sabato 28 dicembre 2024

I CASTAGNETI PER DARE VITA ALLA MONTAGNA



                             


I castagneti sulle pendici del Vulture (De Rosa)


L’albero, qualunque esso sia, ha una valenza ambientale e paesaggistica non da poco, oltre a essere fonte di vita e di benessere. E’ la continuazione di una umanità dal valore enorme.

I castagneti del Vulture sono un esempio quanto mai autorevole di ciò che l’albero rappresenta, anche sotto il profilo di una economia strettamente legata al territorio e ai suoi bisogni.

Prende spunto da queste considerazioni  l’iniziativa di Carmine di Cicala, responsabile dell’agricoltura in Regione Basilicata, volta a valorizzare i castagneti nell’ottica di salvaguardia sia dell’economia di ampie realtà, sia per stabilire un collegamento tra sviluppo rurale e cultura. “Un elemento cardine del paesaggio lucano e delle nostre tradizioni rurali” precisa Cicala, riferendosi appunto al rilievo, sociale e non solo economico, dovuto alla presenza di castagneti lungo le pendici dei monti e nelle valli della Basilicata.

La castagna ha infatti un valore simbolico: è il frutto dell’autunno, un invito all’intimità domestica che non si esaurisce in pochi gesti ma rappresenta una spinta a scoprire tempi passati, per giunta non lontani, legati al modo di essere di ciascuno. 

C’è poi la necessità di invertire una tendenza che rischia di diventare minacciosa, l’abbandono delle campagne nella terra dei boschi, la Lucania di ieri, la Basilicata di oggi. La tradizione dei castagneti sui crinali dell'antico vulcano spento costituisce, tra l'altro, un patrimonio indiscutibile del Parco regionale del Vulture da valorizzare in ogni caso come una risorsa di grande pregio. 

Le misure adottate sono dunque una spinta a sostegno del mondo rurale, diverso dalla città, ma tuttavia capace di dar vita a importanti elementi di svolta. 

La “perdita di biodiversità” è un fenomeno allarmante, sottolinea inoltre Carmine Cicala, guardando all’accentuarsi del fenomeno e all’esigenza di contrastarlo. Perdita di biodiversità significa infatti spopolamento, desertificazione, abbandono in una sola parola.

Castagneti secolari misurano il tempo trascorso e quello dei nostri giorni. Un manto verde lungo le pendici dei monti, una sorta di testimonianza del passato da non trascurare con il senso del presente. 

lunedì 16 dicembre 2024

1911: POTENZA ACQUISTA LE SORGENTI DI DI SASSO C. PER VENTIMILA LIRE




                          


Una delle sorgenti di Fossa Cupa (De Rosa)

Idea brillante. Qualcuno riuscì a indurre il Comune di Potenza ad acquistare le sorgenti di Fossa Cupa con un impegno considerevole, sia sotto il profilo delle finanze che dal punto di vista strettamente politico. Era appunto il 1911. 

Non fu una decisione agevole. Tutt’altro. La persona e le persone promotrici della iniziativa dovettero ragionare a lungo, confrontarsi con ambienti interni ed esterni e, non di rado, lottare per portare in porto l’idea. Occorreva ponderatezza e una valutazione della entità del passo da compiere, giacchè il clima dell’epoca imponeva assoluto rigore e non consentiva trasgressioni. Le sorgenti acquistate garantivano una portata di 40/ l.s. in periodi di magra. Le opere di adduzione  costarono 613.000 lire e furono suddivise tra il Comune capoluogo, lo Stato e la Provincia. Uno sforzo del tutto considerevole, in ogni caso.

Si andava, forse senza rendersi conto, verso i grandi acquedotti in cui il Demanio dello Stato prevale su piccoli e inutili accaparramenti e su vicende di campanile, nell’interesse esclusivo del territorio e degli abitanti di aree vaste.

Il risultato? L’acquedotto del Basento assume tuttora un rilievo del tutto diverso rispetto al passato al di là di ogni logica puramente municipalistica.

Dal primo gennaio 1943 numerosi abitati vengono assegnati all’E.A.A.P. Ente autonomo acquedotto Pugliese, istituito il 19 ottobre 1919, chiamato a governare il più grande acquedotto italiano con reti interconnesse per complessivi 18.882 Km. Tre le regioni servite Puglia, Basilicata e Campania. Famoso l’acquedotto del Sele, destinato ormai a fare letteratura. 

Intanto l’Acquedotto del Basento assume sin dagli anni successivi al 1919 un rilievo di primo piano. Si avvaleva già allora di gruppi di sorgenti particolarmente ricche di acque: Fossa Cupa, San Michele, Linise, Capo d’Agri, Curvino e dei pozzi di Tempe e Peschiera, che oggi vanno a integrarsi con le acque del Camastra.

Grande risorsa, dunque, le 34 sorgenti  situate nella vasta zona montuosa centrale della Basilicata: a Nord ha origine il Basento, a Sud l’Agri. I due rispettivi acquedotti furono progettati e disegnati dai tecnici del Genio Civile con impegno, dedizione e amore. Sembravano quasi due creature legate alla vita di ciascuno dei dipendenti e in realtà lo erano. L’impegno era stato totale, si lavorava nelle rispettive abitazioni fuori dagli orari di ufficio, anche nei giorni delle festività in cui si preferisce lasciare da parte il lavoro e dedicarsi completamente alla famiglia.  

“L’acqua è un dono della natura” dice oggi una pubblicità televisiva. Definizione quanto mai appropriata, una sorta di messaggio che l’epigrafe  dell’acquedotto dell’Agri interpreta in modo perfetto: Ave Aqua, fons vitae, morbis inimica. Un saluto all’acqua. Lo merita. 

   

                       


La foresta avvolge le sorgenti (De Rosa)

                      

domenica 15 dicembre 2024

OGGI COME IERI, L'AFFANNOSA RICERCA DI NUOVE SORGENTI




               

                   Una delle sorgenti di Fossa Cupa  (De Rosa )


2 marzo 1998. Al CNR di Milano, in occasione della giornata delle acque destinate al consumo umano, si discute dei problemi legati alla captazione delle sorgenti del Basento, della storia di uno dei primi acquedotti della Basilicata e del Sud per placare la grande sete di numerosi centri lucani e non solo.

Evento straordinario che mette in luce un dato, oggetto di confronto e di analisi da parte del Consiglio nazionale delle ricerche della Lombardia: si tratta di esporre le caratteristiche  dell’indagine sulla qualità delle acque dei gruppi di sorgenti di Fossa Cupa, San Michele e Linise, punto cardine dell’acquedotto del Basento, progettato e realizzato sul finire degli anni Trenta dai tecnici del Genio Civile di Potenza con l’orgoglio e la certezza di fornire alle popolazione dei 28 centri acqua tra le migliori d’Europa. Non solo acqua potabile, ma di alta qualità.

Davanti a una platea qualificata vengono illustrati alcuni elementi di spicco, anzitutto i criteri alla base del lavoro svolto nel triennio 1995 - 97 con 108 prelievi, 2372 determinazioni chimiche e 1158 determinazioni microbiologiche a garanzia dell’assoluta salubrità di queste acque. Confronto particolarmente apprezzato da esperti di alto livello.

Il dibattito a Milano, nella sede del CNR, ha rappresentato in effetti la prima occasione ufficiale in cui tecnici di laboratorio e progettisti si confrontavano illustrando gli sforzi tesi a garantire il massimo della disponibilità idrica e soprattutto il livello della qualità delle acque. Praticamente lo stesso percorso che si cerca di seguire oggi, nel bel mezzo di una crisi idrica dai risvolti imprevedibili per il futuro.

La storia della grande sete dei lucani parte dall’antichità quando Potenza era alimentata da due sole sorgenti, Torretta, a quota 935 metri e Botte a 905 con un acquedotto in pietra calcare, sostituto poi da una condotta in muratura anch’essa precaria. Correva l’anno 1877. Le due sorgenti erogavano 3 litri al secondo, una portata per gran parte destinata a perdersi lungo il tragitto, con la conseguenza che i potentini potevano fruire di pochi litri per abitante disponibili non certo nelle abitazioni ma ad una fontana in Via Angilla Vecchia, all’epoca estrema periferia della città.

Indispensabile l’apporto di altre sorgenti, quelle di Montocchino e di Pisciolo con un serbatoio in località Epitaffio a circa tre chilometri dal centro di Potenza. Ma nonostante questi sforzi l’acqua continuava a scarseggiare per cui si rese necessario distribuirla dalle 7 del mattino alle 12 nella parte alta e dalle 12 in poi alla parte bassa. Frattanto solo pochi privilegiati erano riusciti ad avere l’acqua nelle abitazioni.

Il collegamento alle nuove sorgenti costò ben 550.000 lire, una somma ingente per le finanze comunali. Il collaudo dell’opera avvenne nel corso dell’anno successivo, il 1888. Il tempo necessario per ponderare tutto nei dettagli. Niente fretta, insomma, cattiva consigliera.

Tecnici, idraulici, progettisti capirono subito che questa era soltanto la prima tappa di un percorso ben più lungo e complesso, ma anche accidentato. Bisognava trovare, come accade anche ora, la disponibilità di nuove fonti di approvvigionamento, soprattutto sicure e non contaminate da idrocarburi, oggi in piena era del petrolio. 


(continua)

                           

                           Acqua che sgorga dalle sorgenti 


martedì 10 dicembre 2024

PARTE LA MACCHINA ANTICINGHIALI IN BASILICATA: REGIONE IN PRIMA LINEA




                          




Secondo stime ufficiali sarebbero circa 90 mila i cinghiali in Basilicata, ben “distribuiti” tra foreste, campagne, borghi e periferie urbane. Un rischio per molti, anzitutto gli agricoltori ma anche gli automobilisti, senza escludere i singoli abitanti di zone rurali o periferiche, costretti spesso a fare incontri non proprio graditi.

Per fronteggiare questa emergenza ha preso il via una campagna della Regione Basilicata volta a ridurre il numero di selvatici che sin dagli anni Settanta il prof. Corbetta, dell’Università di Bologna ma lucano di origine, aveva indicato come un pericolo da non correre  per il futuro data la forte capacità di proliferazione sul territorio degli  ungulati.

La Regione Basilicata, in una conferenza stampa dell’Assessore all’Agricoltura Carmine Cicala, ha dato il via a un progetto davvero senza precedenti. Con una dotazione economica di quasi tre milioni di euro e una società, individuata con normale bando, si procederà alla cattura e all’abbattimento di un elevato numero di soggetti, destinati al consumo in ristoranti e agriturismi in modo da trasformare un rischio in opportunità concreta. Portare la popolazione dei cinghiali ad un presenza accettabile, sottolinea Cicala, rimane l’obiettivo primario. In che modo? Formando cacciatori e selecontrollori (1800 sono già formati), consolidando i metodi di cattura e facendo della lotta al proliferare dei selvatici un obiettivo qualificante, in difesa oltretutto dei raccolti e delle numerose attività rurali, oggi in molti casi allo stremo.

Rigoroso il controllo sanitario sulle carni, a garanzia della salute dei consumatori. 

Nasce dunque una filiera vera e propria del cinghiale con risvolti positivi anche per l’occupazione in un settore finora inesplorato, letteralmente, ma che promette sviluppi non certo trascurabili. La campagna è già partita e i risultati, comunica il responsabile dell’agricoltura, saranno oggetto di valutazione periodica e trasparente, in primo luogo. 


                           


       

   

mercoledì 4 dicembre 2024

"LE SUE DIMISSIONI SARANNO UNA SVOLTA"



                      


La fabbrica di Melfi

Il caso Stellantis non abbandona la scena, non solo per le migliaia di lavoratori e le loro famiglie, quanto per la politica chiamata a dare risposte ai tanti interrogativi sui quali aleggia la minaccia di una cassa integrazione ancora più dura, in questo ultimo scorcio di anno che ha visto le dimissioni dell’ad, Carlos Tavares.

In cosa consiste la previsione di una svolta, avanzata dal segretario generale della Cisl, Sbarra? Forse perché Tavares non si può dire abbia impresso un colpo di acceleratore alla presenza di Stellantis sulla scena internazionale? E nell’ambito dei mercati. E’ vero il contrario, in una logica tutta di profitti assicurati  agli azionisti. 

Certo rimane un dato inequivocabile e scandaloso, a dir poco. Ia buonuscita con cifre da capogiro assicurata all’ex ad che accompagna le sue dimissioni, da sommare ai 23 milioni di stipendio all’anno. Un vero scandalo. Gli impiegati non ricevono la retribuzione da mesi e le maestranze soffrono una cassa integrazione ormai assai frequente, al punto da sostituirsi ai giorni di lavoro. 

Il nocciolo della questione è per gran parte racchiuso nell’incontro di Elkan con il Ministro Urso, in programma il 17 dicembre. Il governo chiederà conto dei finanziamenti cospicui all’azienda automobilistica, o piuttosto la posizione di Elkan sarà quella di un imprenditore privato soggetto prevalentemente alla legge dei realizzi? Lo si saprà solo all’indomani del vertice, salvo mosse imprevedibili.  

Nello scenario complessivo ci si chiede tuttavia quale sarà il ruolo di Melfi in questa delicata e insidiosa fase di transizione. A giudicare da ciò che traspare almeno in questi giorni,  non si delinea un ruolo trainante di Melfi, una funzione di primo piano nel quadro delle iniziative tese ad avere una  capacità dirigente nell’ambito della risposta complessiva alle scelte aziendali, in questo dopo Tavares. Eppure Melfi ha conquistato una sorta di “primato” nel quadro dell’innovazione tecnologica e della capacità produttiva all’avanguardia, è il più grande stabilimento in Europa. Era diventata la fabbrica modello, nel cuore del Mezzogiorno, l’emblema di una svolta industriale, salutata con il favore di tutti, alla quale Domenico Cersosimo, un ricercatore dell’Università della Calabria, aveva dedicato un bel libro Viaggio a Melfi in cui si chiedeva “cosa avesse spinto la maggiore impresa privata italiana alla più radicale discontinuità organizzativa del modello industriale del Novecento”. Cersosimo, si legge nella prefazione del libro “accompagna il lettore in un avveniristico viaggio nel futuro della nuova rivoluzione industriale.” 

Ora cosa rimane di quel primato? Soltanto un clima  di desolazione che accompagna l’immagine di Stellantis. Lo specifico di san Nicola consiste oltretutto nella presenza della fabbrica in una vasta area a vocazione agricola, da sempre con il compito di rivoluzionare il quadro economico e occupazionale.  Risultato evidentemente mancato mentre Salvini  definisce “un evento disgustoso”  le dimissioni dell’Ad Tavares e Stellantis diventa un caso nazionale, con un fardello pesantissimo di crisi sulle spalle destinata ad avere forti ripercussioni sociali in una dinamica in cui, in fin dei conti, la territorialità conta molto meno dello sfascio. Le dimissioni di Tavares apriranno le porte alla svolta, attesa e auspicata, ma soprattutto temuta?


                           


    




venerdì 29 novembre 2024

ENRICO MEDI, UNO SCIENZIATO NEI SETTANT'ANNI DELLA TV




                                 


              

“Non abbiate paura della vita”: un messaggio di Enrico Medi diretto ai giovani di ieri e di oggi che i familiari dell’illustre uomo di scienza, scomparso cinquant’anni fa, hanno rilanciato in occasione delle numerose iniziative per ricordare la figura e l’opera di chi è riuscito a coniugare fede e ricerca, religiosità e scienza. 

Ma chi era Enrico Medi? Uno studioso, un fisico, docente universitario, amico di Padre Pio che lo considerava un punto di riferimento essenziale nel cammino del progresso e della chiesa. Un legame con il Frate destinato a superare la sfera degli interessi personali collocandosi in una dimensione in cui l’eternità rappresenta il vero punto di riferimento per la vita umana. In occasione dell’ultima messa, il 22 settembre del 1968, Padre Pio lo salutò dicendogli: “ciao Enrico, ci vediamo in Paradiso”. 

Per le sue doti di laico cristiano Medi rappresenta l’anello di congiunzione tra la comunità degli studiosi e la fede che guida l’uomo nelle varie imprese, piccole o grandi non importa.

Accanto a Tito Stagno, commentò per l’intera durata della lunga diretta lo sbarco sulla Luna di Neil Armstrong. Molto bella l’intervista di Andrea Barbato a Medi quella notte del 1969, passata alla storia. Successivamente commentando l’impresa lo scienziato scrisse: “Ore 4.56, 21 luglio 1969 dell’era cristiana.” 

Un personaggio cardine nel ricordo dei settant’anni della televisione che ha portato nelle case degli italiani cultura, informazione, spettacolo e approfondimento dei temi dell’universo ai quali Enrico Medi aveva dedicato i suoi studi per conoscere e far conoscere cosa c’è alla base degli eventi, cosa c’è alla base dell’esistenza.  

 

sabato 23 novembre 2024

"GRIDANO I SEPOLTI VIVI"



                        I giornali di un'edicola crollata (R. De Rosa)


Il titolo del Corriere riporta a quella sera: 23 novembre 1980 ore 19,34 quando la terra fece sentire la sua voce spazzando via uomini e cose. Sembrava che non ci fosse spazio per la speranza, eppure cominciammo tutti a sperare e a credere nel futuro.

 

venerdì 22 novembre 2024

A FUSCALDO (CS) IL PRIMO PARCO DELLA PACE



                                  

                                   Angelo Vassallo 


Nasce a Fuscaldo, in provincia di Cosenza, il Parco della Pace, il primo in Italia. E’ dedicato ad Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, ucciso 14 anni fa per la sua lotta alle mafie e alla illegalità. 

Nelle scorse settimane per l’omicidio di Angelo sono state arrestate 4 persone, tra queste due carabinieri compreso un colonnello dell’Arma, ritenute responsabili a vario titolo di concorso nell’uccisione del primo cittadino di Pollica.

Orrore e sgomento per questa svolta. Ma finora dell’esito delle indagini non si è appreso più nulla. Da ritenere che tutto questo silenzio dipenda dalla riservatezza degli accertamenti, tuttora in corso.

Con l’iniziativa odierna ritorna in primo piano la figura del sindaco pescatore, uomo umile e buono, dedito al suo lavoro e alla famiglia. Sconcerto per le dichiarazioni del figlio, Antonio: “fa male vedere in carcere chi ti dovrebbe difendere”.

Il Parco della Pace è un segnale di impegno civile e di coraggio in difesa della legalità. Sarebbe opportuno che analoghe iniziative fossero adottate in tutte le regioni per dare una risposta unitaria alla terribile vicenda del sindaco ucciso. Oltretutto, un segno di partecipazione concreta al dolore dei familiari.     

domenica 17 novembre 2024

CLAUDIA, DALL'AUSTRALIA ALLE SUE RADICI LUCANE






                                  


MATERA - LA BORSA DEL TURISMO DELLE ORIGINI




Prendo spunto da un dato di fatto: le origini di ciascuno, compresa la terra che ha dato ad ognuno i natali, sono dotate di una forza tale da rendere impossibile  qualunque dimenticanza o disattenzione. Questo legame si regge su un elemento affettivo molto forte giacchè fa rivivere sensazioni, ricordi e buona parte della vita trascorsa.

Il ritorno alle origini è solo un salto nel passato? Non credo. E’ qualcosa di ben più complesso che include la sensibilità individuale, l’emotività, la risposta soggettiva ai legami antichi, soprattutto quelli in grado di attualizzare intere stagioni della nostra esistenza. 

Spesso chi riceve appunto la “chiamata” delle origini è portato a obbedire, forse senza rendersi conto del tutto, e aderisce comunque senza indugio.

Da qualche tempo il turismo delle origini rappresenta un capitolo essenziale delle politiche a sostegno del settore, soprattutto in Basilicata, dove il rilancio di vaste aree rappresenta un scommessa da vincere a tutti i costi e dove molte possibilità di crescita sono affidate a questo comparto, antico ma ravvivato da logiche attuali. 

Gli esempi concreti non mancano. Claudia, una giovane donna potentina, australiana d’adozione, ritorna quasi ogni anno nella sua terra, con tante ore di volo, per rivedere i luoghi ai quali è legata e per rivisitare il suo passato. Come se avesse bisogno di ormeggiare la sua imbarcazione a un molo sicuro. Perché? mi chiedo. Per evitare che altri luoghi, altre culture, altri interessi finiscano per sostituirsi alla sua vera identità. Non è poco.

Ecco la motivazione di questo su e giù per il mondo, non solo di Claudia ma di migliaia di persone, lucani ma non solo.

A Matera  prende il via il terzo appuntamento annuale con il turismo delle origini, promosso da APT e Regione,  con lo scopo di dare pieno riconoscimento a questo importante comparto della vita sociale, fondamento di una economia in sicura espansione in cui sono presenti tutte le premesse per dare slancio a un’attività che chiede a gran voce di essere sostenuta e riconosciuta come asse portante dello sviluppo. Francamente non è poco.  

martedì 5 novembre 2024

IL BASENTO PER COMBATTERE LA GRANDE SETE



                           

                           L'Acquedotto del Basento




Cominciò dal Vallone dell’Inferno, stupenda località ai piedi del monte Pierfaone, in territorio di Fossa Cupa, la bella avventura progettata dal Genio Civile di Potenza nella seconda metà degli anni Trenta per placare la sete non solo della città capoluogo ma di numerosi centri privi di un approvvigionamento di acqua  soddisfacente. Il dettaglio della foto, su scala 1:500, mette in mostra il punto nevralgico del progetto di captazione delle 34 sorgenti con bottini di raccolta, di manovra e di riunione rigorosamente indicati nella planimetria. Un vero documento di indiscutibile valore storico,  scampato per miracolo al rovinoso bombardamento di Potenza nel settembre del 1943. 

Nasceva così l’Acquedotto intercomunale del Basento, il fiume geologicamente più antico del Sud, che oggi va in soccorso della peggiore crisi idrica provocata dall’assenza di abbondanti nevicate e copiose piogge negli ultimi tempi. Laura Mongiello, responsabile dell’Ambiente della Basilicata  e Alfonso Andretta, amministratore unico di Acquedotto lucano, annunciano oggi la svolta: il Basento confluirà nella diga del Camastra per consentirle di soddisfare la domanda di acqua di un vasto territorio, Potenza compresa. Certo, occorrono tutte le possibili garanzie di purezza del fiume, per lunghi anni dimenticato e usato anzi come una fogna a cielo aperto con mille scarichi, molti abusivi, che si riversano tuttora nel corso d’acqua. Ma oggi le cose sembrano cambiare e le assicurazioni sono massime, anche da parte di Arpab, il guardiano del territorio, di fiumi e torrenti.  

Per fortuna rimane ancora integra la parte del Basento a monte della città dove molti pescatori sportivi si cimentano tuttora con successo nella pesca alla trota, la vera regina del fiume, oltretutto un indicatore infallibile dello stato dell’arte. La trota si rifiuta di abitare acque malsane o inquinate, come accade spesso e predilige per sua natura i fiumi d’alta quota.

Il Basento sarà dunque collegato alla diga del Camastra. Il tutto ha origine dal fabbisogno di acqua per oltre 140 mila abitanti, ribadiscono i tecnici. Inevitabile tuttavia una osservazione. Se il progetto nasce anche dall’esigenza di salvaguardia del fiume c’è da complimentarsi con chi lo ha ideato e messo in pratica, ferma restando la necessità di evitare l’abbandono del restante percorso fino alla foce, nel mare Jonio. Sarebbe un disastro se rimanesse soltanto un rigagnolo putrido, subito dopo lo scalo di Albano dove il torrente Camastra si immette oggi nel fiume.

Il Basento è una creatura che chiede giustizia perché intenzionata a ritornare in prima linea, grazie (è il caso di dirlo) ai tanti sconvolgimenti del nostro tempo incapace di mettere la natura in primo piano. 

Ora tutto è affidato ai progettisti, ma non solo. Occorrerà calibrare gli interventi in modo da rendere la complessa operazione ecocompatibile, in ogni senso. E non solo sulla carta. Una sfida vera e propria, anzi un banco di prova. 


P.S. Il mio pensiero va a tutta l'equipe di tecnici del Genio Civile e, in particolare, a mio padre, Vincenzo De Rosa, che dedicò il suo personale impegno per portare a compimento questo importante lavoro.

venerdì 1 novembre 2024

L'APPENNINO, STORIE DI POPOLI E DI NATURA




                           

                                          



                           Il Sirino (De Rosa - Riproduzione riservata) 



I popoli Sirini: ne parla Plinio già nei primi decenni dopo Cristo. Popolazioni vissute ai piedi del monte Sirino, il gigante che sovrasta Lagonegro, e addirittura più antiche degli stessi lucani. Un patrimonio di valore inestimabile per troppi anni rinchiuso in un angusto contenitore, il silenzio, che ora sembra non resistere alle sollecitazioni del nostro tempo. Questi popoli, come identificarli e come seguire la loro evoluzione, il perché della loro scomparsa nonostante il centro di maggiore attrazione avesse addirittura un nome e una identità, Sirinos. Un capoluogo in piena regola , dunque  

Capire, studiare,  far conoscere oltre a tutelare il paesaggio e la biodiversità. E’ questo il compito primario del Parco nazionale dell’Appennino lucano, Val d’Agri lagonegrese in cui si celano secoli di storia e personalità come Giuseppe De Lorenzo, geologo, studioso di fama internazionale. O, anche, Leonardo Sinisgalli l’ingegnere poeta di Montemurro che vide le Muse e fondò su nuove basi l’edificio della poesia.

Ricchezze da mettere a frutto, senza perdere altro tempo. Un parco nazionale è fonte di vita e di lavoro. Rappresenta una prospettiva per i giovani. 

Antonio Tisci, attuale Commissario di una realtà ancora in fase di decollo, sembra essere pienamente convinto della necessità di attribuire all’Appennino lucano una funzione guida nel processo di ripresa dell’area Sud. Una sfida da non sottovalutare, anzi da affrontare con determinazione e  una buona dose di coraggio. 

“Un parco che si estende dalle porte di Potenza alle porte di Maratea” ha un suo peso e risulta determinante sotto ogni punto di vista, rimarca Tisci, ritenendo che la posta in gioco sia incoraggiante per un turismo di qualità ma non solo. Il valore storico e culturale delle aree archeologiche arricchisce l’offerta natura, quella biodiversità che si manifesta con i grandi boschi e le aree pascolo sulle pendici delle montagne in cui ogni anno la transumanza sottolinea puntualmente la vocazione delle zone interne e il prestigio di una società in grado di alimentare le sue risorse tradizionali ma, al tempo stesso, più autentiche.

Per questa, e per mille altre ragioni, l’attesa  riguarda anzitutto  il varo del Piano del Parco, lo strumento di gestione del territorio che dovrà mettere a punto le varie strategie, partendo dal presupposto che quest’area protetta necessita di una rigorosa progettazione degli interventi, senza ritardi, nè distrazioni, come purtroppo si è verificato altrove con la conseguenza di un distacco rispetto agli obiettivi degli abitanti, che si sono sentiti spesso illusi se non ingannati. 

La disaffezione della gente, la mancanza di interesse sono infatti dei rischi da non correre, pena l’abbandono e l’incoerenza.       


                                  

                                     

Violinista nel Parco