiti e finalità ben definiti da porre in essere  con la necessaria tempestività. Ormai non c'è più tempo da perdere. L'Eni sostiene che l'inquinamento non comporta alcun rischio, nonostante il danno sia sotto gli occhi di tutti. Incredibile.
   Mai forse come in un caso del genere il ruolo della magistratura appare prioritario se non insostituibile per far rispettare le leggi sulla  salvaguardia ambientale e imporre alle compagnie il massimo della vigilanza per evitare danni irreparabili. Ammesso che ci sia ancora qualcosa da salvare.

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